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martedì, 6 Maggio 2025
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Desa: a Porrena di Poppi corsi di formazione specializzata

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Desa comunica i dati della formazione specializzata per gli artigiani impiegati nel nuovo stabilimento di Poppi nel Casentino. Lo stabilimento italiano della multinazionale turca sta portando avanti con risultati tangibili i corsi di formazione specializzata, che hanno l’obbiettivo di formare il personale al fine di garantire lo standard qualitativo ai partner che si affideranno a DESA Internazionale per le loro produzioni. Il progetto è partito a marzo attraverso un accordo con la Randstad, azienda specializzata con base sul territorio, per la capacità di visione rispetto a questa nuova realtà, nonché per la sua presenza consolidata sul territorio nella sede di Arezzo,.

Oltre a creare nuovi posti di lavoro altamente specializzati, il corso è stato di stimolo all’interno dell’ambiente produttivo creando nuovo valore per un territorio che si affaccia con questo progetto alla produzione di pelletteria di alta gamma.

“Proprio la scorsa settimana abbiamo completato il 3° corso in collaborazione con Randstad. Grazie a questa collaborazione, ad oggi abbiamo formato complessivamente 45 artigiani, che sono entrati a far parte della struttura produttiva di DESA Internazionale che si rivolge ai brand del lusso”, conferma Burak Celet, Ceo di DESA.

“Il nostro obiettivo è organizzare altri 2 corsi entro la fine del 2023 e puntiamo a raggiungere un totale di 75 dipendenti prima di Natale. I candidati saranno sottoposti ad un rigoroso processo di selezione, che sarà coordinato dagli esperti di Randstad e Desa Internazionale. Dopo 3 cicli di colloqui, i candidati idonei saranno invitati a partecipare al corso di 250 ore. Al termine del percorso formativo, che durerà per un periodo di 6 settimane, ai partecipanti che riveleranno le competenze e l’aspirazione a diventare artigiani della pelle, verrà offerta una posizione presso DESA Internazionale”.

L’azienda Fondata negli anni ‘70 in Turchia, Desa conta su un quartier generale a Istanbul che comprende showroom, uffici e una struttura produttiva di abbigliamento in pelle, borse e piccola pelletteria, ed un secondo sito produttivo a Duzce dedicato ai marchi del lusso.

L’acquisizione dello stabilimento in Italia rappresenta il primo passo nella creazione di un nuovo polo di ricerca, sviluppo e produzione.

Heritage, competenza, tecniche produttive all’avanguardia e sostenibilità sono le caratteristiche salienti di DESA, realtà industriale fondata nel 1972 a Istanbul dalla famiglia Çelet e unica società pubblica in Turchia nell’ambito della pelletteria, con sede in Turchia e uffici a Londra, Milano, Dusseldorf e Sofia. L’attuale presidente è il fondatore Melih Celet mentre l’amministratore delegato della società, quotata in borsa dal 2003, è il figlio Burak Celet.

DESA fa parte del consorzio internazionale indipendente Leather Working Group (LWG) che unisce le principali aziende del settore e chi si impegna a monitorare e controllare le migliori pratiche ambientali dell’industria conciaria. Ogni anno LWG certifica il livello di sostenibilità ambientale e ha riconosciuto a DESA il Golden Standard che caratterizza ogni fase della produzione del capo, dalla materia prima al confezionamento. La sostenibilità a 360° passa anche attraverso la formazione del personale attraverso una scuola interna per le nuove generazioni che saranno il futuro dell’azienda e del brand 1972DESA.

Il camionista… va in pensione

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La vita dell’autotrasportatore ha una costante che in realtà non ha nulla di matematico, l’imprevedibilità, quindi il caos, gli orari di partenza sempre diversi in base alle esigenze della committenza, la continua incertezza sul rientro a casa e la quasi totale impossibilità di poter organizzare la propria vita personale e familiare. I viaggi che facciamo per portare le merci a destinazione sono pieni di incognite dovute alle condizioni del traffico e delle strade, ma anche alle diverse tipologie di carichi trasportati che differenziano ogni volta la giornata lavorativa e mettono in obbligo l’autista a dover scegliere soluzioni diverse per ottimizzare il proprio lavoro.

Parliamo quindi di una professione che per essere svolta necessita di piena lucidità e consapevolezza delle proprie capacità fisiche e mentali, da quando prendi in mano il volante del camion per la prima volta a quando arriva il fatidico momento di lasciarlo una volta per tutte, il “bestione”, quel mezzo meccanico che per più di 40 anni è stato il nostro prolungamento naturale, nel bene e nel male, il nostro compagno di avventure.

In questa uscita vogliamo approfondire proprio questa tematica, come si conclude la carriera di un uomo (o donna) che ha dedicato gran parte della sua vita al camion? Lo facciamo raccontando la storia di un grande camionista, Alberto Acciai, che quest’anno ha deciso di godersi la meritata pensione, una colonna portante dell’autotrasporto casentinese che saluta vecchi e nuovi colleghi lasciando in ognuno una serie di indimenticabili aneddoti e storie di momenti passati insieme.

