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venerdì, 26 Aprile 2024

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Morte sulla ciclabile #3

Continua la pubblicazione a puntate del racconto di Marco Roselli “Morte sulla Ciclabile”, all’interno dello spazio GIALLOCASENTINO. Roselli, apprezzato scrittore casentinese, si cimenta qui con un genere nuovo per lui, il giallo. Naturalmente ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Stazione dei C.C. di Bibbiena, 20 ottobre
Capitano Brini, appuntato Vangelisti. Convocazione del signor Gino Brogini.
-Andiamo Brogini, mica vorrà farci credere che lei era un fan del sindaco? Affermò il capitano in tono assertivo.
L’interrogato non era certo un tipo che si lasciava intimidire, perciò rispose a tono:
– Io posso aver criticato l’operato dell’amministratore, ma non penserete mica che potrei aver commesso un omicidio?
– Noi non pensiamo niente. Ma le dobbiamo chiedere di restare a disposizione e di essere sollecito nel presentarsi. Non ci costringa a venirla a prendere!
– Ho avuto da fare, per quello non sono venuto subito, io devo lavorare…
-Cosa vorrebbe insinuare?! Urlò il militare il cui viso paonazzo adesso sfiorava quello dell’altro.
La tensione si sarebbe potuta tagliare in tante fette da farne una catasta alta come il grattacielo di Soci, ma poi, il ruolo e l’esperienza del carabiniere ricomposero la situazione.
– Adesso vada. Buona sera.
Il Brogini uscì dalla stanza tirandosi dietro la porta.
– E non sbatta la porta! Ha capito?!
– Voglio un rapporto dettagliato su questo tizio. Che interessi ha. Che gruppi politici frequenta. Cosa poteva guadagnare dalla morte del Masini.
Poi mi aspetto che non verrà fuori niente e chiuderemo le indagini, ma voglio andare a dormire pensando di averle provate tutte.
-Sarà fatto capitano.
Intanto, mentre il civile usciva, era entrato l’appuntato Tosi.
-Ci sono novità?
-No capitano. Nessuna. Ho però controllato quell’Andrea Lanari che lavora all’Omplaf.
Sembra che sia proprio lui quello che spaventa le persone sulle ciclabili e non solo. Ci sono un paio di testimonianze. Potremo metterlo sotto torchio. Magari confessa.
-Ah, si! Ma certo! Replicò seccamente il superiore che poi aggiunse:
-Peccato che proprio in quelle ventiquattro ore fosse ricoverato in ospedale imbottito di sedativi. E adesso fuori!
L’uomo fece un paio di giri attorno alla scrivania quindi imprecò:
-Porca puttana!!
Dagli altri uffici arrivarono alcuni carabinieri, compreso quello di piantone, che si premurarono di chiedere se tutto andasse bene.
-Andate tutti a fare in culo!!!
La poltrona che stava sotto la fotografia di Napolitano era volata attraverso la stanza andando a fracassare la finestra.

ERMANNO INDAGA
Quando arrivarono i giorni della luna nuova di novembre, Ermanno cominciò a sentirsi più irrequieto del solito. Per gestire i propri stati d’animo ricorreva spesso al bere. Quelli della birreria Bifrons, la sua preferita, se lo vedevano arrivare a tutte le ore.
Qualche volta avevano pure telefonato a Giovanni per riuscire a buttarlo fuori dal locale.
Non che desse fastidio a nessuno, solo temevano di restare senza prodotto per gli altri clienti.
Anche nell’arte della sbronza era un solitario. Si piazzava al banco e scolava un boccale dopo l’altro con maestria. Sorseggiava lentamente, facendo delle pause in modo da poter ingurgitare quantitativi colossali di bionda, apparentemente senza colpo ferire.
Quando gli pareva che l’alcol etilico fosse giunto al livello di guardia, si faceva servire una tequila e un limone che ingoiava di colpo. Poi ricominciava.
In capo a qualche ora però, nonostante i trucchi del mestiere, la sbornia presentava il conto e dovevano tirarlo fuori da sotto le sedie.
In periodi come quelli, in pieno autunno, le sue manie lo portavano a stivare la cucina di una quantità di prodotti del bosco, funghi perlopiù.
Clitopilus prunulus in testa – che amava più dei porcini – ma anche Cantharellus cornucopioides, senza disdegnare affatto Cantharellus cibarius.
Molti spontanei stavano sparsi in ogni ripiano oppure ammucchiati in attesa di essere sottoposti al controllo di qualità. Sopra la cucina economica trovavano posto pentole e pignatte che ribollivano 24h, per la necessaria scottatura di boleti e barattoli, colmi di olio e aceto.
Questi, però, una volta preparati ed etichettati come si conviene, rappresentavano solo una parte della filiera.
Appesi al soffitto piuttosto che al lampadario penzolavano lunghi anelli di prodotto in essiccazione.
Nuvole di vapore smussavano i contorni di pareti e suppellettili, facendo somigliare tutto l’ambiente più alle fucine di Saruman del Signore degli Anelli, che a una normale cucina domestica.
Quando poi accadeva che da qualche semilavorato partissero in volo decine e decine di minute farfalline bianche, per Ermanno era il massimo della soddisfazione come novello alchimista.
Allora si sedeva e distendeva le gambe sopra la tavola. Accendeva la televisione a tubo catodico con un telecomando di carpino lungo quasi due metri e si sentiva soddisfatto.
Immerso in quelle nebbie, all’interno del proprio ecosistema chiuso, con lo schermo gracidante e le immagini sgranate, poteva perfino essere felice. Ma non quella volta.
Il plenilunio si stava avvicinando e sembrava che tutti i rituali fossero inefficaci perché l’uomo non trovava pace. Aveva sistemato tutte le piante. Le aveva annaffiate eliminando le foglie secche e rinvasato gli esemplari che ne avevano bisogno. Poi si era dedicato alla rifilatura delle bacchette da rabdomante che aveva lucidato come lamine di acciaio.

