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lunedì, 29 Aprile 2024

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Dal Casentino alle radici di Gomorra

di Marta Andreani – “La mafia sistema di potere, articolazione del potere, metafora del potere, patologia del potere. La mafia che si fa Stato dove lo Stato è tragicamente assente. La mafia sistema economico, da sempre implicata in attività illecite, fruttuose e che possono essere sfruttate metodicamente. La mafia organizzazione criminale che usa e abusa dei tradizionali valori. La mafia che, in un mondo dove il concetto di cittadinanza tende a diluirsi, dove il cittadino, con i suoi diritti e i suoi doveri, cede il passo ai clan, alla clientela, la mafia, dunque, si presenta come una organizzazione dal futuro assicurato. Il contenuto politico delle sue azioni ne fa, senza alcun dubbio, una soluzione alternativa al sistema democratico”. Così il magistrato Giovanni Falcone aveva compreso e spiegato la mafia, considerandola per quello che rappresentava (e rappresenta) in termini di razionalità statale. La mafia è un fatto umano che non riguarda solo i siciliani. Questo articolo è dedicato proprio a loro, a chi crede che la mafia riguardi solo il popolo del sud…

Abbiamo incontrato alcuni ragazzi del gruppo Scout “Casentino 1” al convento dei frati Cappuccini di Poppi, che hanno dedicato gli ultimi mesi dell’anno scorso ad approfondire questo tema fondamentale, passando da esperienze e testimonianze da condividere, in un percorso educativo che porta ad una presa di coscienza maggiore. Questo progetto è stato pensato dai ragazzi scout di Poppi come un viaggio nella memoria dell’Italia, alla scoperta-riscoperta di quelle “radici di Gomorra” che hanno percorso, con l’andamento sinuoso di un serpente, l’intero Stivale: dalla Sicilia alla Calabria, dalla Campania a Roma per poi ramificarsi e approdare nelle ricche lande del Nord. Annamaria, Luca, Giada, Sara, Emma, Angelica, Samuele ci parlano appassionatamente della loro esperienza.

Come scegliete i temi che poi andate ad approfondire? Anna: «Tutti gli anni progettiamo un capitolo, un argomento che cerchiamo di approfondire a modo nostro con varie attività: dalla testimonianza diretta oppure all’andare nel posto che è interessato alla tematica che si vuole approfondire. Nella prima parte dell’anno ci siamo dedicati al capitolo dell’amore in tutte le sue forme: l’amore per la famiglia, l’amore nell’amicizia, l’amore fra fidanzati. Questo argomento è stato in quel periodo molto delicato da affrontare visto che durante il periodo del progetto erano in discussione le leggi sulle unioni civili. Dopo aver studiato e approfondito l’argomento cerchiamo in un certo senso di condividerlo con altre persone in tanti modi diversi, come le veglie, giochi, testi ecc… Nella seconda parte dell’anno abbiamo affrontato il capitolo della legalità. In questo caso per condividerlo abbiamo fatto un articolo vero e proprio che contiene le esperienze che abbiamo vissuto in Sicilia quest’estate, dove siamo andati per approfondire la tematica.»

Come è stata l’esperienza in Sicilia? Luca: «Quale miglior posto per approfondire il tema della legalità se non la Sicilia? Siamo partiti dopo aver progettato il nostro itineraio, ad ogni tappa abbiamo raccolto testimonianze, abbiamo visitato punti storici rilevanti che ci poteva interessare. Siamo stati tre giorni a Palermo in una base scout; questa era situata all’interno di una casa che è stato il primo bene che è stato confiscato alla mafia. Falcone e Borsellino lo hanno voluto dare allo stato. Qui ci hanno raccontato un po’ la storia della casa, del quartiere, della confisca e della delibera dello stato a cedere questo bene. Sempre a Palermo abbiamo fatto un incontro con “Libera”, l’associazione, dove hanno aperto una bottega che vende prodotti del territorio, anche questo negozio è un bene che è stato confiscato alla mafia e che è stato donato a scopo sociale. I successivi giorni da Palermo siamo stati a Mezzojuso e a Rocca Busanbra, montagna di impatto a vedersi dove durante la guerra di mafia avvenuta a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80 venivano gettati i corpi delle persone uccise. Resta un luogo simbolo della guerra di mafia. Da li siamo stati a Pinuzza e al lago di Scanzano.»

Angelica: «A Vetrano abbiamo trovato un amico di Don Pino Puglisi. La cosa che più mi ha colpita è stata quando ha detto: “Non è un prete antimafia, è un prete!” Con questo ci voleva dire che quello che ha fatto Don Puglisi, il suo operato, il suo impegno contro la mafia, non era un atto eroico classificabile, ma qualcosa che dovrebbe essere visto come un dovere di ogni cittadino, quello di lottare contro ogni forma di ingiustizia e ribellarsi ai torti. Questa dovrebbe essere la normalità. Essere un prete è anche essere un cittadino. Padre Puglisi faceva dei campi estivi per i ragazzi allo scopo di educarli per saper riconoscere cosa è giusto e cosa sbagliato. La maggior parte dei ragazzi viene da famiglie in cui uno dei due genitori è in carcere o vive in ambienti di mafia. Quindi c’è il bisogno di partire dall’educazione. Siamo stati alla Squadra Mobile e anche loro premevano molto sul problema dell’educazione e dell’ambiente in cui crescono i ragazzi.»

