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martedì, 19 Marzo 2024

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E uscimmo a riveder le stelle

Fare un evento artistico nel luogo dove da bambino andavi solo se avevi con te una fionda e ti sentivi Zagor, è come se, adesso, ti dessero un cappello a cilindro e ti chiedessero di estrarne il coniglio. Imbarazzante. Certo, anche, ma anche che stimolo!

Ecco, infatti, la vulcanica Sandra, che viene a mettermi in mano il cilindro.

Il luogo è la parte del Bosco di Casina più ombroso, le fronde degli alberi impediscono la visuale della strada ma si sente pulsare giù sotto. Gli avvallamenti del terreno sono intervallati da alcune opere in ferro di zio Beppino e questo mi rincuora. E’ come se mi desse il permesso di profanare il luogo magico dell’infanzia. Bene, proviamoci.

Innanzitutto: la strada con i suoi rumori non me la ricordavo così presente. Devo ridare al bosco non il suo significato ma il significante. Ecco allora che ne potenzio il richiamo, la sua voce propria, amplifico la voce del bosco con altoparlanti appesi agli alberi, invisibili. Ecco che i suoni della foresta annullano la strada e si riprendono la loro essenza, amplificata dal suono dell’acqua elemento spirituale per eccellenza.

A questo suono di sottofondo, dalle fronde ecco sorgere la musica della poesia.

Antica di Rimbaud sono i primi versi che gli spettatori, o meglio gli ospiti, ascolteranno quando arriveranno dal parco urbano, tagliando il sentiero di via Bosco di Casina per entrare dal primo cancelletto.

Ho scelto i versi di Antica perché in questa prismatica poesia Rimbaud ci trasmette la parte della natura dionisiaca, sensuale, animalesca, inquietante come inquieto ero io quando ci entravo da bimbo. L’ombra.

Poi, naturalmente L’infinito di Leopardi, perché ognuno di noi ha una propria  siepe a  separarlo da se stesso.

Infine quella che per me è la colonna sonora stessa della natura: La pioggia del Pineto di D’Annunzio (ancora l’acqua).

Poesia dunque, musica in versi, suono su suono per ridare al bosco il suo tratto simbolico.

L’arte (maledetta) dell’attore ha questa potenza di fuoco del simbolo da sfruttare; sempre che, beninteso, tu ne possa vedere tutte le possibili ramificazioni così da poterne trarre un segno. Un segno che veicola un sentire comune, un’emozione.

E’ questo, in fondo, l’arte: estrarre dal cilindro della vita il coniglio; lo stupore dal vuoto, l’ emozione da un cappello rivoltato.

Ecco dunque che ora mi appaiono simboli danteschi dappertutto: la camminata con la guida, il sentiero da attraversare come lo Stige, io che mi trovo ai piedi di un dirupo scosceso a forma di cono da risalire per apparire come uno spettro apparso dagli inferi per annunziare la fine di un percorso spirituale e ad annunciare un nuovo inizio per tutti.

(Testo di Piero Baracchi)

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