Alberto, classe 1956, ha una vitalità che tradisce la sua carta d’identità, chi in questi ultimi anni di lavoro lo ha incrociato nei cantieri di tutta Italia e non solo, lo può confermare, un ragazzo con molta esperienza. Una lunga carriera iniziata con il fratello Franco nel 1977 a 21 anni, 46 anni al volante di qualsiasi tipo di camion, a partire dallo storico Fiat 690, passando per il mitico IVECO 190.48 Turbo Star e per lo Scania, fino ad arrivare all’ultimo amore, il suo DAF di un inconfondibile colore rosso al servizio della Baraclit. Diverse generazioni di veicoli industriali che hanno scandito i suoi giorni, le sue notti, le sue vicissitudini umane e lavorative, si perché il camion per chi ci lavora diventa un ambiente vero e proprio, un ufficio, una stanza per riposare e sempre più spesso una cucina dove pranzare o cenare, pronto a qualsiasi evenienza.

Lui è uno di quelli che non fa il camionista solo per professione, lui è uno di quelli che è camionista per stile di vita, perché ha scelto una vita nomade, imprevedibile, piena di incognite, uno come Alberto come si deve rapportare con un cambio di abitudini così radicale come quello che impone la pensione?

Abbiamo fatto qualche ricerca e ci è sembrato interessante il parere della “British Psycological Society” che da alcuni consigli su come affrontare al meglio questo difficile momento della vita.

– Darsi un nuovo ruolo nella società, nel sociale, nell’aiuto del prossimo anche in ambito familiare, del resto un camionista con il suo lavoro questo lo fa tutti i giorni, mettersi al servizio degli altri.

– Coltivare i propri hobby, ammesso che ci sia stata la possibilità di averne avviati visto il tanto tempo che un camionista dedica al lavoro, ma vista la passione e la competenza per la meccanica che normalmente abbiamo qualcosa si può sempre rimediare.

– Iniziare ad avere uno stile di vita sano, orari regolari, ore di sonno giuste, alimentazione corretta e magari fare un po’ di esercizio fisico facendo qualche chilometro a piedi dopo i tanti fatti al volante.

Quest’ultimo consiglio dovrebbe essere seguito anche da chi ancora è in attività viste le svariate patologie che il nostro lavoro comporta, che tratteremo nelle prossime uscite della rubrica, tutti consigli di buon senso che potrebbero sembrare scontati ma che scontati non sono perché è importante anche nell’età matura avere nuovi stimoli, avere voglia di continuare ad imparare senza chiudersi in sé stessi e nella propria autocommiserazione.

Alberto Acciai è stato un esempio per tante nuove generazioni di autisti, siamo sicuri che lo sarà anche nella sua nuova avventura da pensionato, noi intanto continuiamo a partire a tutte le ore del giorno e della notte e continuiamo a portare la nostra professionalità al servizio delle aziende del territorio, sempre con la massima prudenza e con il rispetto delle regole. un’ultima raccomandazione, siamo in settembre e dopo le ferie ripartirà in pieno l’attività produttiva e con essa l’autotrasporto.

Da esperti raccomandiamo a tutti gli utenti della strada la massima attenzione, vediamo spesso manovre e sorpassi al limite della decenza che poi non portano reali vantaggi in termini di tempo di percorrenza su una strada come la nostra SR71 piena di insidie, buche, cantieri e traffico. Buon viaggio e buona strada a tutti.

“Trasportare Il Casentino” – Storia, cronaca ed attualità dell’autotrasporto di vallata a cura di “Quelli della SS71”

Altro che inferno, questo è un vero paradiso!

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di Terenzio Biondi – Gli stiani e i pratovecchini – ormai è cosa nota a tutti – hanno una fantasia eccezionale, forse in ciò favoriti dalla storia della loro terra, che si perde nella notte dei secoli, e dalle tante leggende che là sono fiorite. A Stia e a Pratovecchio si parla di Lago degli Idoli e di Etruschi come di cose dell’altro giorno, di Dante come se avesse scritto la Divina Commedia il mese scorso e la sua permanenza a Romena risalisse a una settimana fa, di Arno come di un vecchio amico vicino di casa…

E hanno “battezzato” i torrenti affluenti dell’Arno nel tratto più a monte – cioè il tratto che scorre nel Parco delle Foreste Casentinesi – con tutta una serie di nomi frutto della loro fantasia costruttiva. Il primo affluente lo trovi nelle carte col nome di Fosso alla Rota, ma loro l’hanno sempre chiamato Arnino, un diminutivo affettuoso per indicare quasi un fratello minore, dal carattere buono e tranquillo. Poco a valle ecco l’Arnaccio, questo sì un vero discolo con un caratterino poco raccomandabile. E l’affluente subito sotto, che vien giù quasi a rotta di collo nella gola tra Monte Acuto e Poggio a Scheggi, l’hanno battezzato Fosso dell’Inferno, in onore – credo – dell’amico Dante.

Non dovete pensare che il Fosso dell’Inferno sia un fosso maledetto, difficile, un fosso da lupi… Anch’io credevo che fosse un vero e proprio fossaccio; poi, alcuni anni fa, spinto dalla curiosità e dai consigli di qualche amico pescatore di Stia, decisi di andare a vedere. E non me ne sono pentito. Era estate piena e penai non poco a raggiungere la confluenza del Fosso dell’Inferno nell’Arno a causa della rigogliosa vegetazione di basso fusto che in alcuni tratti copriva letteralmente il sentiero. Ma poi… che spettacolo!

