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giovedì, 28 Marzo 2024

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Il colpo di grazia…

Soldini-B

In occasione dell’avvio dell’inchiesta su Banca Etruria per bancarotta fraudolenta (in 9 mesi sono stati “bruciati” i due terzi del capitale!!!), riproniamo l’intervista fatta poco tempo fa dal nostro giornale a Rossano Soldini.
di Mauro Meschini – No, non sentivamo assolutamente il bisogno anche di questo, già quello che, da tempo, viene riservato al Casentino è più che sufficiente per andare ben oltre un livello di sopportazione accettabile.
La vicenda Banca Etruria getta ancora più acqua su un territorio che tenta disperatamente di rimanere a galla, ormai abbandonato a se stesso, senza una guida o un minimo di prospettiva per il futuro.
Adesso non solo si sono progressivamente tagliate le opportunità di lavoro in questa vallata, ma si è andati direttamente a pescare nelle tasche dei cittadini, nei loro risparmi, in quello che, per tanti, rappresenta l’unica difesa prima del baratro.
Questa vicenda, intrisa di spregiudicatezza, di cinismo e di totale asservimento agli interessi di pochi; rappresenta anche, forse in modo definitivo, la totale separazione tra politica e interesse collettivo, considerati gli intrecci strettissimi, non nuovi per la verità, che la caratterizzano.
Siamo di fronte ad un conflitto d’interessi permanente dove gli unici a pagare sono i cittadini che hanno, da parte loro, la colpa di essersi fidati e, in qualche caso, di continuare a farlo.
Tanto si è detto e si è scritto in queste settimane di Banca Etruria; Arezzo e la sua provincia, forse mai come in questa occasione, sono balzate agli onori della cronaca. Cronaca amara, anche perché le tante parole che sono state spese, le considerazioni che sono state portate, le riflessioni che sono state proposte alla fine rischiano di essere, per la maggior parte, inutili e ininfluenti.
La gran parte dei responsabili potrebbe non dover rispondere del proprio operato e sarà complicato vedere i manager risarcire i danni che hanno causato; la politica prende tempo e si guarda bene da assumersi le proprie responsabilità; non saranno sufficienti degli esposti in Procura per mettere davvero in discussione il sistema di potere economico finanziario che da sempre influenza la vita del territorio aretino.
Il voto alla Camera sulla sfiducia presentata al Ministro Boschi evidenzia che, a parole, su Banca Etruria si può dire tutto, ma non dobbiamo credere che poi ci possano essere concrete conseguenze. Così un Ministro, esempio perfetto del conflitto d’interessi, rimane al suo posto mentre, allo stesso tempo, la politica in Casentino non si fa vedere e i tanti parlamentari e consiglieri regionali, onnipresenti dalle nostre parti ad ogni sagra o taglio di un nastro, si sono ben guardati da venire a rendere conto ai cittadini di quello che è accaduto e delle decisioni che sono state prese.
Niente di nuovo, il Casentino è da tempo terra di caccia, prima di voti adesso anche di risorse economiche, probabilmente continueranno a mungere la mucca fino a quando non darà l’ultima goccia di latte, poi la lasceranno al suo destino.
Se qualcuno ritiene che queste considerazioni siano sbagliate saremo ben lieti di ospitare un suo intervento su questo giornale; anche l’assenza totale di dibattito su qualsiasi problema è un altro elemento che sta portando questo territorio verso il tramonto.
Intanto vogliamo proporvi il punto di vista di chi Banca Etruria la conosce e l’ha conosciuta molto bene, tanto da non aver risparmiato, già anni fa, critiche all’operato dei suoi vertici. Stiamo parlando di Rossano Soldini (nella foto), presidente dell’omonima e conosciuta azienda produttrice di calzature, un aretino e casentinese DOC, molto legato alla sua terra e il fatto che la sua azienda abbia ancora la sua sede a Capolona ne è la conferma. Quando lo abbiamo contattato per chiedere la sua disponibilità a rilasciare un’intervista abbiamo capito subito che saremmo andati a parlare con una persona concreta e che va subito al sodo: «Venite domani mattina, ma presto, io come sempre sono in azienda dalle 6.30». Ecco quello che ci ha detto al telefono, così il giorno dopo eccoci nella sua azienda ad ascoltare il racconto della sua esperienza nel Consiglio di Amministrazione di Banca Etruria.