Samuele: «Francesco della Squadra Mobile ci chiede quanti latitanti secondo noi ci sono ancora liberi nel palermitano e dintorni. Lui, dopo aver ascoltato qualche numero, risponde “nessuno”.

Ora non ci sono i latitanti. Ora la mafia è negli appalti, nel contrabbando, nei rifiuti. Questa è la dimostrazione che la mafia esiste anche nella nostra realtà! Al nord, forse più complessa e avanzata, è più nascosta rispetto a quella del sud Italia e si insidia a livello politico.»

Emma: «Prima di affrontare le testimonianze abbiamo approfondito il nostro articolo. Io ho approfondito la parte che riguarda Don Puglisi e il contrabbando. Ho scoperto eventi a livello storico in Italia che mi hanno particolarmente scioccata e colpita. La corruzione è un fattore che riguarda ogni cosa, anche le cose più semplici come la frutta e la verdura, niente passa per vie legali.»

Luca: «Secondo il conteggio annuale delle entrate e delle uscite italiane, compresi i soldi del contrabbando, l’Italia sarebbe fuori e oltre dalla crisi! In Italia la mafia si vede, si riconosce, si accetta come una cosa normale. Da molti in Sicilia ho sentito dire “mangiano ma fanno mangiare”. La mafia si è andata a sostituire allo stato.»

Ed è proprio così: la lupara non va più di moda. Il famoso fucile a canne mozze, che una volta firmava i delitti mafiosi, quest’arma artigianale di inconfondibile carattere contadino, è sempre meno adatta alle esigenze della mafia moderna, molto più sottile, molto più sofisticata, che come un tarlo si insidia ovunque.

Continua Samuele: «Prima la Squadra Mobile in Sicilia lavorava nascosta. Un tempo temevano di essere perseguitati a volte anche dai cittadini stessi. Solo in pochi sapevano i segreti delle indagini, pensiamo a Falcone o a Borsellino che erano soli nelle loro ricerche, la questura rimaneva fuori ed era all’oscuro delle informazioni, così ai boss bastava uccidere direttamente il soggetto “scomodo” per porre fine a quelle indagini che avrebbero compromesso l’operato mafioso. Adesso le indagini sono in mano alla polizia e non ha senso uccidere una persona sola poiché l’informazione rimane. Questo aspetto da molta più sicurezza alla Squadra Mobile.

A Bolognetta il clan di scout che sono stati ospiti anche nelle nostre foreste ci hanno dato la possibilità di ascoltare la testimonianza di un poliziotto, Davide Castelbuono. Suo nonno era stato ucciso per mafia, era anche amico di Dalla Chiesa. Nel paese la gente non aveva riconosciuto che fosse ucciso per mafia per paura dei boss, quindi la questione fu fatta passare per delitto passionale. Solo di recente Napolitano ha riconosciuto l’omicidio per mafia. Questo per dire che ancora le persone preferiscono rimanere fuori da determinate questioni.»

Anna: «Per esempio, per quanto riguarda la questione dei beni confiscati, non sempre le persone del posto vedono di buon occhio questo aspetto. Molti fanno spregi a coloro che entrano nei beni confiscati e ai beni stessi.»

Quindi il fatto che i beni confiscati ai boss vengano donati alla società non ha sensibilizzato le persone come avrebbe dovuto… da dove bisogna partire, secondo voi, per avere una maggiore sensibilizzazione e consapevolezza? Emma: «Bisogna sicuramente partire dai ragazzi, dai bambini e dall’educazione. Molto dipende dalle famiglie e dai valori che essa trasmette. La cosa del sapere del mafioso ci ha colpito più di tutte in questa esperienza, e riguarda ognuno di noi nel nostro piccolo: io so ma non ho le prove. Viviamo in un sistema dove c’è tutto un meccanismo per cui appena ci si espone un pochino c’è bisogno di prove per dimostrare che è vero ciò che stiamo dicendo. Non dovremmo arrenderci a questo.»

“Mangiano ma fanno mangiare”. Frase preoccupante e arrendevole. Il senso di legalità è lontano… Emma: «La mafia non è un problema che riguarda solo la Sicilia o l’Italia, ma tutto il mondo! Mafia è corruzione ed è ovunque. Attraverso questi articoli speriamo che la gente acquisisse un po’ più di consapevolezza su quello che è la mafia. Spero che con questo articolo le persone possano rendersi conto che ognuno, nel proprio piccolo, deve fare qualcosa. Dobbiamo essere uniti dalla parte della giustizia, perché, come diceva Giovanni Falcone “si muore generalmente perché si è soli. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno”.»

(tratto da CASENTINO2000 | n. 281 | Aprile 2017)

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