Una cascatella dietro l’altra, con buchette e pozze dall’acqua limpidissima, e sulle rive ombrosi faggi e massi ciclopici rivestiti di verde muschio. E tante trotelle nell’acqua bassa della riva che schizzavano via velocissime al mio avvicinarsi. C’è un solo modo per catturare trote di taglia discreta in tali situazioni: pescare stando lontani dalla pozza, alla casentinese, con un metro o poco più di lenza. E io con la mia telescopica di otto metri non avevo problemi! Volli anche strafare.

E in un paio di pozzette molto lunghe, tirato fuori dallo zaino il mio inseparabile “lancino da fosso” con un cucchiaino piccolissimo (addirittura un Mepps Aglia n° 0), provai qualche lancio da lunga distanza. Con risultati niente male, come dimostra la foto qui sotto. In un paio d’ore di pesca riuscii a catturare… no… il numero di trote non ve lo dico. Altro che Inferno – dicevo tra me mentre tornavo all’auto – questo è un vero Paradiso!

E da allora tutti gli anni un paio di pomeriggi nel Fosso dell’Inferno me li faccio sempre. E non sono mai tornato a casa con il cestino vuoto.

(Rubrica I RACCONTI DEL TORRENTE “Storie vere, leggende, incontri… nei torrenti del Casentino” di Terenzio Biondi)

In bike nella terra del Solano: Strada – Montemignaio – Caiano – Strada

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di Marcello Bartolini – In teoria adesso che siamo a settembre le temperature dovrebbero essere più miti, dopo un agosto infuocato. Nel dubbio propongo anche per questo mese un bel giro in quota, stavolta tutto su asfalto. L’itinerario parte da piazza Matteotti a Strada in Casentino, borgo caratteristico che ha conservato in gran parte del suo antico fascino, principalmente se si ha l’accortezza di alzare lo sguardo verso il “Castello” che domina dall’alto il borgo. Il castello risale all’XI secolo ed è stato costruito come una fortezza difensiva per controllare la valle circostante. Nel corso dei secoli, il castello ha subito diversi interventi di ampliamento e ristrutturazione, ma conserva intatto tutto il suo fascino antico.

La piazza da cui partiamo è una piazza tradizionale che conserva l’architettura e l’atmosfera tipiche dei borghi toscani. Le case in pietra, i portici e le stradine che si aprono sulla piazza contribuiscono a creare un’atmosfera autentica e accogliente. Adesso però si parte e si prende la strada verso Firenze ed il passo della Consuma, una strada asfaltata ricca di curve e totalmente in salita, quindi prepariamoci a faticare un poco, di buono c’è che gran parte del percorso è ombreggiato, ogni tanto poi la pendenza concede tregua quindi l’ascesa risulta non troppo ostica anche per chi non fosse particolarmente allenato.

Il primo luogo che incontriamo durante il nostro cammino è Prato di Strada che però aggireremo tramite una variante, chi volesse può fare una piccola deviazione e passare sulla strada ancora lastricata in pietra. Dopo poco eccoci a Rifiglio, qui si inizia a salire davvero. Una decina di chilometri di salita ed arriviamo a Montemignaio, al Molino, da qui si intravede la torre, però ancora manca un po’ di salita, passiamo davanti alla Pieve e qualche centinaio di metri dopo eccoci arrivati in cima, facciamo una deviazione a destra per andare nella piazza del Castello e, perché no, riposarci un poco, dato che il giro prosegue ma non prima di avere fatto un breve giro nel centro storico di Montemignaio che è caratterizzato da stradine strette e tortuose, case in pietra e dettagli architettonici che riflettono la tradizione toscana.

Passeggiare per le vie del borgo è come fare un salto nel passato, si riparte sempre in direzione Firenze e, dopo un paio di chilometri di discesa, si ricomincia a salire verso la strada che porta al passo della Consuma. Poco prima di arrivare all’incrocio che ci porterebbe verso Firenze, quando la strada si fa più pianeggiante, sulla destra troviamo le indicazioni per Caiano, da qui si possono ammirare paesaggi verdi, boschi e campi coltivati e da questa posizione collinare si godono viste panoramiche mozzafiato sulla valle circostante.

La fatica è praticamente finita, da qui inizia una divertente discesa abbastanza ripida che ci riporta rapidamente a Rifiglio da dove, svoltando a sinistra rientriamo con un breve tratto in falsopiano verso Strada per poi tornare in piazza Matteotti da cui siamo partiti, qui avrete a disposizione acqua fresca, bar e tutto quello che potrà servire per recuperare le energie.

Un giro divertente che ci porta in una delle zone forse un po’ meno note del nostro Casentino, ma non per questo meno affascinante, anche qua pur essendo fuori dal Parco Nazionale, la Natura è la vera padrona, gli esseri umani si sono adattati e, soprattutto, l’hanno rispettata il più possibile e questo credo sia il vero motivo di vanto per i casentinesi tutti.

Giovani e lavoro stagionale

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di Gemma Bui – Abbiamo raggiunto telefonicamente Marco Rossi Responsabile Coordinatore CGIL Zona Casentino, per indagare il rapporto tra giovani e lavoro stagionale, basandoci su dati e criticità effettive del settore.