«Sono entrato come consigliere in banca Etruria a metà del 2007 e mi sono dimesso ad ottobre 2009. Fui chiamato come imprenditore aretino. Ero orgoglioso di poter partecipare a questo incarico Perché amministrare, far parte del gruppo di amministratori della banca locale, del territorio, è motivo di orgoglio. Una banca che ha fatto vivere la crescita dal dopoguerra in poi nella nostra zona. All’inizio, quindi, ero orgoglioso. Poi, quando ho cominciato a capire come andavano le cose, e soprattutto dopo che fu defenestrato il Presidente Faralli, le cose cambiarono. Il cambio della presidenza fu messo in atto con molta disinvoltura perché il 26 aprile del 2009 l’assemblea lo riconfermò a tutti gli effetti, ma il 23 maggio, con un blitz, con 8 voti a 7 in un consiglio di 15 membri, fu defenestrato e l’ottavo voto venne da un consigliere che aveva un affidamento di circa 40 milioni di Euro e che poi è andato in bancarotta fraudolenta e addirittura in galera. Quindi non poteva votare. Da lì sono cominciate le mie lotte continue in Consiglio, con verbali non sempre lineari gestiti dal segretario. Io dovevo sempre discutere sul testo che doveva essere fedele a quello che avevamo discusso nella seduta precedente e chiedevo continuamente notizie. I verbali venivano portati alle 09.30 sul tavolo e alle 09.31 chiedevano l’approvazione, magari avranno anche scritto: “è stato letto e approvato”. Cosa non vera. Quindi io non potevo continuare a litigare con il segretario, con il presidente e a questo punto, essendo imprenditore non mi manca il da fare soprattutto negli ultimi anni, ho pensato “chi me lo fa fare”. Dei 250 Euro a seduta che venivano erogati, delle eventuali ripartizioni di utili che fino al 2008 ci sono stati, in percentuali gestite come da disposizioni bancarie, potevo fare a meno grazie a Dio e ho deciso di dire basta. Il 18 ottobre 2009, se non sbaglio, sono andato in Banca d’Italia a Roma dove ho anticipato e motivato le mie dimissioni e ho fatto vedere il testo della lettera di dimissioni che avrei inviato in banca e il pezzo dell’articolo del giornale che feci uscire, mi pare, il 25 ottobre due giorni prima dell’assemblea dove io non ero già più presente».
Ma cosa non andava, in questi giorni si è parlato molto degli affidamenti che venivano dati con una certa facilità…
«Gli affidamenti in generale venivano dati dalla struttura, gli affidamenti che riguardavano i consiglieri o i sindaci dovevano passare in consiglio, come prevede l’articolo 136, e questi affidamenti venivano discussi con l’interessato davanti. Anche questa è una prassi che non va bene. Questo e altri problemi dovevo affrontare e siccome io sono anche cardiopatico non potevo rischiare di litigare e ho deciso di venire via. Nell’articolo dicevo che avevo paura che la banca perdesse la territorialità. Già allora c’erano i 4/5 dei consiglieri non di Arezzo, prima era il contrario, e quindi gli affidamenti erano dati anche fuori del territorio. Per questo dicevo che probabilmente non sarebbe andata a finire bene e purtroppo avevo visto giusto, dico purtroppo perché oggi tutti sappiamo che la situazione è molto molto grave io l’ho detto appena è uscito il Decreto».
Il Decreto che fa tanto discutere, lei cosa ne pensa?
«Penso che il Governo, da un certo punto di vista, abbia fatto bene a fare il Decreto che ha salvato dal 1° gennaio la banca dal fallimento, cioè ha salvato i correntisti e ha salvato, momentaneamente, i dipendenti. Io spero per sempre ma purtroppo le voci che circolano… perché certamente chi acquisterà la banca la vorrà in funzione…».
E tra i problemi c’è da aggiungere anche il fatto che la credibilità della banca è sottozero e che i soldi vengono portati via dai clienti…
«In questo momento mi dicono di si, le grosse cifre credo siano già state prelevate 4 o 5 mesi fa, oggi purtroppo anche il piccolo correntista… Purtroppo vengono giudicati gli azionisti come fossero speculatori di borsa, ma invece gli azionisti di Banca Etruria sono soci che avevano acquistato in vari modi, non entro nel merito, sia le azioni che le obbligazioni. Stavo dicendo che il Governo ha fatto una mossa giusta, ma molto parziale.
Purtroppo hanno valutato le sofferenze 8 miliardi e hanno detto che incasseranno 1,5 miliardi; mi domando chi lo ha detto e su che basi. Se avessero detto anziché il 17% il 21-22% sicuramente non saremmo a questa situazione qui. Se invece di indicare 1,5 miliardi ne avessero indicati 2,5, sia gli obbligazionisti che gli azionisti sarebbero stati più tranquilli.
