di Antonella Oddone – Mi è capitato, per caso, di dedicare una piccolissima parte del mio tempo al doposcuola che si svolge tre pomeriggi a settimana a Poppi. Io ci sono il giovedì pomeriggio. Confesso di ricordarmi poco di grammatica e di aritmetica e di dover fare veloci ripassi, ma ai bambini non sembra importare nulla. Mi hanno accolto nel loro gruppo con naturalezza e allegria. Sicuramente lo scambio è impari: sono loro a darmi di più, molto di più. Sentirmi chiamare: «maestra, mi aiuti?» è una carezza per il cuore. Io non sono una maestra, ma è come se mi avessero promosso. Far capire che è meglio risolvere un’operazione che copiarla è una piccola conquista perché è proprio con i piccoli sforzi che si salgono i gradini della conoscenza e soprattutto della sicurezza interiore.
Si devono imparare a memoria le tabelline? Sì, è faticoso, ma poi si avrà la libertà di entrare nel meraviglioso mondo dei numeri e di fare al volo le operazioni più semplici. Si deve studiare? Sì, perché è così che si rinforzano le connessioni tra le cellule del cervello ed è così che cresce e si sviluppa il nostro organo principale, ma sopratutto il pensiero critico e la libertà da ogni conformismo. Come nelle fiabe lo scopo è far capire che per raggiungere un obiettivo sono necessari impegno costante e fatica. Le scorciatoie non sono mai accettabili.
Ma chi sono questi piccoli alunni? Sono piccoli bambini immigrati. Qualcuno proviene dai Balcani, qualcuno dall’Africa, altri dall’Asia e perfino dal Sud America. Alcuni sono arrivati in Italia da poco, altri sono nati qui. Si tende a parlare di prima e seconda generazione di immigrati, ma è un punto di vista sbagliato, quantomeno univoco, perché è solo il nostro. In realtà le generazioni dentro ognuna di queste famiglie sono migliaia perché chi migra è già inscritto in una successione ancestrale di infinite generazioni, che a noi sfuggono soltanto perché non le conosciamo. Ho avuto modo di conoscere a fondo le famiglie dei bambini immigrati durante il mio lavoro di pediatra e di visitare le loro case: ho sempre riscontrato ospitalità, rispetto e tanta dignità.
Ciascuno di loro proviene da una cultura millenaria che ogni famiglia cerca di ricreare nell’intimità della propria abitazione: ogni bambino nasce in una culla culturale, l’infanzia stessa è un prodotto culturale, diverso quanto diverse sono le culture presenti nel nostro mondo. Nella trasmissione della cultura da parte di tutti i genitori entrano in gioco molti fattori: il passato mitico e le memorie culturali di appartenenza, gli stili genitoriali, il modello di famiglia, le relazioni parentali e del gruppo sociale in cui si è stati immersi. Pensiamo alla fatica che fanno queste famiglie: il trauma della migrazione (perché è davvero un trauma) porta a rottura delle consuetudini e viene inoltre a mancare l’appoggio della famiglia allargata e del villaggio.
Ogni bambino si trova a vivere tra due universi: la trasmissione dei saperi da parte della famiglia, memoria della cultura di origine con tradizioni, lingua, dialetto, miti, religioni e la cultura trasmessa della scuola e della società in cui il bambino si trova a crescere fin da piccolo. Ogni bambino immigrato è un piccolo principe, che spesso parla in modo perfetto l’italiano, la propria lingua di origine e le lingue imparate a scuola e fa da traduttore ai propri genitori. Avere un bambino immigrato in classe è un arricchimento per tutti: integrare non significa certo rimuovere crocifissi e presepi, rinunciando alla nostra di identità, ma valorizzare le differenze senza negare le radici. Di nessuno. L’integrazione non deve implicare sradicamento e rottura tra la coltura originaria e quella del Paese di accoglienza. Se io fossi una bambina vorrei conoscere tutto dei Paesi lontani e sconosciuti da cui i miei compagni, piccoli immigrati, provengono. Ognuno di loro, a scuola, potrebbe per un giorno essere insegnante di storia e geografia e approfondire le conoscenze sul proprio Paese di origine ed i loro genitori potrebbero raccontarci usanze e tradizioni e descrivere le meraviglie dei loro villaggi come anche le tragedie da cui sono fuggiti per aspirare ad una vita migliore.
Ricordiamoci che la razza umana è unica: siamo tutti derivati dall’homo sapiens, e la culla della civiltà è stata proprio l’Africa. Da lì 100.000 anni fa l’uomo è migrato in tutti gli altri continenti, fuggendo da climi ostili e carestie. Nel nord del modo gli umani hanno la pelle e gli occhi chiari semplicemente perché non hanno bisogno di tanta melanina per difendersi dal debole sole nordico. Il DNA è unico in tutti gli esseri umani! Le etnie invece sono tantissime, centinaia: gruppi di persone con lingua, tradizioni, cultura, religione, stili di vita comuni e con antenati che, almeno alle origini, abitavano in uno stesso territorio.
L’integrazione dei bambini immigrati è un processo fondamentale per garantire loro un futuro sereno e pieno di opportunità e per evitare pericolose derive sociali. Per questo è indispensabile valorizzare le esperienze e le potenzialità di ogni bambino creando un ambiente accogliente e rispettoso, stabilendo un dialogo costante con le famiglie per aiutarle nel percorso educativo e offrendo un sostegno emotivo per prevenire le inevitabili difficoltà di adattamento. La nostra comunità è perfetta per “accogliere” proprio perché composta da piccoli paesi dove tutti si conoscono e sono disposti a dare una mano, superando la diffidenza e l’indifferenza, purtroppo molto più diffuse nelle grandi città.
DOTT.SSA ANTONELLA ODDONE Medico pediatra
(ESSERE L’Equilibrio tra Benessere, Salute e Società)