Spesso la convinzione generalmente diffusa è che i giovani non accettino di fare lavori stagionali, magari molto impegnativi nei fine settimana e dal punto di vista di orari e turni. C’è però da considerare anche l’altra faccia della medaglia: quali sono i contratti, le retribuzioni e gli orari effettivamente garantiti (o meno) loro dai datori di lavoro? «Il dato statistico utilizzabile è quello dell’Osservatorio della Regione Toscana – Centro per l’Impiego Provinciale. Dobbiamo guardare nello specifico a due voci: quella degli avviamenti al lavoro e quella delle domande di disoccupazione. Per quanto riguarda i primi, facendo riferimento al III° Trimestre 2022, nell’Area Casentino abbiamo 1.256 contratti di avviamento, tra stagionali e non, di varie tipologie. Nel I trimestre 2023 abbiamo invece 356 avviamenti: c’è una tendenza in positivo, anche a livello generale si percepisce che l’offerta di lavoro è aumentata. Volendo citare altri dati, tra il I° Trimestre 2022 e il I° Trimestre 2023 in Casentino, nel settore turistico di alberghi e ristoranti c’è stato il 30% in più di avviamenti. Il dato è comunque basso: siamo a 1/3 degli avviamenti del Valdarno e della Valdichiana, e in pari con la Valtiberina. Un altro dato interessante è quello degli avviamenti in agricoltura, più alti del 40% rispetto a quelli in ristorazione e alberghi. È un dato che tra il 2022 e il 2023 in questo settore è rimasto stabile».

Quali sono le principali criticità del lavoro stagionale? «Il problema del lavoro stagionale, innanzitutto, è che esso per definizione non è stabile; questo sicuramente è un fattore che fa la differenza. Il lavoro stagionale è poi molto variegato, non sempre ben retribuito, e talvolta non è il massimo per quanto riguarda il rispetto delle regole; poi ovviamente dipende da caso a caso. Evidentemente coloro che rispettano maggiormente le regole hanno anche meno problemi a trovare lavoratori stagionali. In Casentino nel periodo estivo la domanda nel settore aumenta in maniera sensibile, come dimostrano anche i dati di quest’anno rispetto al 2022. Non è presente il classico dislivello tra uomini e donne, che magari invece sussiste in altre zone. Inutile girarci intorno, il lavoro stagionale non è un settore stabile a livello di rispetto delle regole, ma come dicevo è molto variegato e ondivago. Questo indubbiamente e inevitabilmente ne influenza la situazione generale».

Non è facile risolvere il problema, e una soluzione semplice ed efficace probabilmente non esiste. Il Sindacato che iniziative o correttivi applica al settore del lavoro stagionale? E qual è invece il ruolo assunto dalle Istituzioni? «Alcune settimane fa abbiamo tenuto un’iniziativa a Chiusi della Verna sulle aree interne. Abbiamo presentato due idee di sviluppo su due settori a nostro parere meritevoli di essere potenziati: la Filiera del Legno della Valtiberina e il Panno Casentino per quanto riguarda questo territorio. Era presente il Presidente di Regione, Eugenio Giani; è stato un contesto interessante e stimolante. Stiamo organizzando anche una grande manifestazione a Roma per il 7 Ottobre 2023, dove presenteremo un’agenda di rivendicazioni, tra cui il lavoro precario. La mia opinione è che il lavoro precario sia proprio quello più sfruttato e irregolare; il settore del turismo è per sua natura non costante, ed è evidente che abbia certe difficoltà. Il turismo quindi va potenziato, ma la vera soluzione è che anche le Istituzioni si muovano in maniera importante, se vogliamo che il personale sia ben reperibile. Una persona non può affidarsi solo a un reddito di 3 – 4 mesi per un intero anno. Vanno studiate forme di assistenza e disoccupazione più incisive, specie ora che il reddito di cittadinanza è stato sospeso. È evidente però che da parte di tutti ci sia una “corsa” all’impiego stabile. Vedo molti ragazzi passare da noi; pensando sempre al settore turistico, vi confluisce chi in quel momento ha la ditta che è stata chiusa o il contratto a tempo determinato scaduto. È una soluzione cuscinetto, ma poi, dopo qualche mese, si è di nuovo da capo. I numeri sono bassi, insufficienti a dare una stabilità. Il nostro turismo è poi per propria natura estivo, non annuale come quello delle grandi metropoli. Comprendo benissimo chi deve gestire un’attività turistica riguardo l’occupazione, ma è anche vero che la situazione è questa: con tre mesi di lavoro l’anno non si vive o si vive male.

Chiudo con un dato generale a mio parere importante: in Casentino, negli ultimi dieci anni, in senso complessivo le retribuzioni delle imprese private sono diminuite per un totale di 15.000.000 di euro, abbinate a una diminuzione degli abitanti, con un calo demografico e un conseguente aumento dell’età media nelle aree interne. Sicuramente anche questo è uno dei problemi fondamentali del territorio casentinese».

Marino chiede aiuto alle Istituzioni

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Continuano senza sosta gli attacchi al progetto di riqualificazione dell’area “ex Sacci” di proprietà della Marino Fa Mercato Spa, a questi si aggiungono anche quelli personali rivolti al suo Presidente Marino Franceschi.

Su questa vicenda è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto ma i fatti sono lì a dimostrare che la proprietà dell’area è stata oggetto di una vera e propria persecuzione, è bene quindi ancora una volta cercare di fare chiarezza.

