Fino ad agosto 2014 Astrid e Borri in Casentino erano 2 società distinte con circa 100 dipendenti ciascuna, entrambe operanti nel medesimo settore, 2 società che hanno sempre chiuso i bilanci in attivo e in particolar modo negli anni 2008-2013 hanno prodotto oltre 21 milioni di utili (12 milioni Astrid e 9 milioni Borri), 2 società in salute che hanno sempre creato posti di lavoro.
E’ bene sapere che le 2 società hanno sempre collaborato fin dai tempi in cui, nel 2005, la multinazionale vendette la Borri che iniziò ad essere gestita da imprenditori che erano fortemente legati ad Astrid, ed addirittura negli ultimi anni decine di dipendenti Astrid sono stati distaccati presso la Borri che (invertendo i ruoli rispetto al 2005) aveva poi assunto il controllo di Astrid attraverso l’acquisizione di azioni societarie.
Poi a settembre 2014 si fondono, o meglio, Astrid viene incorporata dalla Borri, creando così una società con circa 200 dipendenti.
La fusione viene venduta come un grande successo ma le cose non stanno proprio così.
Fin da subito viene attaccata la contrattazione integrativa vigente in Borri da anni ed anni, poi dopo poco tempo si comincia a vociferare di esuberi, che “ora siamo troppi”, voci riportate dalla RSU e dalla Fiom nelle assemblee, ed a dicembre (quindi a soli 3 mesi dalla fusione) vengono firmati i primi accordi sindacali sulla cassa integrazione, prima per il bimestre dicembre-gennaio, poi rinnovata per febbraio-marzo, e si continua anche per aprile e non si sa fino a quando.
Astrid non aveva mai aperto la cassa integrazione da quando è nata (ovvero nel 1996), e anche Borri non vi aveva più fatto ricorso fin dai tempi della cessione da parte della multinazionale: i problemi, la crisi e la cassa integrazione arrivano con la fusione.
Purtroppo a peggiorare la situazione c’è anche il fatto che negli accordi sindacali sulla cassa integrazione firmati da azienda, RSU e FIOM, non è prevista la rotazione del personale, o meglio è prevista ma a discrezione dell’azienda sulla base di “esigenze organizzative e produttive”, con il risultato che alcuni si son fatti per fortuna solo pochi giorni o qualche settimana di cassa, mentre altri invece si sono fatti e si stanno facendo mesi interi di cassa a ZERO ore.
Negli accordi sindacali non sono nemmeno definiti i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione, cosicchè coloro che vengono “selezionati” non conoscono il motivo per il quale sono stati scelti.
Nel contesto attuale, con tassi disoccupazione alle stelle e con una crisi che sta mietendo vittime ovunque, la cassa integrazione non rappresenta certo una soluzione. Da questa crisi non se ne esce (forse tra chissà quanti anni…), mentre dalla cassa integrazione si esce in fretta (vedi le continue riforme degli ammortizzatori sociali) e si rimane senza il posto di lavoro.
Il lavoro che c’è va distribuito quindi dobbiamo pretendere la RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO A PARITA’ DI SALARIO: è uno strumento che ci tutela dall’intensificazione dello sfruttamento e dalle ondate di licenziamenti, inoltre aprirebbe canali di assunzione per le masse di disoccupati.
LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI.
Ma purtroppo questo slogan non è più di moda.
Con la speranza di non essere di fronte a qualche operazione il cui risultato porti ad un’ulteriore perdita di posti di lavoro nel territorio, chiediamo all’azienda di fare maggiore chiarezza, di mostrare un piano industriale e, dal momento che nelle intenzioni aziendali c’è la volonta di “crescere”, nei momenti in cui c’è meno lavoro si punti ad investire sui lavoratori facendogli formazione per aumentarne le capacità professionali anzichè collocarli in cassa integrazione.
E’ opportuno che l’opinione pubblica sappia cosa succede perchè in futuro non si ripetano scelte che hanno portato alla distruzione di posti di lavoro con un profilo sindacale basso e accondiscendente.
COBAS LAVORO PRIVATO
Aderente COBAS – CONFEDERAZIONE DEI COMITATI DI BASE