di Lara Vannini – Decotti, cataplasmi ed elisir, oggi questi termini possono sembrare a molti ormai datati o al più linguaggio di persone bizzarre che pretendono di guarire con le erbe. Nel nostro passato contadino il bosco era il “supermercato naturale” a cui attingere per ogni evenienza e le erbe i rimedi più gettonati come coadiuvanti per ogni malanno. Se riflettiamo sulla natura della Penicillina, il noto antibiotico che nel secondo dopoguerra rivoluzionò il modo di fare medicina e soprattutto le aspettative di vita, ci accorgeremo che fu frutto della scoperta di potenti muffe battericide. Possiamo così renderci conto come la Natura possa essere un immenso serbatoio di ricchezza e conoscenza, a patto di essere interpretata e utilizzata da persone competenti. Restando in malanni ben più lievi e curabili delle setticemie, i nostri cari antenati del mondo rurale, si curavano più o meno consapevolmente con le erbe e soprattutto con l’alimentazione. Il contadino “pativa il freddo”, aveva i geloni alle mani compromettendo soprattutto d’inverno la propria circolazione sanguigna, ma raramente era obeso, condizione che nel mondo contemporaneo porta a non poche patologie. Alzarsi con il sorgere del sole, fare lavori manuali tutto il giorno, percorrendo tanti chilometri a piedi per andare nel bosco o a coltivare il proprio appezzamento, significava un grande dispendio di energie e non poche “schiene spezzate”. La forza poteva essere tranquillamente recuperata con un pasto sostanzioso e un buon sonno, ma i dolori dovevano essere trattati da chi era esperto di erbe e preparati medicamentosi.
Maggio era un mese che veniva in aiuto alle massaie per la raccolta delle erbe da essiccare e tenere “per un bisogno”. In questo mese si raccoglieva l’ortica, un’erbaccia come saremmo portati a pensare, dalle proprietà terapeutiche. Pianta infestante ha però una particolarità: le foglie una volta tagliate dalla pianta, perdono la loro capacità urticante e possono essere ingerite. Questa pianta, è un antiossidante naturale per la forte presenza di vitamina C, può essere consumata cruda in insalata, cotta come sostituto dello spinacio o come decotto. Le foglie infatti separate dal fusto, venivano essiccate e usate successivamente in acqua bollente dove macerando, avrebbero sprigionato tutto il loro potenziale. In quest’ultimo caso si credeva che l’ortica potesse curare i dolori reumatici e ossei, molto frequenti dopo una giornata trascorsa piegati nel campo o a spaccare la legna. A proposito dei dolori articolari, le donne preparavano ai propri mariti anche dei “cataplasmi” di cavolo verza ovvero degli impacchi naturali. Si diceva che le foglie di cavolo verza, applicate localmente dove c’era il dolore, potessero alleviare le infiammazioni e dare sollievo. Un mal di schiena dopo ore e ore a vangare la terra, un dolore articolare alle braccia, erano tutti malanni che potevano essere curati con il cavolo.
Nella cura dei dolori non poteva mancare l’elisir di Sambuco i cui fiorellini bianchi erano facilmente reperibili a maggio lungo il corso dei ruscelli o nelle siepi campestri. Mentre foglie e semi del Sambuco sono velenosi, i fiori potevano essere infusi in succo di limone e zucchero un vero toccasana per la febbre e i dolori tipici dell’influenza. Tra foglie di ortica, cavolo verza e fiorellini di Sambuco non poteva mancare l’olio di Canfora che a dispetto del forte odore caratteristico è di derivazione naturale ottenuta per distillazione dal legno e dalle radici di una specie botanica.
L’olio essenziale di Canfora tutt’oggi usato per dare sollievo in caso di traumi sportivi, era un ottimo rimedio per il mal di schiena. La natura anche in questo caso veniva in aiuto all’uomo magari non risolvendo patologie gravi o cronicizzate, ma si dimostrava un ottimo palliativo per traumi di lieve entità e soprattutto dava l’illusione di aver trovato un rimedio, per ripartire alla grande il giorno seguente!
(tratto da CASENTINO2000 | n. 318 | Maggio 2020)