Il Tribunale di Arezzo ha assolto il Presidente della Marino Fa Mercato SpA sig. Marino Franceschi ed ha restituito l’area sottoposta a sequestro alla legittima proprietà chiarendo nel dispositivo di restituzione che la riconsegna non è subordinata ad alcunché, cioè non ci sono né condizioni né prescrizioni.

Prima della restituzione, quando l’area era ancora sotto sequestro, è stato effettuato un ennesimo campionamento conoscitivo da parte di Arpat su richiesta del Maresciallo Mazzi della Forestale (sui medesimi cumoli già campionati dal 2003 al 2022 in spregio al dispositivo del giudice) dal quale è scaturita una nuova ordinanza da parte del Comune di Bibbiena che di fatto blocca tutto ancora una volta.

E’ evidente pertanto che la Polizia Giudiziaria ha travalicato i suoi poteri, e posto in essere attività censurabili sotto il profilo dello “sviamento” o “abuso” di potere.

Nei documenti relativi all’ordinanza del Comune si legge che lo stesso ha chiesto parere alla Asl competente la quale ha ribadito quanto già scritto nel 2018, il tutto, senza aver fatto controlli sul posto ed aver avviato un’istruttoria al riguardo per accertare se realmente si sono verificati fatti nuovi rispetto alla sentenza di assoluzione.

In buona sostanza i “nuovi campionamenti” sono stati fatti sui cumuli già campionati, senza la presenza del proprietario dell’area e senza che né il Comune né l’Asl, fossero presenti.

Il Comune di Bibbiena quindi, forse intimidito dalle denunce ricevute dal Sindaco, ha emesso un’ordinanza che è la fotocopia di quella che aveva già emesso ed in merito alla quale il Giudice si era già pronunciato assolvendo Marino e dichiarando nel dispositivo: “con riferimento a tutti e tre i vizi tipici che possono determinare l’illegittimità degli atti amministrativi e cioè: violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere.”

Quindi, nessuna istruttoria e nessun dolo o colpa accertati non fosse altro per il semplice fatto che Marino non aveva la disponibilità dell’area perché la stessa era posta sotto sequestro!

Niente di nuovo quindi dal punto di vista della tutela ambientale e purtroppo nemmeno dal punto di vista del comportamento vessatorio perpetrato nei confronti della Marino Fa Mercato SpA e del suo Presidente tanto che lo stesso, fortemente provato da questa vicenda ed a seguito di menzogne, anche verbalizzate, ha dovuto sporgere denuncia querela nei confronti dei funzionari Arpat.

Un esempio per tutti: i funzionari hanno verbalizzato che la proprietà era presente durante i nuovi campionamenti mentendo spudoratamente.

Marino dichiara: “sono vittima di comportamenti persecutori che attraverso il maresciallo Mazzi sono arrivati addirittura al sequestro della mia persona durato quattro ore proprio il giorno della riconsegna dell’area, durante queste quattro ore il maresciallo si è preoccupato solo di chiedermi se ero di sinistra!

Inoltre, segnalo che le continue menzogne date in pasto all’opinione pubblica, proprio da quei funzionari che dovrebbero tutelare i cittadini, minano la fiducia degli stessi nelle Istituzioni; io stesso ho concesso in comodato gratuito al Corpo Forestale dello Stato una parte del Castello della Fioraia a Castelnuovo di Subbiano ma a questo punto chiedo: ho avuto a che fare con una Istituzione o con una Organizzazione??

Rivolgo un appello alle Istituzioni sane di questo paese chiedendo loro di tutelare me, la mia azienda e la comunità, facendo, prima di tutto, un inchiesta per appurare le responsabilità di questi personaggi e chi li protegge”.

Gli “Abitanti” del Parco… di notte

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MATER Ristorante, il fine dining di chef Filippo Baroni e di sua moglie Marta Bidi, sito nel borgo di Moggiona, a Poppi, nel cuore delle Foreste Sacre del Casentino, accoglie, dal 6 Ottobre alla fine di Novembre 2023, alcune delle opere fotografiche più significative del progetto fotografico “Inhabitants” del fotografo internazionale Andrea Buzzichelli.

Andrea Buzzichelli è fotografo italiano di Colle Val D’Elsa, Siena, Toscana, vincitore di numeri Awards nazionali ed internazionali. E’membro fondatore del Collettivo Synap(see) coordinato dal curatore italo-belga Steve Bisson.
Il collettivo Synap(see) si distingue per un deciso impegno per lo studio di conflitti territoriali, e per una forte capacità di iniziativa e di divulgazione indipendente.
Andrea Buzzichelli ha esposto le sue opere in Italia, Europa ed America.

Il progetto “Inhabitants”, pubblicato da National Geographic, raccoglie una serie di fotografie di animali realizzate, in notturna, nel “Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi”, parco patrimonio UNESCO sito nella provincia di Arezzo, Toscana.

DOMENICA 6 OTTOBRE, ore 19.00, inaugurazione dell’esposizione presso MATER Ristorante a Moggiona, Poppi, Arezzo. Saranno presenti l’artista Andrea Buzzichelli e Maria Elisa Dainelli, antropologa toscana, che presenterà il progetto “Inhabitans”. A seguire, cena nelle suggestive sale del ristorante (su prenotazione). Partner della serata la cantina vitivinicola Tenuta di Carleone di Radda in Chianti, Siena. La mostra sarà visitabile fino al 26 Novembre 2023.