Non credo sia stato il Governo, perché sarebbe stato un autogol se non avessero pensato a questo, probabilmente è la Banca d’Italia, che in questa vicenda sicuramente ha molte colpe o, mi correggo, più che colpe doveva fare molto di più. Inoltre credo che la nostra banca sia stata trattata anche male, perché i numeri erano tali che poteva forse essere anche esclusa dalle 4 banche.
Ora il problema è far si che i risparmiatori, che al di là di quello che dicono in giro sono anche gli azionisti, devono essere risarciti perché non perdano niente. Per fare questo i 100 milioni che il Governo ha stanziato fanno ridere perché non servono. Ho visto che la Procura sta mandando avanti ad oggi quattro filoni di inchiesta e quindi farà la sua parte, però è un fatto penale non civile. Quindi l’altro sistema per avere denaro, il più importante, è quello che il Governo cambi il decreto per portare quel miliardo e mezzo a 2,5 miliardi e allora tutti sarebbero tutelati, l’altra cosa è che si possano mandare avanti le azioni di responsabilità perché chi sbaglia deve pagare. Questo è il mio principio e secondo me deve avvenire anche nella banca, chi ha gestito male deve pagare. Mi dispiace perché ci sono componenti del Consiglio di Amministrazione che non sanno niente, sono lì a fare i passacarte…».
Ma anche questa però è una responsabilità…
«Hanno trascurato la responsabilità che avevano e quindi peggio per loro perché dovevano o venire via come feci io, o battere di più i pugni sul tavolo come io per un po’ di tempo ho battuto. A questo punto si devono prendere le proprie responsabilità. Il vecchio commissario speciale della Banca Etruria Giuseppe Santoni è l’unico titolato a fare subito l’azione di responsabilità e anche Roberto Bertola, che è il nuovo amministratore della nuova banca, dovrebbe fare questo. Quindi, secondo me, qualche possibilità di avere qualcosa indietro c’è, però bisogna lottare. Anche gli esposti che sono stati fatti dai consumatori e da altri dovrebbero aiutare però secondo me l’azione di responsabilità va fatta perché abbiamo tanti casi di imprenditori, anche nella zona, che per ragioni di mercato o altre dopo decenni di attività sono sul lastrico e per vari motivi hanno perso soldi e hanno dovuto chiudere l’attività e quindi pagano di persona, in prima persona. E allora perché questi signori se la devono cavare sempre?».
A proposito di responsabilità, parlando di Banca d’Italia e di quello che succedeva in Banca Etruria, il Decreto è stato varato perché dal 1° gennaio ci sono nuove norme europee, il cosiddetto Bail in, che però si conoscevano da due anni almeno. Sono stati informati i clienti del nuovo livello di rischio? Chi doveva farlo, le singole banche, o Banca d’Italia avrebbe dovuto imporlo?
«Le colpe, secondo me, sono di tutti. La Banca d’Italia poteva fare molto di più. Io non posso dire altro, solo che secondo me poteva fare di più. È chiaro che la gestione è in mano a chi gestisce i conti e se nella banca ha sempre comandato presidente, vicepresidente vicario, vicepresidente, direttore e forse un altro paio di consiglieri sono loro, e anche gli altri consiglieri, che hanno approvato. Io spesso i bilanci non gli approvavo perché non erano fatti a mio parere nel modo giusto e se loro avessero fatto lo stesso probabilmente negli ultimi 6 anni potevano fare qualcosa. Le colpe è facile darle ora, ciascuno doveva essere cosciente di ciò che poteva fare e non ha fatto».
Sembra di capire che, secondo lei, se una banca vuole mantenere il proprio ruolo non deve perdere la sua territorialità. E rispetto al futuro adesso cosa può succedere, anche pensando al Casentino che ha subito un duro colpo da questa vicenda?
«Difficile poterlo dire oggi. Dobbiamo sperare che chi acquisterà la banca guardi al territorio perché il territorio sicuramente fa lavorare la banca, abbiamo ad Arezzo e in Casentino tanti esempi di gente operosa. Mi auguro quindi che non la compri una banca che poi la porti altrove, credo che sia doveroso lasciarla sul territorio, lasciare soprattutto l’operatività con più dipendenti possibile».
E se il decreto non cambiasse…
«Sarebbe un disastro. Il Governo ha fatto una cosa giusta, ma molto incompleta perché in altri Paesi le banche e i risparmiatori sono stati tutelati. Per me non è neppure molto difficile…».
Quindi secondo lei c’è ancora possibilità di recuperare la situazione?
«Me lo auguro perché vedo che per le forze politiche, e anche all’interno del PD, è una partita molto importante. Io la politica non l’ho mai fatta a non me ne intendo, però mi pare di capire, da quello che sento, che è molto importante che venga sistemata questa cosa, per questo sono fiducioso che venga risolta».
