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giovedì, 2 Maggio 2024

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Un Casentino… Da Premio Oscar!

di Francesco Benucci – «And the winner is…» che sia Benigni o Morricone, Fellini o Salvatores, quando alla cerimonia dei Premi Oscar la dichiarazione celebrativa del successo è “coronata” dal nome di un cineasta italiano, l’orgoglio nostrano tocca, legittimamente, vette impensabili. Anche perché, dietro al personaggio insignito della prestigiosa statuetta, si cela un lungometraggio che spesso e volentieri tra le pieghe della storia, le melodie della colonna sonora, gli scorci del paesaggio, gli umori dei suoi protagonisti, parla di Italia.

Questo gioco ad incastri contribuisce a diffondere l’immagine di una penisola di cui non tace le storture, ma ne sublima al contempo fascino e incontestabile bellezza. E se è vero che ogni film diventa una notevole cassa di risonanza quando trova un tessuto narrativo ideale dove attecchire, allora il nostro Casentino non poteva certo essere condannato a una perpetua damnatio memoriae.

A risollevarne i destini cinematografici ci hanno pensato Riccardo Paoletti, Manuela Cacciamani e Carlo Longo, rispettivamente regista, produttrice e sceneggiatore di Neverlake, pellicola che attinge a piene mani da un patrimonio di storie, leggende e tradizioni che emergono, è proprio il caso di dirlo, dal Lago degli Idoli.

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L’importante sito archeologico valligiano, localizzato nei pressi della sorgente Capo d’Arno, è assurto, nel corso degli anni, agli onori delle cronache per il ritrovamento di varie statuette per lo più di origine etrusca e sovente rappresentanti parti anatomiche in ossequio all’appartenenza alla categoria degli ex voto.

È proprio la sacralità di un luogo in cui l’uomo cercava di stabilire un contatto con le divinità tramite offerte votive in acque dalle presunte proprietà terapeutiche ad offrire lo spunto per un “racconto” dark che non esita a percorrere i meandri dell’horror: la protagonista del film è Jenny (Daisy Keeping), una sedicenne orfana di madre che raggiunge il padre (David Brandon) stabilitosi in un casolare in provincia di Arezzo.

Proprio nelle campagne circostanti è situato quel Lago degli Idoli che, con le sue suggestioni, diventerà ben presto il leitmotiv dell’opera. Il padre della ragazza, abbandonata la professione medica, sviluppa una vera e propria ossessione per il sito archeologico nostrano, ossessione che riecheggia nei sogni e soprattutto negli incubi della figlia. La protagonista allevia la solitudine, cui la costringe il genitore per i suoi frequenti viaggi in città, grazie alla conoscenza di alcuni bambini ospitati in una casa-famiglia posta dietro l’ospedale del luogo.

Da quel momento il mistero si infittisce: comportamenti inspiegabili, porte da non aprire, inquietanti allucinazioni, apparizioni spaventose… Quei boschi, quelle campagne, quei fondali sembrano celare un terribile segreto. Non è invece un segreto, tanto meno terribile, il fatto che un film a tematica casentinese forse non raggiungerà una fama hollywoodiana, ma certo è meritevole di far breccia nel cuore di chi questa valle la respira, la ama e, in definitiva, la vive.

E se i meriti “tecnici” dell’operazione vanno a Rai Cinema per aver promosso un progetto consistente nella realizzazione di una serie di web movie (di cui fa parte il nostro), a Onemore Pictures per la produzione e a Rai Trade per la distribuzione, tuttavia, dietro Neverlake ci sono soprattutto idee che traggono la loro linfa vitale da quel patrimonio culturale che fa parte del nostro prezioso scrigno.

Ad aprire il suddetto scrigno e a prenderne ispirazione è stato innanzitutto il citato Longo che, venuto a conoscenza del lago e della sua storia, ha elaborato la sceneggiatura. A questo punto è subentrato il destino perché il copione è stato sottoposto proprio all’attenzione di un regista di origine aretina, Paoletti, il quale, avendo un bagaglio di conoscenze che include la lettura della raccolta “Le novelle della nonna” e rimembrando le risonanze mistiche, magiche della valle dove nasce l’Arno, ha accettato con entusiasmo la proposta.

D’altronde si trattava di affondare le “radici” della macchina da presa in un territorio che fa parte della sua formazione e, perché no, magari anche di qualche suo obiettivo futuro. Nel presente c’è questo film girato in inglese (per poi essere doppiato in italiano) che alcune soddisfazioni se l’è già tolte come quando si è guadagnato un posto, il numero 80, nella top 100 dei film europei che nel 2014 hanno attirato più spettatori nei cinema dei Paesi extra-europei; in questa prestigiosa classifica dell’Osservatorio dell’audiovisivo del Consiglio d’Europa figurano solo quattro pellicole italiane, tra cui La grande bellezza, e quindi esserci è un importante attestato circa la qualità del prodotto.

Ed in effetti Neverlake è davvero un film realizzato con cura, attenzione ai dettagli, preponderanza, ma non invadenza del digitale, un film in cui la trama cattura l’attenzione, il finale stupisce e lo stile registico convince. E in definitiva, alla luce di tutto ciò, si può, anzi si deve, perdonare qualche “peccato veniale” come il fatto di non aver effettuato le riprese nei luoghi da cui la vicenda trae ispirazione; in questa scelta non c’è alcuna preclusione verso le zone circostanti il monte Falterona ma si è trattato piuttosto di adattarsi ad esigenze puramente logistiche: la location preponderante è stata il cortonese che consentiva un migliore “accorpamento” del set mentre, per quanto riguarda il lago, la troupe ha “attinto” ad uno specchio d’acqua nei pressi dei Monti Sibillini visto che il Lago degli Idoli sarebbe risultato difficilmente raggiungibile con i mezzi tecnici necessari.

E d’altra parte il fascino del sito in oggetto, in fondo, sta anche nell’ardua accessibilità. Ma tutto ciò non deve trarre in inganno: se è vero che l’abito non fa il monaco allora alla stessa maniera possiamo dire che la confezione di Neverlake non può e non vuole certo nascondere quella ispirazione, quella location concettuale che ha il suo cuore pulsante nelle foreste che ci sovrastano, nella loro storia, in ciò che è più strettamente Nostro.

Ecco perché è un’opera che vale la pena cercare e vedere: perché utilizza un linguaggio universale, quello del cinema, per parlare di noi e di quel patrimonio culturale e naturale che ci circonda e perché pone come prova inconfutabile nonché riconoscimento delle suggestive peculiarità nostrane non una statuetta dell’Oscar, ma bensì una statuetta etrusca, così affascinante, così speciale… Così casentinese!

(tratto da CASENTINO2000 | n. 269 | Aprile 2016)

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