PLENILUNIO
Il grande satellite cresceva quotidianamente la sua luce, andando a mitigare il grigio diurno e illuminando le notti fredde del mese dei morti. Questo sembrava una invalicabile gabbia temporale con sbarre impalpabili ma solidissime, dalla quale nessuno può fuggire, almeno fino al tempo dell’Avvento.
Neppure Ermanno era estraneo a quella sensazione opprimente, anzi, provava sempre più turbolenza interiore.
Poi arrivò il plenilunio e allora sembrò che tutte le porte degli inferi si fossero aperte, liberando per le strade i demoni più perversi e orribili.
Quella notte cominciò a sentire la fronte che scottava e le palpitazioni che salivano con il ritmo forsennato imposto dal battitore ai rematori della galera romana nella quale soffriva Giuda Ben Hur. To-tum! To-tum! To-tum! To-tum! Il cuore pompava sangue caldo e violento contro le arterie che provocavano un moto involontario degli arti, così che aveva iniziato a vagare da una stanza all’altra come una tigre.
Quando fu mezzanotte non gliela fece più e dovette uscire di casa. Come un automa si diresse verso il ponte di Camprena per salire sulla ciclabile in direzione di Bibbiena. Adesso aveva iniziato a spirare un vento gelido. Nel cielo nero scivolavano veloci nubi bianche e fredde, illuminate dalla luna sorta a oriente, oltre il monte sacro.
Fiocchi turbinavano con la leggerezza propria della loro forma, fatta di cristalli perfetti di natura. Ermanno indossava il solito vecchio pastrano e sandali senza calzini.
Camminava lentamente con il naso per aria, come per fiutarla, ascoltando il brusio degli alberi che mormoravano lungo il fiume.
Il fogliame che fino ad allora aveva resistito a quell’autunno severo veniva giù dai rami; toccava terra per poi sollevarsi e mescolarsi all’ululato delle montagne.
La notte era così spaventosa che perfino lo Zoni, abituato a dialogare con le tenebre, si sentiva a disagio, tanto da irrigidirsi a ogni crepitio.
Le chiome spoglie, più nere del nero, proiettavano ombre sinistre quando la luna sbucava dai nembi e ogni fronda poteva apparire una sagoma spettrale.
Verso i piani della ex fattoria Bruni si tolse anche i calzari per avvertire il contatto con il suolo ancora più intimamente, come lui voleva.
Dove era stato ritrovato il sindaco l’area era ancora delimitata dal nastro della pubblica sicurezza. Ermanno lo ruppe e si diresse verso il fiume, continuando a svestirsi un passo dopo l’altro.
Fogliame e nevischio lo sferzavano senza requie e il freddo era diventato insopportabile, reso ancora più intenso dal wind chill, che portava la temperatura percepita a diversi gradi sotto lo zero.
L’uomo proseguiva imperterrito, apparentemente insensibile a ogni elemento.
Quando fu completamente nudo si fermò, appoggiò la schiena contro il fusto di un grosso pioppo e chiuse gli occhi.

