di Matteo Bertelli – Ogni promessa è debito, per cui eccoci qua, a distanza di un mese (andate a recuperare il numero di novembre di CASENTINO2000), a parlare con i Tacita Intesa. Avevamo già sottolineato come meritasse di attenzione la loro ultima impresa e, vista anche la concomitanza con un altro punto focale della carriera della band nostrana, abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere sul Giappone, quello che hanno visto coi loro occhi nel loro recentissimo mini-tour.
Non è sicuramente un argomento di cui tutti possono parlare, data la straordinarietà, quindi, tanto per rompere il ghiaccio, ci ricordate come siete finiti in Giappone?
«Il nostro rapporto con il Sol Levante non è qualcosa che è nato da poco: già con il primo disco ci siamo trovati a raccogliere consensi in quelle zone, arrivando a spedire copie del CD ad alcuni fan nipponici e ad un negozio di settore nel centro di Tokyo».
Visti i risultati, questo rapporto direi che siete riusciti a gestirlo ottimamente. Tra l’altro, credo si chiederanno in molti, ma come avete fatto?
«Tramite internet! Siamo stati “scoperti” su YouTube e Bandcamp e da lì è nato il tutto. Col tempo poi la cerchia si è allargata: pensate che per la campagna di raccolta fondi per l’album Faro abbiamo ricevuto aiuti anche da là. E forse è stato proprio quello il punto di svolta. Una volta uscito l’album, la nostra musica è riuscita a sorprendere un paio di organizzatori di festival, che hanno deciso di invitarci a esibirci nella data a Tokyo e in quella a Osaka».
Il tempo passa ancora più velocemente quando ci si diverte, e, a conti fatti, è già passato circa un mese. Avete avuto il tempo per godervi l’esperienza e metabolizzare il tutto. Ma, alla fine, tanto per fare una “domanda alla De Filippi”, cosa vi è rimasto?
«Se dovessimo fare una graduatoria delle emozioni che abbiamo provato e stiamo provando, al primo posto metteremmo sicuramente la voglia di ritornare lì il prima possibile. Ci siamo stati troppo poco per poter godere appieno delle meraviglie di quella terra. Il Giappone è pieno di luoghi affascinanti e, complici i pochi giorni a disposizione e l’arrivo del tifone Hagibis che ci ha costretti per una giornata intera in hotel, non abbiamo avuto modo di fare i turisti come avremmo voluto.
Quello che invece custodiamo gelosamente è il calore con il quale siamo stati accolti. Fan che compravano CD e magliette, che chiedevano foto ed autografi. Ci siamo ritrovati a fare le star per un paio di serate e questa è un’esperienza che non si dimentica».
Probabilmente già solo il fatto di essere “convocati” nella terra dei samurai sarebbe bastato per sentirsi appagati del proprio lavoro; vedere un riscontro tale poi, sicuramente, vi avrà scaldato l’animo. Non è cosa da poco, insomma…
«No, assolutamente. Vedere apprezzato il proprio lavoro è sempre una soddisfazione, in casi come questo la soddisfazione è semplicemente doppia. Anche se ci sentiamo di poter fare molto di più! L’aver ricevuto tutto questo sostegno in Giappone non è un punto d’arrivo, ma una partenza. Ci ha fatto capire che stiamo camminando sulla strada giusta e ci ha dato la spinta per voler ottenere ancora più successo anche in “casa nostra”, sia in Italia che in Europa».
Avete detto che avete avuto poco tempo per fare i turisti ma cosa vi è rimasto, dal punto di vista, appunto, turistico, di questa esperienza fuori porta?
«Per quanto occidentalizzato, in Giappone vive una cultura ancora profondamente diversa, che ti lascia il segno, come se ti scontrassi con un muro di differenze, sia quando arrivi che quando te ne vai. Ad esempio, i modi di fare e di vivere dei giapponesi ci sono rimasti nel cuore: dalla loro, ormai proverbiale, pulizia, alla gentilezza, la cordialità e l’estremo rispetto verso il prossimo».
E la cosa che vi ha colpito di più dal punto di vista “musicale”?
«Sicuramente la loro attenzione estrema al dettaglio. Nei luoghi dove abbiamo suonato (nemmeno poi troppo grandi) abbiamo sempre trovato una strumentazione eccellente e tecnici che sapevano gestirla al meglio. Quando abbiamo visto suonare loro poi, siamo rimasti decisamente colpiti: musicisti favolosi, che non sbagliano un colpo, anche se, magari, vanno a perdere un po’ di romanticismo appiattendo la loro musica».
Un aneddoto che vi siete portati in valigia?
«Una delle cose più incredibili che ci sono accadute, incredibile proprio perché in Italia non ci era mai successo, è avvenuta la sera del concerto a Tokyo. Un pubblico attentissimo, come avevano già notato ad Osaka, senza smartphone, drink o altre distrazioni, completamente attento all’esibizione, che, in un certo qual modo, duetta con noi. Infatti, durante Cometa Alessandro, come è solito fare, ha invitato tutti a battere le mani a tempo con la batteria e tutti lo hanno seguito. Fin qui niente di speciale, ci è sempre successo, anche se magari, invece che tutto il pubblico, ad applaudire erano solo in pochi. La cosa che ci ha lasciati a bocca aperta è stata che i fan nipponici non hanno perso un colpo, battendo in sincrono con Davide le proprie mani per l’intera durata del pezzo (quattro minuti circa, n.d.r.), creando un’atmosfera unica».
Dopo questo viaggio nei ricordi, quello che rimane è ammettere cinicamente che “il passato è passato e ciò che conta è il futuro”. Quali sono, quindi, i vostri progetti da qui in avanti?
«È da poco uscito il videoclip di Eureka, la traccia di Faro con cui siamo soliti aprire i concerti. Se obietti che anche questo è passato, allora anticipiamo che stiamo puntando a realizzare almeno un altro videoclip e a dedicarci interamente ai live, cercando date che ci portino il più possibile a viaggiare, in Toscana, in Italia e, perché no, anche in Europa. Magari butteremo giù qualche nuovo pezzo in ottica di un futuro album ma, al momento, la priorità è consolidare ciò che abbiamo, facendoci conoscere, suonando il più possibile».
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