di Francesco Trenti – Sono consapevole che, se paragonato agli interventi di più ampio respiro pubblicati nello scorso numero di CASENTINO2000, questo mio possa apparire non solo troppo specialistico ma addirittura certamente non prioritario nel dibattito pubblico: sono tuttavia convinto che alle proposte teoriche debbano essere date gambe e che per farlo ci debba essere piena consapevolezza (se non competenza) in quello che si mette sul piatto della discussione. Ecco quindi che penso di poter dare il miglior contributo solo se parlo di ciò che ho toccato e tocco quotidianamente piuttosto che imbarcarmi in teorici “desiderata” ai quali però non saprei far succedere proposte concrete e attuabili.
Per iniziare, due parole sul contesto. Il Casentino presenta diverse realtà museali, ecomuseali o comunque espositive, dall’EcoMuseo del Casentino con le sue varie antenne diffuse sull’intero territorio al Castello di Poppi (che in parte rientra anche all’interno del citato EcoMuseo), dal Museo dell’Arte della Lana al Centro Italiano della Fotografia di Autore, dal Museo Archeologico del Casentino ‘Piero Albertoni’ al Museo del Santuario della Verna. Tre di queste (EcoMuseo, Museo della Lana e Museo Archeologico) sono inoltre strutture di Rilevanza Regionale riconosciute dalla Regione Toscana. Questo elenco, già di per sé notevole se rapportato al territorio della valle, non è affatto esaustivo, perché alle realtà citate se ne affiancano molte altre e chiedo scusa ai lettori se non ne faccio un elenco completo.
L’offerta è quindi molto varia e appare più che adeguata sia ai bisogni della popolazione che dei visitatori che vengono a scoprire i nostri territori. La domanda che però da addetto ai lavori mi pongo, e che vuole essere il fulcro di questo intervento, è la seguente: che sostenibilità ha tale offerta? E che orizzonte di durata possiamo darle? Se svestiamo i panni dei meri fruitori, occasionali o meno, e focalizziamo un attimo l’attenzione, notiamo ad esempio che ogni realtà citata dipende da un soggetto diverso, ha una propria organizzazione, una propria gestione (a volte proprie gestioni), ove presente una propria direzione o coordinamento, in definitiva una propria “politica culturale”. Spesso e volentieri, al netto di collaborazioni e di buoni rapporti vicendevoli, i vari soggetti proseguono quindi per la propria strada, portano avanti i propri progetti, operando come singole monadi all’interno del panorama territoriale e rapportandosi singolarmente agli organi sopra ordinati, ministeriali o regionali che siano.
Aggiungiamo a questo che nessuna delle strutture è un attrattore così grande da autofinanziarsi con la bigliettazione ordinaria: solo il Castello di Poppi, che è fra i monumenti maggiormente visitati dell’intera provincia (dati del Rapporto Annuale sui Musei della Regione Toscana) si avvicina a questo risultato. Ma diciamo che questo, salvo pochi esempi main stream nella penisola, è la condizione di quasi tutti i luoghi della cultura italiani. Non è tuttavia questo il punto, e anche se lo fosse non sarebbe questo lo spazio per affrontarlo. Il punto è che l’investimento corrente, pubblico o privato che sia, è rilevante e dunque credo sia opportuna una riflessione su nuovi scenari, più o meno futuribili.
La prima che mi sento di fare, e intorno alla quale ci stiamo confrontando con altri colleghi, è quella della creazione di un Sistema Museale Casentinese ufficiale. Scrivo ufficiale perché ufficiosamente è dal 2014 che esiste una rete di collaborazione sostanziale fra alcune strutture (EcoMuseo, Museo della Lana e Museo Archeologico) chiamata MEC – Musei ed EcoMusei del Casentino, la quale però non ha un riconoscimento formale e dunque, agli occhi della normativa, non esiste. Possiamo tuttavia considerarla già come un embrione da cui far nascere un Sistema Museale riconosciuto: per chi non lo sapesse, la normativa regionale (e nazionale) vigente prevede che un Sistema abbia un suo statuto/regolamento, una sua organizzazione, una sua programmazione unitaria. Cosa fondamentale è che il Sistema sia alla base di un progetto di sviluppo culturale omogeneo e amalgamato e non una mera somma di singoli.
La varia natura e appartenenza delle realtà casentinesi non può però prescindere da una scelta politica netta e chiara fra due strade ben delineate: da un lato il proseguimento dello status quo, considerando la cultura al servizio dell’interesse particolare, con un orizzonte di tempo che personalmente non vedo andare molto oltre la prossima legislatura amministrativa; dall’altro una scelta che non so se definire coraggiosa, ma senz’altro lungimirante, che almeno nel campo dell’offerta museale faccia parlare il Casentino con una sola lingua. Capirete dalle mie parole da che parta io stia… Questo potrebbe essere un primo passo che, se positivo, potrebbe dare la spinta anche a una successiva gestione culturale unitaria a livello casentinese, magari svincolata dai Comuni, aspetto cui in parte accennava anche Luca Galastri nel suo intervento del mese scorso.
Ovviamente l’argomento non può esaurirsi in 4.000 battute, ma il sasso nello stagno ritengo fosse giusto lanciarlo. Aggiungendo inoltre che come operatori della cultura siamo pronti e non ci spaventa questa strada.
FRANCESCO TRENTI, laureato e specializzato in archeologia all’Università di Firenze. Assistente amministrativo presso l’I.C. Alto Casentino. Opera come libero professionista principalmente nel ramo dell’archeologia preventiva e di controllo. È stato consigliere con delega alla cultura al Comune di Pratovecchio Stia. Dal 2013 è direttore del Museo Archeologico del Casentino ‘Piero Albertoni’ a Bibbiena.
(“Idee per il Casentino” è una rubrica di Mauro Meschini)