Gradualmente nella sua testa si andarono addensando una moltitudine di voci indistinte, come se si fosse trovato in un centro commerciale al sabato mattina.
Pelle animale contro pelle vegetale assorbiva ogni particella energetica metabolizzandola all’interno del proprio inconscio le cui dimensioni risultavano imperscrutabili perfino a lui stesso.
Registrare il delicato flusso degli ontani e quello più aggressivo dei carpini; l’agitarsi dei salici e la seriosità di qualche noce ramingo.
Improvvisamente però ebbe timore e si accucciò alla base dell’albero. Ancora non sapeva spiegarsi come, ma percepiva che la confusione nelle meningi si stava trasformando in parole chiare.
Questa nuova consapevolezza lo atterriva e la paura diventò sbigottimento quando comprese.
Alcune foglie di pioppo cadevano sulla sua testa.
“Allora hai finito la nuova urbanizzazione? C’è da cementificare il piazzale del supermerc…”
Altre ingiallite fluttuavano verso la corrente.
“Avete disboscato? Dobbiamo sbrigarci con la lottizzazione di Marena e….”
Appendici variegate di platano erano portate dal vento sulla ciclabile.
“Oh, appena levato i pini alla stazione dobbiamo spianare con la ruspa. Muovetevi con il lav…”
“Dai con quella pompa per il calcestruzzo. Tagliate quelle querce che danno fastidio…”
Le frasi si smorzavano quando le foglie toccavano terra, finendo per dissolversi al suolo.
Ermanno non voleva credere a se stesso eppure, in cuor suo, aveva ben compreso la verità.
Le foglie cadenti portavano le voci dei loro nemici, uomini che dovevano far posto al cemento.
La loro era una narrazione dolorosa, non tanto per la morte dei loro fratelli, sapevano che era nell’ordine delle cose, quanto per l’indifferenza con la quale agivano i distruttori.
Quando si decise ad alzarsi, ancora frastornato da quella follia, sentì umidità sulla pelle.
Pensò che fossero gli spruzzi del fiume fattosi impetuoso, ma, quando con le dita ne apprezzò la consistenza, cacciò un grido:
-Oh cazzo!! Ma questo è sangue!!
La luce lunare era abbastanza perché anche la vista confermasse la natura del fluido, che appariva di un colore tra lo scarlatto e il bluastro.
Si guardò intorno per cercare di capire da quale corpo potesse provenire la sostanza ematica ma non vide niente, se non delle grandi foglie di tiglio che si adagiavano a terra.
Restò perplesso perché era certo che sulla ciclabile non c’erano tigli.
“Da dove arrivano allora queste esauste estremità?” Si domandava.
Trafelato e impressionato si rivestì velocemente e se ne tornò a casa a gambe levate.

IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE
La corta lancetta del suo Rolex Submariner era sulle ore dodici, mentre quella lunga segnava il quarto della prima, quando il Brogini valicava il passo di Croce ai Mori.
Stava rientrando in Casentino dopo una intensa serata trascorsa al circolo ARCI di Londa, dove si era tenuta una riunione del partito, alla quale aveva partecipato anche il Presidente del Consiglio Ivan Renzonico.
Anche se non era tempo di pesche, il fervore socialista ardeva talmente tanto in Gino, che neppure una trasferta così impegnativa gli dava pensiero.
Ciò nonostante la stanchezza si faceva sentire, così, quando vide la paletta che gli indicava di accostare, più o meno all’altezza del Mulino di Bucchio, ci mancò poco che non se ne accorgesse.
-E questi che cazzo vogliono adesso. Pensò a voce alta.
-Sera…Patente e libretto.
-Eccoli.
Il militare prese i documenti e dopo una breve consultazione li restituì.
-Può aprire il bagagliaio per favore?
-Certamente. C’è qualche problema?
-Niente. Una semplice routine.
Mentre la torcia illuminava in vano di carico si avvide che all’interno della Subaru 4wd dei carabinieri c’era un’altra persona.
-Può salire in auto? Prego.
-Perché? Ma che succede? Me lo vuole dire per piacere?
-Nulla di cui preoccuparsi, una formalità di qualche minuto.
-Questo lo ha già detto.
Gli fu aperto lo sportello posteriore e venne gentilmente invitato a entrare.
-Buona sera Brogini. Come sta?
-Con la luce ancora negli occhi impiegò un poco a mettere a fuoco chi lo aveva salutato.
-Buona sera capitano Brini. Mi dice che sta accadendo?
-Veramente vorremo saperlo da lei. Ci racconti come è andata. Magari è stato un incidente.
-Andata…Ma cosa? Non comprendo.
-Andiamo, suvvia, lei aveva diversi motivi per fare quello che ha fatto.
-Non penserete davvero che potrei aver ucciso il Masini?!
-Pensiamo proprio questo. Se viene in ufficio a deporre spontaneamente se la caverà con poco.
-Ma vaffanculo! Se aveste avuto qualche elemento concreto a mio carico non sareste stati costretti a questa imboscata!
-Stia attento a quello che dice! Anche se non è un interrogatorio ufficiale posso sempre sbatterla dentro per oltraggio! Ha capito?!!
-Se abbiamo terminato me ne vado!
-Ma certo. Vada pure. Ma non finisce qui!!
Quando aprì lo sportello per scendere questo gli ritornò in faccia.
-Aaahhgghhh!! Mi ha rotto il naso! Mi avete rotto il naso! Urlava con la mano sul viso che grondava sangue come una fontana.
-Oh mamma! Mi deve scusare. Però anche lei deve stare attento a come si muove signor Gino. Ha bisogno di qualcosa? Disse il poliziotto ridendo.
-Ma vaffanculo!
Risalì in macchina frastornato dalle accuse e dalla botta e, non senza fatica, riprese la strada verso casa.
Mentre guidava pensò che avrebbe potuto anche chiamare il suo avvocato, ben sapendo però, che le conseguenze avrebbero potuto essere peggiori del male. •••
FINE TERZA PUNTATA

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