FILOSOFIA PROGETTO Il progetto “Inhabitants”, pubblicato da National Geographic, raccoglie una serie di fotografie di animali realizzate, in notturna, nel “Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi”, parco patrimonio UNESCO sito nella provincia di Arezzo, Toscana.”Il risultato è un’impressionante visione notturna degli “Abitanti” del Parco. Una vibrante sezione trasversale che, soprattutto, rivela un senso di potenza intrusiva, in un mondo dove altrimenti non sarebbero rivelati, e una sorta di fascino voyeristico verso la natura stessa. E nel mio tentativo di far luce su ciò che è oscuro, di espandere i nostri confini, ho riassunto il discorso scientifico dell’uomo che confina la natura alle riserve, e, in questo modo, nega il suo stesso“. Andrea Buzzichelli

Il progetto nasce nel 2015 come esplorazione fotografica del parco naturale delle foreste Casentinesi ed è parte integrante del lavoro svolto dal collettivo Synapsee di cui Buzzichelli è membro, attorno alla tematica del parco.

Le immagini sono frutto di una ricerca all’interno degli archivi del Corpo Forestale dello Stato e dell’associazione Canilupus. Andrea Buzzichelli ha scelto, reso omogenee e contestualizzato le fotografie catturate da fototrappole poste a fini di monitoraggio delle specie naturali presenti nel parco.
Il risultato che emerge da questo progetto è un percorso notturno, che scova e cattura gli animali nel loro habitat.
Nel momento di maggior silenzio, di minor antropizzazione e di caccia per molte specie, Buzzichelli si intrufola come un osservatore silenzioso e ci guida in una visione immersiva nella natura. Facendo un omaggio al fotografo dei primi del ‘900, George Shiras III, egli compone una narrazione in bianco e nero che rende essenziale e potente allo stesso tempo il nostro incontro con le immagini, quasi totemiche, degli animali che popolano il parco del Casentino.

“Inhabitants” è un progetto che ha visto la pubblicazione sotto forma di libro nel 2017, in edizione limitata, presso le edizioni di Urbanautica Institute. Nel 2016, National Geographic lo ha selezionato come esempio di esplorazione di parco naturale, pubblicando un esteso articolo sul progetto ed inaugurando la presenza di fotografie d’arte all’interno della rivista.

La mostra, ospitata dal Ristorante Mater, si inserisce all’interno del progetto di dialogo col territorio proposto dal locale stesso. L’esperienza che si propone nel gustare i piatti avvolti da queste immagini è di tipo sinestetico: assaporare con il gusto e l’olfatto prodotti provenienti dal territorio casentinese, immersi in una visione altra, diversa da quella esperibile da parte di chiunque frequenti il parco. Essa non manca inoltre di suggerire e guidare l’immaginazione nei suoni della foresta e nei silenzi che solo un animale guardingo riesce a produrre

BIOGRAFIA ARTISTA Andrea Buzzichelli nasce a Colle Val d’ Elsa nel 1969 dove vive tutt’ora. Inizia a fotografare negli anni ‘90. Un autodidatta che definisce la sua miglior scuola la sperimentazione continua del mezzo e dei materiali.
La sua è spesso una ricerca individuale e non pretende di raccontare niente di diverso da quello che “osserva”. Interpreta la fotografia come un potente antidepressivo del quale non può fare a meno. Proprio per questo scatta molto in analogico, convinto che la concentrazione su ogni singolo scatto sia decuplicata rispetto alla pratica immediatezza del digitale. Nel 2010 fonda con altri amici fotografi il collettivo Synapsee. I suoi lavori sono stati esposti in Italia e all’estero e pubblicati in molte riviste di settore come National Geographic, Gente di Fotografia, Foto Cult, Fisheyes Magazine e molte altre sia italiane che internazionali.

Arriva nelle scuole il metodo DADA

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di Sefora Giovannetti – DADA sta a significare ambienti per didattiche di apprendimento È un modello educativo strutturato in questa maniera: i docenti non si spostano più da una aula ad un’altra a seconda del proprio orario di insegnamento, ma sono gli alunni a spostarsi In base alle materie. In sostanza viene superato il vecchio concetto di aula che nel nostro sistema di insegnamento è fisso e costante per tutto l’anno scolastico per trasformarsi invece in un ambiente che ha una sua struttura specifica in base alla materia che viene insegnata. Tale modello educativo nasce nel nord Europa e piano piano si sta diffondendo in altri paesi fino a raggiungere anche l’Italia.

Le aule che si vengono a creare quindi non sono identificative di un gruppo classe ma sono suddivise per materie e gli studenti non si sentono più di appartenere ad un unico luogo, ma si spostano continuamente durante la mattina. In questo modo gli insegnanti possono usufruire di una loro aula personalizzata allestita in base alle peculiarità ed esigenze della materia insegnata. Tale progetto (DADA) avrà inizio dal prossimo settembre, una delle prime scuole che adotterà tale modello educativo si trova in provincia di Salerno ed è una scuola secondaria di primo grado, il metodo verrà poi esteso successivamente ad una rete di scuole che si è formata nel 2015 e comprende circa 200 istituti comprensivi. Ovviamente un tale cambiamento è stato fattibile attraverso l’impegno di tutti i professionisti che gravitano all’interno della scuola: dagli insegnanti, al personale ATA e, ovviamente, il dirigente scolastico.

