Trovarsi ad un bivio implica la necessità di compiere una scelta. Attingere a piene mani nel fiume di parole di Francesco Guccini – cantautore “antropologo” ancor prima che politico – riporta in superficie l’album “Radici”, del 1972. Lasciando agli egomaniaci dei social il primato dell’interpretazione soggettiva, il primo bivio davanti al quale arriviamo è di carattere “esistenziale”: EUFORIA vs NOSTALGIA.
Leoni da tastiera e primatisti del selfie interattivo scelgono la prima via – euforia – per raccontare al mondo che stanno bene e che tutto andrà bene; danno risposte a domande che nessuno gli ha mai rivolto, fanno e disfanno: in una parola, sono “smart”. Gli altri, i nostalgici, provano a riflettere. Nostalgia nel senso di “mal du pays”, il silenzioso terrore di smarrire le proprie radici e, al tempo stesso, allontanarsi dal piccolo borgo antico. Questa inspiegabile voglia di fuga, unita alla constatazione che in qualche modo le cose devono cambiare, permea interamente la produzione musicale di Guccini, in primis uomo dell’Appennino tosco-emiliano.
All’euforia dei tramonti incantevoli, del foliage in salsa nostrana, del revanscismo culturale che un giorno ci rende più “speciali” dei fiorentini e l’altro più “acculturati” degli aretini, i nostalgici pendolari che hanno poco tempo per riprendersi in abiti di sera, affondano quotidianamente nell’unica strada di fondovalle che dovrebbe traghettarci verso Arezzo.
A questo punto emerge un altro problema relativo al temo del bivio: non abbiamo la possibilità di scegliere, a meno che non ci riversiamo in massa nell’unica strada alternativa spostando il traffico nella stessa direzione. Nostalgia della nostra adolescenza, “coi peccati fra macerie e fra giochi consumati dentro al Florida”; volevamo crescere negli anni Novanta – “correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West” – noi, o almeno quelli della mia generazione, nati verso la metà degli anni Settanta, ci sentivamo comunque parte di una comunità, di un sentire collettivo.
Al pari dei nostri padri, anche Guccini è un figlio della cultura del dopoguerra; come altri artisti, ha preferito raccontare le contraddizioni della crescita piuttosto che salire sul carro dei vincitori. Tra la dubbia euforia degli anni Ottanta del secolo scorso e la lucida malinconia degli scettici, ha deciso di imboccare la seconda strada, andando controcorrente. Mentre fino a venti/trent’anni fa potevamo scegliere – Pasolini docet – oggi non facciamo altro che venire scelti; la logica di un capitalismo senza regole, unita all’ormai cronica assenza di una classe dirigente capace di interpretare i cambiamenti del presente, si abbatte anche sul Casentino.
La frammentazione politico-amministrativa della vallata porta a scelte francamente incomprensibili; ad esempio, da un lato fioccano nuovi supermercati, dall’altro si punta alla valorizzazione dei prodotti tipici e della microimpresa a carattere familiare. La politica turistica è ormai demandata all’iniziativa dei singoli, che per fortuna padroneggiano i mezzi tecnologici, abbattendo in tal modo le barriere infrastrutturali e riducendo le amministrazioni a gestori dell’esistente.
Da decenni assistiamo imperterriti ai comici tentativi di raddrizzamento della statale 71; cantieri faraonici per rallentare ancor di più la già precaria viabilità dal e verso il Casentino, chilometri di incertezza in mezzo a lande desolate dove imperversa il buio. Le attività commerciali aspettano con ansia l’arrivo dei tre mesi estivi sperando in un inverno mite e in una politica che – parafrasando Guccini – non sia solo “far carriera”.
Gli euforici abitanti dei social ci dipingono come un patrimonio paesaggistico da tutelare in stile Unesco, mentre sembra a rischio la tenuta dell’unico centro ospedaliero della vallata; oltretutto costruito sì nel Comune più importante del Casentino, ma in posizione assai scomoda per gli utenti di un territorio vasto e poco abitato.
Infine, qual è la nostra vocazione? Tra la sterile euforia individualistica dei nostri tempi e la malinconica ricerca di un senso, in che direzione vuole andare il Casentino? Di nuovo il bivio: vivere o morire?
ALFABETO CASENTINESE del Barone Rampante