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martedì, 19 Marzo 2024

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Adamo Rossi, la musica… oltre le note!

di Francesca Maggini – Adamo Rossi è un giovane casentinese che, con ammirevole sacrifico, tenacia e voglia di riuscire sta portando avanti con ottimi risultati, la sua grande passione: la musica.

Qualcosa di te… «Ho 26 anni e suono il violino da quando ne avevo 8, sono Casentinese doc, nato a Bibbiena da Leonardo e Morena. Pur amando la nostra vallata, ho sempre sentito l’esigenza di vivere un luogo più cittadino. Così ho iniziato con il Liceo Musicale ad Arezzo seguito da un anno di Accademia a Pinerolo (TO). Poi il Conservatorio di Firenze, dove ho conseguito entrambe le mie Lauree, Triennale e Magistrale, con un anno di Erasmus a Maastricht, dove attualmente continuo a perfezionare i miei studi, inglese compreso, con Kyoko Yonemoto, una violinista e Maestra straordinaria. Da anni mi sto specializzando anche in musica da camera; con il mio trio, il Trio Desìo, stiamo frequentando un Master di secondo livello al Conservatorio di Parma e un corso di perfezionamento in una scuola privata di musica a Roma. Dal mese di gennaio sono entrato nell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano e da quasi un anno faccio parte della redazione di Quinte Parallele, una rivista di divulgazione musicale fatta da giovani. Dato che mi pareva di farne poche, ho recentemente aperto un canale Youtube. Non ha niente a che fare con la musica, parlo di cose in generale. Chi ne risente di più di tutto ciò è il mio conto in banca. Per permettermi viaggi e affitto, lavoro in un ostello a Maastricht con altri studenti».

Come e quando nasce la tua passione per la musica? «Nella musica ci sono praticamente nato. In famiglia suoniamo tutti, chi per lavoro chi no, ma quello poco importa, perché di passione, come dici tu, si tratta. Che questa passione sia nata necessariamente in questo contesto familiare direi si e no. Sicuramente io, come le mie sorelle Maria e Susanna, siamo portati per la musica. Però quando mio babbo, il Maestro Leonardo Rossi, iniziò a darmi lezioni di pianoforte, io odiai a morte quello strumento. Fu grazie a Jean-François, un carissimo amico dei miei genitori, che mi innamorai del violino. Quello che voglio dire è che non credo che una passione nasca all’improvviso. Certo, può esserne facilitata la venuta in certi contesti familiari, ma è comunque come una pianta. Ha bisogno di tempo, cure, attenzioni ed esperienza per crescere e farsi conoscere. E tutte queste cose, possono venire solo da noi».

Cosa significa per te la musica? «Musica significa unione. Del resto la musica è un’unione di suoni, ritmi, dinamiche e timbri. Con queste relazioni è in grado di unire persone, luoghi e sentimenti. La musica può unirci alla natura, allo spirito, al nostro io interiore ed in realtà è solo un mezzo che ci aiuta, come tutte le arti, ad esprimere dei nostri potenziali. Amo il mio lavoro: mi permette di conoscere nuove persone, di ogni provenienza, di ogni etnia, di ogni genere ed identità sessuale. Ovviamente, persone di ogni tipo le incontri anche al supermercato, ma magari neanche te ne accorgi e non ti ci relazioni. Con la musica nascono legami: di amicizia, di amore, di stima, di collaborazione. Penso ad un Musical, dove ballerini, cantanti, scenografi, costumisti, truccatori, macchinisti, fonici, uniscono le loro forze per la realizzazione dello spettacolo. Penso alla musica da camera, dove tre o quattro persone si divertono facendo musica insieme e condividendo per anni la vita. Penso a me e ai miei colleghi di Accademia, che fino ad un mese prima eravamo perfetti sconosciuti e un mese dopo ci siamo ritrovati in tournée in Oman dove ogni barriera era caduta.

Ma la magia più grande avviene proprio nel momento in cui suoni. Stai facendo musica e la fai insieme ad altri contemporaneamente, persone con cui fino a qualche minuto prima stavi ridendo, con cui a volte condivi la quotidianità e con i quali magari ti sei anche confidato. Mentre ci suoni insieme, mentre suoni per un pubblico, suoni per gli altri e pensi a tutte queste cose belle; se il sentimento è comune all’interno del gruppo, si crea una coesione musicale pazzesca, dove ogni singolo componente è essenziale, dove il tutto è più della somma delle singole parti. Ti guardi con il tuo compagno di leggio e sorridi, perché vi siete capiti con uno sguardo in un tipo di complicità che viene fuori solo quando è l’unità che fa la forza. E oggi più che mai abbiamo bisogno di unità. Non è del tutto vero che la musica è un linguaggio universale, tanti sono i suoi modi di esprimersi, ciò che per noi occidentali può essere consonanza, per una tribù in Asia può essere dissonanza, ma la musica è comunque un linguaggio che comunica e non c’è comunicazione senza unione».