I professori hanno dovuto seguire corsi di formazione per comprendere al meglio i cambiamenti che avverranno con il nuovo metodo educativo: le lezioni avranno nuovi orari, saranno organizzate con un andamento biorario. Ma anche la fisicità della stessa struttura scolastica dovrà subire dei cambiamenti, verranno costituite delle zone suddivise per ambiti disciplinari ed ogni ambito sarà contraddistinto da colori diversi per facilitare l’identificazione delle zone. Ogni aula verrà corredata di elementi imprescindibili per la materia, ci saranno aule con una struttura specificatamente laboratoriale, aule fornite di strumenti multimediali 2.0 ed altre ancora munite di librerie, vocabolari, utili all’approfondimento di materie umanistiche.

Ovviamente oltre al cambiamento dei luoghi fisici dovranno attuarsi anche cambiamenti in ambito prettamente didattico, verrà sempre meno dato spazio alla tradizionale lezione frontale per seguire invece logiche costruttivistiche, collaborative ed inclusive. L’arredo dell’aula verrà concepito in modo versatile e flessibile, come del resto anche il posto in cui dovranno sedere gli studenti. L’aula così modificata sarà l’espressione evidente e tangibile del nuovo cambiamento. Molti sostengono che questo nuovo luogo di apprendimento possa essere in grado di rispondere in modo efficace ai bisogni formativi delle nuove generazioni poiché verrà dato spazio a un processo di apprendimento laboratoriale, strutturato in gruppi, con canali più o meno formali.

La modalità didattica avrà senza dubbio una caratteristica meno rigida e più, passatemi il termine, liquida. Spero che l’evidente entusiasmo iniziale che è più che giusto, porti a risultati tangibili. Tutte le innovazioni appena descritte saranno sicuramente positive purché apportino significativi miglioramenti in ambito didattico e ciò non è affatto scontato. Da molto tempo si parla del superamento della lezione frontale, vengono impartiti continuamente agli insegnanti corsi e corsi di formazione su tale argomento, ma effettivamente ad oggi nelle scuole italiane ancora la lezione frontale la fa da padrona.

Questa forse sarà l’occasione buona per poter compiere un passo in questo ambito e poter approdare a nuovi modelli educativi che sappiano recuperare ciò che di buono c’è stato nella vecchia metodologia apportando modifiche e nuovi sviluppi grazie alla nuova.

SEFORA GIOVANNETTI Docente scuola secondaria di primo grado Rassina

(Rubrica SCUOLA SOCIETA’ sognando futuri possibili di Sefora Giovannetti e Mauro Meschini)

Primo soccorso a scuola

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di Gabriele Versari – “Il primo soccorso ha un potenziale valore salvavita e di salvaguardia della salute e dell’integrità fisica: alcune manovre di primo soccorso, infatti, laddove messe in pratica con tempestività ed adeguatezza metodologica, possono avere valore determinante per la sopravvivenza del paziente, mentre altre, nel caso non esista un immediato pericolo di vita, possono essere comunque fondamentali per evitare complicanze o ulteriori compromissioni”.

Queste le parole presenti nell’introduzione del testo del documento programmatico denominato “Primo Soccorso a Scuola”, rilasciato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) in collaborazione con il Ministero della Salute. Tale documento, pubblicato dal MIUR nel 2017, in relazione alla legge cosiddetta de “La Buona Scuola” e disponibile googlando il titolo dello stesso, regola la disciplina della formazione degli interventi di primo soccorso sia da parte degli studenti e studentesse, sia per quanto riguarda il corpo docenti, con particolare riguardo agli insegnanti di educazione fisica, incaricati dell’erogazione dei corsi agli alunni.

La tematica della formazione sul primo soccorso nelle scuole, soprattutto in quelle secondarie di secondo grado, è tornata al centro del dibattito pubblico nel nostro territorio dopo il recente avvenimento dello scorso 10 luglio. La dinamica dei fatti ha infatti visto un giovane aretino di diciassette anni salvare la vita ad un uomo colpito da infarto con prontezza di spirito e incrollabile freddezza, attraverso l’uso tempestivo della strumentazione di defibrillazione DAE, dopo un primo massaggio cardiaco insufficiente e la chiamata al 118. È emersa, in tutta la sua rilevanza, l’importanza di fornire agli studenti, come il giovane Alessandro, una preparazione adeguata in vista della possibilità di ritrovarsi in queste situazioni delicatissime, dato anche il loro elevato tasso di imprevedibilità.

È nostro dovere civico, in qualità di cittadini, vista la sovra citata importanza di saper effettuare una manovra efficace nel più breve lasso di tempo possibile, interrogarsi su quale sia il livello effettivo della formazione erogata agli studenti e alle studentesse in tema di primo soccorso nei due istituti comprensivi secondari di secondo grado presenti nel nostro territorio: l’IISS “Galileo Galilei” di Poppi e l’ISIS “Enrico Fermi” di Bibbiena. Abbiamo quindi pensato di raccogliere informazioni su quali siano le modalità di erogazione dei corsi e di confrontare i risultati con quanto stabilito dal documento rilasciato da MIUR e Ministero della Salute, mantra della regolamentazione in questo ambito.

