di Denise Pantuso – Quando si parla di senso di colpa si fa riferimento ad uno dei sentimenti che rientra nell’istanza psichica che Sigmund Freud ha nominato il Super io. Melanie Klein, psicoanalista infantile, nelle sue analisi con bambini piccoli costatò che già nella primissima infanzia si potevano osservare quelli che definì “precursori del Super io”, ovvero esperienze legate al senso di colpa atto a riparare l’aggressività che un bambino mostra verso il mondo esterno. Di questa aggressività ne sono un esempio i neonati quando mordono, tirano giochi, stringono con le mani, tirano pugni e calci, strappano cose fino arrivare a pronunciare i primi “No”.
Conseguentemente a questi comportamenti si osservano atteggiamenti di riavvicinamento, tipo abbracciare la persona lesa, correre a riprendere l’oggetto tirato, rimettere insieme l’oggetto rotto e tanto altro ancora. Questa logica aggressività-riparazione è permessa dai primi sensi di colpa che un infante può avere rispetto alla propria responsabilità di aver agito aggressività. In questo caso il senso di colpa assume un aspetto depressivo poiché l’aggressività esercitata sul mondo esterno fa temere di perdere l’oggetto d’amore per cui il senso di colpa e senso di perdita si uniscono al fine di recuperare il legame leso.
Questo senso di colpa è quindi spinto dalla pulsione di vita, ovvero quella spinta interna che orienta verso esperienze generative, vitali e di legame duraturo. Il Super io quindi contiene tutti quei pensieri e sentimenti che hanno una duplice funzione: creare legami e riparare l’aggressività che un soggetto agisce sul mondo. Se non ci fosse il Super io il modo di stare insieme sarebbe caotico e violento in quanto non ci sarebbe nessuna barriera alla pulsione distruttiva che abita ciascuno di noi. Il Super io e quindi il senso di colpa che è uno dei sentimenti che lo costituisce, ha quindi una funzione regolatoria ed etica delle spinte distruttive che provengono dal mondo interno.
Può accadere però che il senso di colpa da risorsa per creare legami e per riparare il danno subisca di una duplice direzione: da un lato può divenire un elemento ipermoralistico che genera masochismo morale e desiderio di punizione, dall’altro può non costituirsi dando origine così a legami liquidi, senza confini e senza percezione dell’alterità, ovvero dell’esistenza della diversità e distanza dall’altro.
Nella prima accezione il senso di colpa può essere la radice di forme melanconiche in cui il discorso della colpa si concentra “sull’averla” assumendo una dimensione “persecutoria”. C’è una certezza sull’assunzione di colpevolezza che può portare la vita di un soggetto alla sua deriva, alla continua autoaccusa, ad ipercriticità verso sé e il mondo. Il senso di colpa nelle forme melanconiche è spinto dalla pulsione di morte in quanto non avvia nessun processo di riparazione dei propri sentimenti e del rapporto con il mondo. Si crea una sorta di ristagno negativo del pensiero e degli stati d’animo dove le parole come “niente”, “nulla” e “mai” come i loro contrari sono detti come esperienza assoluta, sono un’esperienza costante della vita. Sembra esserci una costante precipitazione del senso del vivere, una sorta di senso di annientamento continuo di sé. Da questo punto di vista il senso di colpa agisce ostacolando ogni forma di piacere, demonizzando la vitalità e screditandola.
Dall’altro lato se il senso di colpa non si costituisce l’attività aggressiva rimane senza riparazione pertanto le varie forme di violenza possono prendere campo e ripetersi nel tempo. La percezione di sé e dell’altro viene a mancare così come la capacità di giudizio creando modi di stare nel mondo liquidi e instabili.
Dott.ssa Denise Pantuso – Psicologa e psicoterapeuta individuo, coppia e famiglia denisepantuso.it