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martedì, 19 Marzo 2024

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Pappardelle al sugo d’ocio

di Lara Vannini – La ricetta tradizionale e molto popolare che vi proponiamo oggi è stata realizzata da Rosa Mellini, in cucina a Dama.

Quanto contano i piatti della tradizione?
«Ogni territorio ha le sue tradizioni culinarie ed è molto importante tramandarle alle nuove generazioni. Oggi in ogni periodo dell’anno possiamo andare al supermercato e comprare tutto ciò di cui abbiamo bisogno, ma un tempo il cibo era legato alle stagioni e alle ritualità. Ricordo da bambina come la Pasqua fosse il tempo della Panina o come nei pranzi comuni della battitura fossero gli umidi e gli arrosti di carne a fare da padroni, specialmente la carne di coniglio, pollo, anatra e ocio».

Quindi l’alimentazione si basava sull’allevamento degli animali da cortile?
«Certo. Il manzo era una rarità perché andava acquistato in macelleria e il brodo di carne spesso veniva dato solo a chi era malato. I soldi erano pochi e bisognava decidere bene come spenderli. Gli animali da cortile invece erano presenti in quasi tutte le abitazioni e per questo più facili da reperire e più convenienti. Con gli animali si creava anche un feeling affettivo. Ricordo che la mia nonna aveva dato un nome a ciascuna gallina che possedeva. Il giorno le galline erano libere di uscire dal pollaio e andare in giro per il paese. Non era difficile trovare lungo le strade sterrate polli e galline che svolazzavano liberamente. La sera, come per magia, ogni gallina tornava al suo pollaio e non c’era paura di scambiarle anche se a volte potevano essere rubate. L’importante era assicurarsi che il pollaio fosse chiuso perché la volpe stava sempre in agguato».

Un piatto del passato da cucinare con piacere.
«D’inverno senza dubbio amo fare la minestra di pane o ribollita. Il sapore del cavolo mi ricorda le rigide serate invernali riscaldate dal grande camino. Trovo inoltre che il pane del Casentino sia l’ideale per dare alla ribollita il giusto sapore e la giusta consistenza. D’estate sulla mia tavola non manca mai la panzanella».

Cosa significava il pane per un contadino del passato?
«Il pane è ancora oggi un alimento dal forte valore simbolico. Fin da piccola mi hanno insegnato quanto fosse importante un buon raccolto e quindi avere la farina necessaria per fare il pane tutto l’anno. Un cattivo raccolto era sinonimo di miseria perché le famiglie erano molto numerose e le bocche da sfamare erano tante. Il contadino facendo lavori di fatica aveva bisogno di nutrirsi e il pane era un alimento fondamentale nella dieta di tutti i giorni. Ancora oggi cerco di non sprecarlo e di non capovolgerlo quando è in tavola perché si dice porti sfortuna e non sia segno di rispetto per il divino che ci ha fatto la grazia di poterlo mangiare. Un’altra curiosa usanza delle nostre preziose tradizioni casentinesi».

 

 

Pappardelle al sugo d’ocio

Ingredienti per 6 persone
480 gr di pappardelle
1 ocio
1 carota, 1 sedano, 1 cipolla
erbe aromatiche (salvia, rosmarino 1 rametto)
olio extravergine d’oliva
passata di pomodoro 1 litro
1 bicchiere di vino rosso
sale q.b.
pepe q.b

Preparazione
Pulite l’ocio, spellatelo, disossatelo, fatelo a pezzetti e toglietegli il grasso che metterete da una parte. Tritate una parte dell’animale nel tritacarne. Nel frattempo in una padella antiaderente fate rosolare con un po’ d’olio il battuto unendo: carota, cipolla, sedano, salvia e rosmarino. Quando il battuto sarà ben rosolato, aggiungete il grasso dell’ocio e dopo piano piano avendo ben cura di mescolare, aggiungete il restante della carne e la parte che avete macinato precedentemente. Cuocete fino a quando la carne non avrà preso colore quindi sfumate con il bicchiere di vino rosso, salate e aggiungete la passata di pomodoro avendo cura che il tegame non si asciughi. Assaggiate nuovamente per regolare il sale quindi coprite il tegame per circa tre ore e fate cuocere a fiamma lenta. Alla fine della cottura del sugo, cuocete le pappardelle e conditele con il sugo ancora caldo.

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