di Sefora Giovannetti – La scuola è aperta ma è vuota, le aule non risuonano di risa e chiacchiere. Nei corridoi niente più orde di adolescenti che mangiano merendine. Solo il personale ATA è rimasto a presenziare, fornendo supporto a chi ne abbia bisogno. È proprio in questi momenti di difficoltà che viene più facile riflettere sul proprio quotidiano. La cosa che ci sembrava più semplice, quella di fare lezione in classe, adesso sembra essere difficilissima. Tutti la davamo per scontata sia noi insegnanti che i ragazzi che la vivevano, a volte, come una costrizione. Adesso non si fa più, i professori sono a casa e i ragazzi rimangono con i nonni. È in questo vuoto improvviso che si insediano nuove domande. Nascono nuove modalità di approccio didattico: la scuola è vuota, ma non è chiusa. Ci stiamo tutti rimboccando le maniche per sostenere questo momento difficile. I docenti continuano a dare i compiti agli studenti in base all’orario scolastico, per mantenere un certo ritmo di lavoro. Nei registri elettronici vengono caricati, per ogni materia, riassunti o schemi che possano essere d’ausilio allo studio. Vengono messe a punto forme di didattica utili alla circostanza, impostate sulla classe virtuale. Il docente non solo è tenuto a fornire alle famiglie materiali inerenti alla propria materia, ma deve favorire, attraverso l’utilizzo di piattaforme on-line, una, se pur minima, interazione con gli allievi, una dimensione comunitaria e relazionale dentro al gruppo classe.
Queste importanti trasformazioni all’interno dell’ente scolastico, da sempre poco incline ai cambiamenti repentini, impongono al personale docente una buona dose di flessibilità e duttilità e ai ragazzi un nuovo tipo di impegno e senso di responsabilità. “Prima”, in un certo senso, era facile andare a scuola e permettersi anche il lusso di non essere attenti in classe, adesso la situazione si è ribaltata. I ragazzi devono organizzarsi: da una parte controllare il registro elettronico per visionare i documenti e i compiti assegnati dagli insegnanti, dall’altra abituarsi all’idea di trovarsi in una classe virtuale in cui l’unica interazione con l’insegnante può essere attraverso un microfono.
Pur constatando la gravità del momento, questa emergenza ci fornirà forse un’opportunità: agli insegnanti di ampliare il proprio orizzonte didattico-metodologico e agli studenti di risvegliare una nuova forma di consapevolezza. Le procedure che i ragazzi dovranno attivare per mettersi in contatto con la scuola, mi auguro, riescano a rendere loro chiaro che le lezioni e tutto il mondo dell’apprendimento non sono una vuota routine, ma degli elementi che riempiono il quotidiano di passione, di fantasia, di riflessione, di memoria. La matematica, le scienze, italiano, storia… non sono solo parole vuote, ma sono compagni che, anche se nell’immediato non ce ne rendiamo conto, ci strutturano, ci cambiano, migliorandoci. Ecco perché adesso la loro assenza diventa un vuoto importante, quasi una voragine che non si può colmare con il solo bighellonare in paese, anche questo, alla lunga, stanca. Ecco dunque l’attivazione di nuove metodologie che vadano ad accorciare la distanza fisica tra scuola-alunni, tra insegnanti-discenti. Certo la gelida mano della tecnologia non accoglierà e abbraccerà come può farlo quella umana, ma di certo in una situazione come questa potrà fornire un ottimo ausilio. Questa sarà la nuova frontiera dell’insegnamento? A dire il vero mi auguro proprio di no. Le nuove tecniche on line sono degli aiuti, dei supporti al lavoro umano, che deve essere messo sempre in primo piano. Cito, a tal proposito, le parole di Barbero docente di storia medievale, il quale invita a non lasciarsi infatuare dalle nuove tecnologie.
Le piattaforme non possono sostituirsi ai professori dato che ne rappresentano una pallida eco. Per cui adesso ben vengano le piattaforme virtuali in attesa di poter rientrare nelle nostre classi, questa volta senza password.
Sefora Giovannetti, Docente scuola secondaria di primo grado – Rassina
(tratto da CASENTINO2000 | n. 317 | Aprile 2020)