di Anselmo Fantoni – Da qualche anno nella nostra magica valle si torna a parlare di vino e più di recente di olio. Ci stiamo chiantizzando? O semplicemente ci allineiamo alla toscanità di cui siamo figli? In effetti noi siamo stati e lo siamo ancora, terra di confine, terra di passaggio, ma anche terra di riflessione eremitica fuggendo la mondanità folle della storia. Certo è che gli antichi romani apprezzavano il nostro vino e, all’inizio del rinascimento, i vini casentinesi erano considerati al pari di quelli chiantigiani.
Nel tempo poi, per motivi diversi, il Chianti ha continuato il suo sviluppo e se pur con alti e bassi oggi è una delle parole italiane più utilizzate al mondo. I nostri vini invece hanno visto un inesorabile declino fino agli inizi del terzo millennio quando alcuni pionieri hanno cominciato a credere nelle potenzialità del nostro territorio, come non ricordare Ceccarelli che dette il la col suo merlot Castelpoppi, Massart da Subbiano con il suo sangiovese e la storica cantina dei Monaci camaldolesi: La Mausolea. Qualche anno dopo l’intuizione e la cura maniacale del vigneto di Tommasi in stretto confronto con l’amico, artista del Vinsanto, Staderini, danno forma al mitico pinot nero “Civettaia” e non solo vista la vicinanza con il Kuna.
Dopo il successo internazionale del pinot molti altri, giovani e meno giovani, si sono impegnati nella produzione del nettare di Bacco realizzando i propri sogni nel cassetto: Fregnan col suo metodo classico, interpretazione personale del pinot e dello chardonnay; Martinelli col suo risling; Bigioli col suo ancestrale Mahsarà; Stefani e Polverini due donne coi loro shyraz; Albamora, un progetto slow con sangiovese; Cresci col sauvignon blanc; Vezzosi in Agna con l’incrocio manzoni; Moritz a Fontefarneta e Gressa col cabernet franc; I Monaci col loro tradizionale passito; Cincinelli da Subbiano col suo mammolo; Vezzosi da Poppiena col suo rosato; Salvadori che ha abbellito lo splendido complesso dell’Antico Fio con vigne di shyraz; Acciai col shyraz; Renzetti col pinot noir; e altri che si stanno affacciando in questo magico mondo.
Ci sono famiglie che si affacciano sul territorio o ritornano nei luoghi degli antenati: Casadei che dalla Rufina ha deciso di piantare radici a Romena e Miraglia nome evocativo per il Casentino, che ha scommesso sullo shyraz. Pensare che trenta anni fa tutto questo non esisteva fa commuovere. Ovviamente l’offerta vinicola è molto più articolata di quanto sopra e il panorama caleidoscopico dovrà trovare una sua anima, un suo vitigno principe, ma da Pratovecchio a Subbiano c’è un mondo variegato che potrà portare a risultati interessanti, possiamo perfino legare il Casentino al Chianti e al suo Vinsanto, infatti, l’areale della denominazione arriva fino a Subbiano e questa è una possibilità in più per tutti.
Ora, in un mondo complicato, massificato, standardizzato, controllato dalla tecnologia, l’anima artigiana casentinese pare sia in pericolosa contro tendenza, o forse magicamente proiettata verso produzioni di nicchia vocate all’alta qualità e ai mercati più esigenti. Fino ad oggi i nostri eroici viticoltori si sono mossi singolarmente con successi alterni e questi pochi anni hanno fatto si che maturasse in loro la volontà di cominciare a fare gruppo, a ricercare sinergie per affrontare le difficoltà dei complicati mercati nazionali e soprattutto internazionali. È così che sta prendendo forma l’Associazione Viticoltori Casentinesi, a scanso di ripensamenti dell’ultimo minuto sono stati scelti organi direttivi e sede dell’Associazione. Per la presidenza si è puntato su Marco Biagioli, bio dinamico in tutti i sensi che saprà sicuramente motivare il consiglio e tutti i soci. Per la sede viene riconosciuta l’importanza che ha ricoperto negli ultimi decenni la manifestazione vinicola “Il Gusto dei Guidi” e grazie alla disponibilità della Pro-loco e dell’Amministrazione Comunale sarà in quel di Poppi in uno dei suoi tanti palazzi storici.
Piace pensare che gli sforzi dei tanti volontari che negli anni hanno fatto scuola in materia di promozione del territorio, riportando in vita le cantine storiche di Poppi, ma anche contribuendo a far diventare Poppi uno dei Borghi più belli d’Italia e, perché no, a contribuire alla rinascita del vigneto casentinese, dimostrando che le azioni mosse dall’amore al territorio e al proprio campanile produce sempre positività e sviluppo anche per i campanili confinanti.
Ovviamente ci vorrà tempo per crescere e per cogliere i frutti dell’impegno che dovrà obbligatoriamente fare sintesi tra tutti i soggetti in campo, in prima linea i viticoltori, ma subito dietro tutte le attività ricettive e di ristorazione, associazioni territoriali e culturali e perché no sportive.
Il vino ci sta aprendo grandi opportunità, a tutti noi la responsabilità di coglierle e potenziarle. Chi sa se i nostri figli potranno continuare a intraprendere, lavorare ma, soprattutto, vivere in questa splendida valle. In alto i calici.