di Mauro Meschini – Arriva in Casentino “Arkivio 2.0” la mostra dedicata alla strage di Moggiona del 1944 di cui avevamo parlato nel settembre 2022 quando, Rachele Ricci, ne ha progettato l’allestimento.
“Estate 1944. A giugno gli Alleati si dirigono verso Toscana ed Emilia Romagna e il 25 agosto iniziano l’Operazione Olive con la quale vogliono scardinare la Linea Gotica per dilagare nella Pianura Padana. Moggiona, un piccolo centro abitato del Casentino, si trova a pochi passi dalla linea di difesa tedesca. Il 26 agosto 1944 i tedeschi sfollano il paese e conducono gli abitanti verso Nord. Una sessantina di persone tentano la fuga, ma ben presto vengono riprese. La brutale e crudele vendetta nazifascista sfocia nel tragico 7 settembre 1944, quando a Moggiona vengono massacrate a colpi di mitra 18 persone inermi, di età compresa tra i 6 mesi e i 69 anni e completamente estranee alle dinamiche della guerra. La guerra finisce e per molto tempo sulla strage di Moggiona come su altri eccidi cala un silenzio imbarazzante. Poi, nel 1994, a Roma a Palazzo Cesi viene portato alla luce l’Armadio della Vergogna, in cui è custodita la documentazione delle stragi nazifasciste perpetrate negli anni tra il 1943 e il 1945.
Ma il tempo passa inesorabile, nei procedimenti avviati gli indagati risultano ultranovantenni e nel 2011 viene decretata l’archiviazione del caso. La strage di Moggiona rimane senza colpevoli, gli autori dell’eccidio ancora senza un nome”. Questa una sintesi che riassume gli eventi legati alla strage di Moggiona, una vicenda lontana ormai 80 anni. Una vicenda lontana, che però ha legami stretti con il presente e con la stessa Rachele. “Nella lapide esposta in piazza c’è un cognome ricorrente, Meciani. Molti di quella famiglia furono uccisi nella strage, uno sopravvisse gettandosi da una finestra e correndo, dopo un gran ruzzolare, fino a Poppi.
Quell’uomo, all’epoca ragazzino, porta il nome di Francesco, il nonno di Rachele Ricci, una ragazza che, dopo tanti anni, sembra legata con un filo rosso sangue a questo terribile avvenimento. Rachele non è una storica, né una semplice appassionata, Rachele crede che la memoria di certi avvenimenti non serva solamente da monito, quanto più da metro di misura. E per mantenerla viva il modo migliore è farla vivere, quanto più intensamente possibile, sulla pelle di chi sta cominciando a dimenticare. È per questo che, nel suo lavoro di tesi, ha progettato da zero l’allestimento di una mostra che parli della strage di Moggiona, con scopo primario l’immersione e, di riflesso, l’immedesimazione e la stimolazione di un sentimento di empatia…”.
Queste frasi sono tratte dal nostro articolo di due anni fa, quando quel lavoro era da poco stato presentato e doveva passare dal progetto alla realizzazione. Oggi la mostra arriva in Casentino, dopo essere stata proposta al Memoriale della Shoah, Binario 21, di Milano.
Abbiamo chiesto a Rachele Ricci di presentarci la sua realizzazione, il suo significato, ricordando anche l’esperienza che ha potuto vivere in un luogo simbolo della memoria come Binario 21. «Il progetto “Arkivio 2.0 la strage di Moggiona” ha preso vita in un luogo molto lontano dai fatti accaduti, solo in termini di spazialità territoriale. È stato importante, impressionante e soddisfacente aver avuto l’opportunità di ricordarla, farla conoscere e così seminarla nella memoria di chi è venuto a vedere la mostra. Le vittime della strage di Moggiona si sono congiunte ad altre vittime della follia nazifascista (o meglio, Umana) in un luogo suggestivo come il Memoriale della Shoah, Binario 21 di Milano. Nella sua penombra e nel rispettoso silenzio che vi aleggia, le immagini di “Arkivio 2.0” si sono unite al coro di quelle centinaia di nominativi di persone che partirono da qui senza fare mai ritorno.
Adesso è il momento di annullare questa distanza: non per farsi conoscere bensì Riconoscere. Per questi luoghi e per chi li abita non sarà una scoperta ma una forma di riscatto nei confronti del silenzio di chi invece avrebbe dovuto portare chiarezza e condannare i colpevoli in favore della pace e della giustizia. «La memoria rende liberi» è il titolo di un libro di Liliana Segre. È vero: la memoria rende liberi e dona l’immortalità a fatti e persone. È un elemento essenziale per costruire un’identità, il mezzo che alimenta l’esperienza la quale, teoricamente, non dovrebbe far ripetere gli Orrori del passato.
Trovo importante fare di tutto affinché non si dimentichi cosa è successo, in quanto il tempo passa e con lui la voce dei testimoni, nell’utopica speranza di un futuro privo della necessità di testimoniare fatti come questi».