di Valentina Ariani – Decisamente un’estate all’insegna dell’arte, quella casentinese. Domenica 8 Settembre si è infatti conclusa la mostra intitolata “Capitani e gli Amici del Palagio”, che era stata inaugurata sabato 13 luglio, presso la Pinacoteca d’Arte Contemporanea del Palagio Fiorentino a Stia.
La mostra era organizzata per settori: nella sala principale erano esposte le maggiori opere del pittore valdarnese (come “Il Gufo” o “Il Giardino di Lucrezia”, solo per citarne alcune delle più famose); nelle altre sale, invece, si trovavano le tele realizzate dai massimi esponenti dell’arte contemporanea con il quale Capitani ha intrattenuto – e intrattiene – sereni rapporti di amicizia e collaborazione durante tutto il suo percorso artistico.
Fra questi spiccavano nomi come quello di Venturino Venturi, Silvio Loffredo, Vinicio Berti, Remo Brindisi, Ernesto Treccani, Mino Maccari, Gastone Breddo, tutti personaggi che, pur appartenendo a generazioni diverse, si confrontano col maestro valdarnese, mantenendo con lui anche un rapporto epistolare di cui egli va gelosamente fiero: Capitani è infatti convinto che «Per un pittore la penna è la continuità del pennello, il naturale prosieguo dalla tela alla carta… Sì, ne conservo di lettere ed altri pensieri autografi di amici artisti, presenti qui al Palagio di Stia. Conoscendo questa famiglia, della quale anch’io faccio parte, veramente avverto quanto sottile sia la distanza tra la mano che dipinge e la stessa che scrive. Una lunga grafologia, specchio dell’anima segreta. Quei fili d’inchiostro ai miei occhi, schiettezza dei loro caratteri ed anche di tanti ricordi…».
L’esposizione non è stata solo un motivo di vanto per la nostra vallata, lieta di accogliere un artista di questo calibro, ma anche un’occasione per rinsaldare la già esistente amicizia tra Capitani ed il Casentino: in passato infatti, il maestro ha realizzato un “San Martino” per la Pieve Romanica di Castel San Niccolò, poi un “San Romolo” per la Cappella dei Bagni di Cetica ed infine il Calice contenente un pezzetto del Saio di S. Francesco donato dai frati della Verna a Sua Santità Giovanni Paolo II in occasione della sua visita nel 1993.
Di recente composizione è, infine, la tela conservata all’interno del Municipio di Stia “In memoria di Vallucciole” dedicata all’eccidio avvenuto nell’aprile del ’44. L’amore di Capitani per la nostra vallata risale d’altronde alla sua infanzia, come lui stesso ci spiega: nel 1955, dopo aver vinto insieme al padre il concorso per il miglior presepio dell’anno, gli viene donato come premio il libro delle “Novelle della Nonna”di Emma Perodi, illustrato da Ezio Anichini; è l’inizio di una svolta perché l’artista rimarrà legato a quelle immagini per sempre, immagini che lo accompagneranno durante il corso di tutta la sua vita.
La formazione di Mauro Capitani inizia infatti all’Istituto d’Arte, proseguendo poi presso l’Accademia delle Belle Arti di Firenze nella sezione di Scenografia. Terminata questa, egli comincia ad insegnare dapprima Pittura e poi Storia dell’Arte.
Nel 1967 tiene la sua prima personale e alcuni anni dopo, nel 1974, viene invitato in Australia per la rassegna ufficiale di “Arte Giovane Italiana”; successivamente, nel 1978, conosce Mino Maccari, il quale lo presenta nel catalogo di una personale in via Margutta a Roma e, nel 1986, viene segnalato dallo scrittore e critico Federico Donzelli per il Catalogo Mondadori dell’Arte Moderna Italiana n° 22. Oltre a ciò, lo storico e critico Tommaso Paloscia, nel terzo volume di “Accadde in Toscana – Arte tra il 1970 ed il 2000” lo definisce come “una netta personalità creativa che lo colloca tra gli artisti più interessanti della sua generazione”. A questo proposito, è stata recentemente pubblicata l’imponente monografia intitolata “Mauro Capitani – Sulle rotte del mio tempo”curata da Giovanni Faccenda per la collana “Artisti italiani del secondo ‘900”.
Ciò che caratterizza le opere di Capitani, infatti, è sicuramente un grande uso del colore il quale “altro non è che la forza dei sentimenti, una fantasia che permette di vedere le sfaccettature del mondo ed interloquire con gli altri”; si trovano dunque nella sua tavolozza echi espressionistici e forti contrasti visivi che ricordano la pittura fauve, il tutto inserito in una dimensione a metà tra il reale e l’onirico.
Quello che è importante non è il soggetto della tela in quanto tale (sia esso un paesaggio, una persona o un animale), ma il fatto che l’opera sia portatrice di un messaggio e sempre testimone di qualcosa. Il maestro si pone inoltre in confronto con la grande tradizione artistica classica: ci riesce inserendo all’interno dei suoi quadri riferimenti impressionistici, sprazzi di Novecento e Pittura Colta, superando il Concettualismo e la Transavanguardia; il termine chiave che contraddistingue lo stile di questo grande artista è comunque sperimentalismo, dal momento che Capitani è sempre pronto a creare nuovi capolavori, nuove visioni che trascendano la realtà.
Concludiamo dicendo che la mostra ha riscosso un notevole successo, tanto da essere inserita nella rivista “Touring Club-Speciale Toscana”e meritandosi anche un servizio per la chiusura dell’8 settembre da parte del TG3.
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