Facendo riferimento alle testimonianze rilasciate dal dirigente scolastico Elisabetta Batini e da alcuni studenti dell’IISS di Poppi, appare abbastanza chiaro, fin da subito, quanto la preparazione in tema di primo soccorso predisposta per gli alunni sia quantitativamente sufficiente e continuativa nel tempo. «La sensibilità che viene prestata al tema del primo soccorso all’interno del nostro istituto comprensivo è molto sviluppata già prima dell’avvenimento di Arezzo, anche per quanto riguarda il corpo docenti. Inoltre, tutta la nostra provincia ha una cultura fortemente improntata alla formazione del primo soccorso, che viene divulgata a tutti gli studenti già dalla prima media grazie al “Progetto Arezzo Cuore”, che porta al conseguimento in fase finale, quindi al compimento della maggiore età, durante l’ultimo anno di superiori, della certificazione di utilizzo del defibrillatore DEA. La nostra scuola è in prima linea nella formazione, soprattutto per ciò che concerne i docenti di educazione fisica, coordinati ottimamente dalla Dott.ssa Bianchi, responsabile del re-training annuale, di modo da poter offrire agli studenti un’offerta formativa sempre aggiornata, essendo gli insegnanti di scienze motorie sia formati che formatori.

Ci ha spiegato la dirigente, che ha poi così proseguito. – I ragazzi si sentono in dovere di impegnarsi durante la formazione vista l’incidenza della valutazione complessiva del corso nel voto finale assegnato per educazione fisica, e nel frattempo si sviluppa in loro la consapevolezza della necessità di apprendere tali manovre di salvataggio estemporaneo, che non appena apprese le nozioni pratiche e teoriche della relativa materia non dovrebbe più esserlo. Le lezioni vengono effettuate nella palestra dell’istituto e durante l’esame finale è presente un membro esterno della Croce Rossa, Croce Bianca o dell’agenzia di formazione “Etrusco” di Monte San Savino, incaricato sempre in ambito provinciale di verificare l’idoneità dei candidati durante l’ultimo anno, esaminandoli in ordine alfabetico per ogni classe. Con i fondi PNRR è stato poi possibile acquistare il manichino per le esercitazioni del massaggio cardiopolmonare e il defibrillatore didattico, in modo da averli sempre disponibili essendo di nostra proprietà. Ciò ci permette di erogare circa quattro ore di corso, teorico e pratico a tutte le classi ogni anno».

Gli studenti confermano tutti gli aspetti dei corsi esplicati dalla docente e sostengono l’efficacia dei corsi grazie alla loro erogazione annuale e continuativa. Concludendo quanto concerne il liceo “Galilei” di Poppi, gli studenti sono stati formati anche in materia disostruzione delle vie aeree e sulle manovre di primo soccorso del trauma, le altre due competenze principali, oltre al massaggio cardiaco e alla defibrillazione veloce, che gli studenti devono necessariamente apprendere secondo quanto scritto nel documento guida.

Passando in rassegna l’ISIS “Enrico Fermi” di Bibbiena, chi ha fornito spiegazioni sulle modalità con cui l’istituto comprensivo forma gli studenti in ambito di primo soccorso è stata la Prof.ssa Francesca Cangini, docente e collaboratore del dirigente scolastico Egidio Tersillo. «Durante le ore di educazione civica vengono profilati insegnamenti aggiuntivi rispetto alla normale formazione erogata da parte dei docenti di scienze motorie. Agli studenti viene spiegata l’importanza di distinguere tra arresto cardiaco e attacco di cuore o, detto in senso comune, infarto, in quanto nel primo caso si tratta di un paziente che non risponde e non respira regolarmente o manca completamente di respirazione. Detta ipotesi presuppone obbligatoriamente l’uso del defibrillatore o il compiere la pratica di rianimazione. La nostra scuola è sensibile alla tematica del pronto soccorso in generale, in particolar modo il nostro corpo docenti e il personale ATA, che viene incentivato a iscriversi ai corsi in cui vengono presentati i farmaci salvavita e come somministrali. Inoltre, è presente un canale preferenziale con il 118 per emergenze specifiche di alcuni alunni, figlio della nostra collaborazione con l’ospedale di Bibbiena. Il dirigente ha voluto dedicare parte delle 40 ore dei corsi di aggiornamento per gli insegnanti proprio alle tematiche del pronto soccorso. Chiunque, sia a scuola che per strada, deve prestare il proprio soccorso durante questo tipo di emergenze. Per ciò che concerne la preparazione dei ragazzi, vengono erogati corsi sul primo soccorso, pratici e teorici, spalmati nell’arco dei cinque anni, in particolare quattro ore in tutto il biennio e altre quattro ore per ogni anno del triennio». Dunque, per un totale di sedici ore complessive.

«Le certificazioni di pronto intervento rilasciate alla fine dei corsi, avendo una valenza specifica anche nel mondo del lavoro, portano gli studenti a interessarsi a queste tematiche, sentite gradite e salienti». Anche in questo caso, l’essere promossi al test di valutazione finale si traduce nell’acquisizione di un attestato, rilasciato sempre dall’agenzia formativa «Etrusco» in seguito all’iniziativa denominata “Progetto Arezzo Cuore” citata precedentemente, che certifica che l’alunno è in grado di compiere le manovre di primo soccorso e di prestarlo in caso di necessità. Il metodo valutativo accorpato con il voto di educazione fisica preme i ragazzi a interessarsi alla tematica per vie indirette come nel contesto del liceo “Galilei”. