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mercoledì, 6 Novembre 2024

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L’inventore di cose inventate

di Gabriele Versari – «Non c’è un particolare significato dietro alle parole contenute nella descrizione del mio profilo Instagram. Semplicemente, mi piace utilizzare un tono goliardico e scherzoso per i post che pubblico e in generale nel mio profilo. Non ho mai inventato nessun marchingegno particolare. Più che altro, trovo soddisfazione nel trasformare gli oggetti e i materiali allo scopo di conferirgli nuova vita oppure una nuova funzionalità. Preferisco utilizzare una forma di comunicazione “ironica” per avvicinarmi maggiormente a chi mi segue, avere un approccio informale ed entrare così nelle corde del pubblico. In questo modo, sento che quando pratico il mio hobby non sono solo, soprattutto grazie alle interazioni e ai messaggi che ricevo quotidianamente sui social da parte di chi prende visione delle mie opere. Ricevere questi feedback mi motiva ulteriormente nel proseguimento della mia attività, specie quando arrivano da amici o persone a me vicine. Il social, dunque, ha per me una doppia funzione: pubblicizzare l’attività ed essere un’ulteriore motivazione per portare avanti il lavoro».

Daniele Stocchi è un giovane residente nel comune di Subbiano che su Instagram (utente: danistock_maker) si designa come “Inventore di cose inventate”. Di recente, ci ha accolto nel capannone dove realizza le sue opere. L’occhio e l’attenzione ricadono subito su vecchi strumenti musicali di varia tipologia, tutti in fase di restauro.

La domanda che sorge spontanea è: da dove derivi la passione per l’attività manuale e la lavorazione del legno come materiale impiegato per la costruzione e creazione degli oggetti? «La mia indole è sempre stata legata all’ambito del cosiddetto “making”, del fare con le mani. Sicuramente, l’essere cresciuto in una famiglia di artigiani ha contribuito a tale forma mentis. Mio nonno, ad esempio, era solito recarsi presso la discarica locata vicino a dove abito attualmente e approvvigionarsi degli oggetti più disparati per ripararli e renderli di nuovo utilizzabili. Dal canto suo, mio padre è proprietario di un’impresa specializzata nella progettazione e fabbricazione di impianti elettrici ad uso civile e industriale. Tutto ciò che concerne l’ambito dell’elettronica l’ho imparato in gran parte dalla sua esperienza. In ogni caso, si tratta di una passione che mi accompagna da quando ne ho memoria. Fin da bambino (avevo intorno ai cinque anni) la mia curiosità legata agli oggetti costruiti manualmente mi spingeva a creare spade e pistole in legno con cui mi divertivo a giocare da solo o con gli amici. Grazie alla sega in martello, regalatami da mio padre, imparai poi a tagliare e rincollare i pezzi di legno. In tal modo, verso i dieci anni, fui in grado di costruire oggetti dalla progettazione più complessa, come ad esempio aereoplanini e modellini di vario genere. Tutte queste attività avevano luogo nel garage di casa, dove avevo un piccolo banco da lavoro che mi permetteva un buon margine di operatività. Continuai a portare avanti questo singolare hobby per tutta l’adolescenza fino a che, una volta raggiunta la maggiore età, decisi che era il momento di compiere un doveroso salto di qualità attraverso una maggiore comprensione di tutto ciò che era inerente al trattamento del legno (taglio, lavorazione e verniciatura). Acquistai la prima sega a nastro – che tutt’ora utilizzo – la quale mi permise maggiore automazione durante il processo di composizione e assemblaggio del legno, dato che fino ad allora avevo effettuato queste operazioni con l’esclusivo utilizzo delle mani. Riuscii a evolvere la mia tecnica di lavoro a tal punto da permettermi di realizzare oggetti molto più grandi di quelli creati fino ad allora: i mobili presenti in casa e i banchi da lavoro, fondamentali per i progetti che ho realizzato e per quelli che sto portando avanti tutt’oggi».

Successivamente, a Daniele viene chiesto in che modo le attività citate siano state ricondotte al restauro di strumenti musicali. «Durante il periodo delle superiori, con alcuni miei amici abbiamo iniziato ad interessarci alla musica rock degli anni Sessanta e Settanta. Questa passione ci ha uniti nel tempo; di comune accordo, infatti, prendemmo la decisione di fondare una band denominata “I Tacita Intesa”, con la quale siamo passati dal non sapere suonare gli strumenti a riuscire a vincere alcuni contest musicali locali. Abbiamo sempre prediletto il rock progressivo come genere musicale, famoso per l’utilizzo di particolari strumenti come tastiere elettroniche e sintetizzatori. Più in generale, l’ambito degli strumenti musicali tout court mi ha sempre affascinato: l’idea, che un oggetto possa produrre un suono piacevole all’ascolto attraverso determinati meccanismi e processi fisici, è secondo me tra le più intriganti per chi progetta e crea opere artigianali come il sottoscritto. Restaurare i vecchi strumenti è stato il connubio tra la passione per la musica appena descritta e l’abilità nel lavorare e trattare il legno. Nelle ultime settimane, ad esempio, mi sto occupando del ripristino di un vecchio pianoforte elettrico (nello specifico uno Rhodes del ‘78), in grado di produrre un suono definito “elettroacustico”, spesso riscontrabile tutt’oggi in brani che riprendono il progressive rock anni Settanta. Come si può intuire dalla foto, pare che qualcuno abbia lasciato traccia di sé in passato, incidendo sui tasti del pianoforte alcuni segni/simboli, probabilmente per i posteri, il che rende il lavoro di restauro ancora più interessante!».

Dal suo approccio all’opera sembra che per Daniele progettare e creare oggetti in legno non sia solo un lavoro eminentemente pratico, bensì una vera e propria forma di espressività, un’esternalizzazione dei propri gusti e un conferimento di forma delle proprie idee. «Se visti da un punto di vista esclusivamente pratico questi oggetti potrebbero sembrare solamente dei pezzi di legno assemblati tra loro. Per il sottoscritto sono molto di più. Molte persone non danno eccessivo valore a certe tipologie di manufatti. Quando giro nei mercatini dell’usato le sensazioni che provo sono diametralmente opposte: m’innamoro di ogni singolo pezzo che osservo, vado oltre l’apparenza, in una visione che potrebbe dirsi quasi “filosofica”. Mi interrogo sulle origini dei materiali, su chi sia il costruttore, su quale sia stato il loro percorso prima di arrivare tra le mani del commerciante o le mie. Insomma, sono intrigato dalla storia che sta dietro ogni opera fisica. Tornando all’esempio del pianoforte elettrico, mi sono sempre chiesto chi abbia realizzato le incisioni presenti sui tasti, quando e perché lo abbia fatto. Credo che questa peculiarità sia distintiva di noi artigiani: guardare al di là di ciò che vediamo esclusivamente con gli occhi, spostando lo sguardo su ciò che è invisibile, ovvero quel sentimento di affetto che scaturisce quando tocchiamo con mano le nostre opere, frutto del lavoro compiuto con le nostre stesse mani. Lavorando sul pianoforte non sto solo rendendo un oggetto che avrebbe altrimenti esaurito la sua funzione di nuovo utilizzabile, ma anche portando avanti una sorta di un’eredità, come se stessi instaurando una connessione diretta tra le mani del fautore dello strumento in questione e le mie. È per questo che anch’io firmo i miei restauri, sottoscrivendo l’opera attraverso una targhetta con cui attesto il lavoro compiuto. Volgendo lo sguardo al futuro, riuscire a convertire l’attività che sto praticando in qualcosa di redditizio e remunerativo sarebbe fonte di grandi soddisfazioni. Anche se essa divenisse soltanto una fonte di guadagno secondaria, sarebbe comunque un incentivo in più per continuare a occuparmi di restauri, che nel frattempo cominciano a essere sempre più numerosi. Per tale motivo, riuscire a vendere gli strumenti diventerà obbligatorio tra qualche tempo, vista l’importante quantità. D’altronde, la curiosità legata a questi oggetti e a come funzionino mi spinge ad accaparrarne sempre di nuovi, a smontarli e riassemblarli nuovamente».

Durante la chiacchierata scopriamo che Daniele si occupa anche della realizzazione di maschere e costumi da cosplayer, ispirati ad alcuni personaggi della cultura manga e anime nipponica. «Tutto è iniziato con alcune richieste di amici stretti, all’età di circa quindici anni. All’epoca iniziai a coltivare un’altra passione, quella per i cartoni giapponesi. Replicare le armi e le armature dei protagonisti dei prodotti dell’animazione orientale fu un’ulteriore modalità di esprimere le mie abilità manuali e la creatività, come lo è tutt’oggi. Dalle immagini, infatti, è possibile visionare i costumi che ho indossato all’ultimo “Lucca Comics”, evento per appassionati di fumetti che si svolge ogni anno nella città di Lucca. Per costruirli e assemblarli ho utilizzato i materiali più disparati trovati in diversi negozi, ma comunque quelli che ritenevo più adatti per rendere autentico il personaggio rappresentato. Diverse persone mi hanno suggerito di rendere un mestiere questa attività insieme a quella del restauro. Solo il futuro potrà rivelarci se avrò compiuto il grande passo».

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