Quali sono state le esperienze chiave nel tuo percorso formativo? «Ho un bellissimo ricordo di quando con altre tre amiche del Liceo musicale di Arezzo fummo selezionati per andare a Bedford (UK) per suonare con l’orchestra giovanile. Giorni indimenticabili, con i quali capii che senz’altro avrei voluto farmi un’esperienza più duratura all’estero. Ai tempi miravo addirittura all’America, mi sono un po’ ridimensionato, però chi lo sa, il futuro è ancora da scrivere. Quando ho suonato con l’orchestra giovanile italiana al Maggio Musicale Fiorentino e alla Konzerthaus di Berlino, ho capito quanto possa essere soddisfacente portare la musica per il mondo con una grande famiglia che senza ogni singolo membro non potrebbe esistere. Il Trio di Parma mi sta insegnando quanto sia importante lavorare in gruppo, trovando in armonia dei compromessi. Ho cambiato insegnante (quasi mai per mia scelta) 15 volte in 17 anni di studi. Se devo essere sincero è stato un po’ destabilizzante però mi ha permesso di farmi una panoramica di ciò che può voler dire insegnare e su come farlo bene. Dopo aver ottenuto i 24CFU per l’insegnamento ho iniziato a sviluppare per quest’ultimo un grande interesse».

Come sei arrivato alla Scala? «Sono stato ammesso al corso biennale per Professori d’orchestra presso l’Accademia Teatro alla Scala. Ho sostenuto delle audizioni lo scorso novembre davanti ad una commissione presieduta dai violinisti principali della vera orchestra della Scala. Eravamo quasi un centinaio di violinisti provenienti da tutta Italia, tra i 18 e i 27 anni ma i posti disponibili erano solo 18. Ovviamente c’è stata tutta una fase di preparazione prima. Non solo quella in previsione della prova selettiva, che è durata mesi, ma anche quella, durata anni, che mi ha permesso di poter avere un livello tale per poter sostenere un’audizione di questo tipo».

Cosa consiglieresti ad altri giovani musicisti che hanno deciso di intraprendere questa carriera? «Forse gli direi di pensarci bene. Ho fatto questa domanda ad alcuni miei amici musicisti e non è un caso se tutti, come prima cosa, in tono scherzoso ma sincero, hanno detto: non lo fate! La carriera del musicista è per certi aspetti bellissima. Ti porta a viaggiare, conoscere tante persone, lavorare con e per la tua passione. Ma è anche dura, soprattutto oggi e soprattutto in Italia, dove spesso non è neanche riconosciuta come carriera. Competizione, sacrifici, delusioni, sconfitte, non possiamo darne una visione idilliaca, sarebbe un’illusione. Per non parlare dell’investimento, di tempo e di soldi. Io dico sempre che il musicista è la carriera per la quale devi spendere di più per fartela e quella che ti ricompenserà di meno una volta fatta. Cambia le corde, incrina l’archetto, vai a lezioni private, corsi estivi e Master Class sono solo alcune delle spese. Noi musicisti siamo consapevoli di tutto questo, però non molliamo, perché tutto il resto vince. La magia di cui ti parlavo prima, le persone che incontri, gli applausi dopo un concerto e soprattutto il fatto che stai facendo Arte.

Le incertezze permangono ma va bene così, fa parte del gioco. In una società come quella di oggi, incentrata sul lavoro e sulla carriera, non sarebbe male ogni tanto fermarsi e chiedersi se effettivamente ci piace quello che stiamo facendo. Quindi il consiglio che mi sento di dare è quello di pensarci bene capendo tutti i lati negativi e positivi che si celano dietro a questa carriera. Studiate, studiate e studiate. Non abbiate paura di buttarvi, di farvi sentire da un grande insegnante, di iscrivervi ad una Master Class, di fare un’audizione. Poi non abbattetevi se qualcosa non viene, se un concorso non va, sbagliate ad un concerto; non siamo macchine, siamo esseri umani.

È normale sentirsi stanchi, commettere errori, credere di non essere abbastanza e certe volte non aver voglia di studiare. Un grande Maestro una volta mi disse che nessuno ha voglia di mettersi lì e fare le scale tutti i giorni, la differenza tra chi ce la fa e chi no, è che chi ce la fa è colui che persiste nonostante gli faccia fatica perché mira ad un obiettivo più alto. Dal punto di vista prettamente professionale consiglio di strutturare bene il percorso formativo. Avere, più o meno, le idee chiare è molto importante: dove, con chi studiare, se fare un Master, di che tipo e per quanti anni. Secondo me è fondamentale almeno un’esperienza all’estero e un piano B fa sempre comodo, perché nella vita non si sa mai. Se vi rendete conto di essere portati per la musica non demordete, coltivate i vostri talenti, il mondo ha bisogno di artisti.

Ma soprattutto, siate voi stessi, perché prima di essere musicisti, siamo persone. Penso che uno dei problemi della scuola di oggi è il crescere generazioni che sin da piccole devono pensare a che lavoro faranno da grandi, a quale sarà il loro posto nella società. Il che è importante, alla fine uno stipendio ci serve e non possiamo negare l’evidenza. Però si rischia, in un certo senso, di perdere una parte della propria identità. Forse ai nostri giovani, quando gli si chiede di pensare a sé stessi da grandi, oltre a chiedere cosa vuoi fare si dovrebbe chiedere soprattutto chi vuoi essere».

Adamo giovane e brillante, racchiude in queste sue parole tutta la grande passione e il desiderio di farcela. Orgoglioso di ciò che fa è testimonianza di come l’impegno e lo studio sappiano ripagare e ricompensare i sacrifici. La sua storia è un esempio sano e bello, sempre più necessario in una moderna società dove troppo spesso i nostri giovani perdono di vista i propri obiettivi, illudendosi che la vita ruoti intorno all’apparenza e alla banalità di un like e di una foto.

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