Al di là della vicenda Banca Etruria lei come vede la situazione economica aretina e casentinese e quali scelte dovrebbero essere fatte in questo momento.
«Se veramente lo sapessi farei un altro lavoro. Purtroppo il Casentino ed Arezzo soffrono della situazione nazionale e quindi tutta questa ripresa purtroppo non si vede. La gente non spende, chi ha i soldi ha paura. Molti invece non li hanno proprio i soldi. Quindi penso che avremo davanti un periodo piuttosto buio e bisognerà lottare per sopravvivere, io parlo di impresa e produzione a cui poi è collegato un po’ tutto. Io mi auguro che la nostra azienda, che quest’anno raggiunge i 70 anni di attività grazie a mio padre e ai miei zii che l’hanno fondata, possa continuare ancora a lungo ma, mi creda, con grossi sacrifici che non sono assolutamente in proposizione ai risultati».
Anche per lei scegliere di rimanere in un territorio come questo è un peso dal punto di vista economico?
«Non è un peso perché sono aretino, sono casentinese. Dal punto di vista economico noi abbiamo scelto di fare sempre il “Made in Italy”. Produzione del fondo e montaggio tutto qui e non abbiamo delocalizzato. È una scelta che spero andando avanti possa pagare per mantenere questa azienda in vita e l’occupazione che abbiamo».
Ritiene che nelle scelte politiche che sono state fatte anche in passato o nell’influenza della politica aretina sulla banca si possono individuare alcune delle cause che hanno portato a questa situazione?
«Io non lo so perché non ho mai frequentato la politica. Mi è stato chiesto tempo fa se quando ero nel Consiglio c’erano influenze della Massoneria o dell’Opus Dei. Io non ho notato questo. Io ho notato che, purtroppo, quando è entrato su Fornasari, lo ha fatto con il voto di un consigliere che non poteva, probabilmente, votare. Un voto non è Massoneria non è Opus Dei…».
Sono interessi…
«Sono interessi. La politica non la vedo dentro. Ora certamente sono in ballo tante cose che io conosco leggendo i giornali, ma non conosco più di questo. Quello che poteva fare la politica in più non glielo so dire. Io so, purtroppo, che chiunque poteva fare qualcosa e non l’ha fatta, ha sbagliato. Non so chi, però, questa è la realtà. Dal 2009 se qualcuno voleva fare qualcosa di positivo la poteva fare».
Ma lei ha poi riprovato a rientrare nel Consiglio di Amministrazione di Banca Etruria…
«Nel 2011 feci quella “fortunata” corsa con una lista opposta a Fornasari per la presidenza. Fortunata perché persi. Era una lista di amici di Banca Etruria per subentrare, se vincevo, alla presidenza. Per fortuna non vinsi, perché visto come sono andate le cose che allora non conoscevo… Allora dissi che ero stato un poco deriso ed effettivamente fu così perché la mia lista prese poco più di 2.000 voti, quando nelle assemblee precedenti il massimo dei voti era stato intorno ai 1500 totali. Quella volta i voti totali arrivarono a 10.000. Quindi…».
Qualcuno si era mosso…
«Di fatto io ho perso e in quel momento dissi “purtroppo”. Subito dopo, e ora in particolare, dico “per fortuna” ho perso, perché c’era comunque da lavorare e fare forse delle cose impossibili…».
Già a quel punto la situazione poteva essere stata irrecuperabile?
«Non lo so, era quattro anni fa. Facile per me dire adesso quello che si poteva fare o non si poteva fare. Correttamente dico che in questo tempo qualcosa poteva essere fatto. Qualcuno mi ha chiesto: “se andava su lei cosa avrebbe fatto?”… Certamente peggio di Fornasari e Rosi non avrei fatto».
Ma se non c’era un discorso politico dietro, tutti questi prestiti dati senza controllo con che criterio sono stati dati e come si possono spiegare?
«Non credo siano stati dati solo per favoritismi politici. Sono stati dati probabilmente con leggerezza. Certamente dovevano essere azioni guardate molto più attentamente questo è chiaro. È vero che hanno dato soldi anche ad imprese della zona che poi sono fallite, ma sono piccole cose rispetto a quello che è messo in sofferenza, che riguarda prestiti che hanno fatto in tutta Italia. La zona ha portato qualcosa ma non tanto. Non so se la politica c’entri e non so cosa altro ci possa entrare. Io so che dovevano essere dati con più attenzione».
La banca è diventata una specie di mucca da mungere da tutta Italia e le risorse aretine sono andate in altre parti del Paese…
«Non sono mica venuti a rubarle, sono state concesse».
(tratto da CASENTINO2000 | n. 266 | Gennaio 2016)

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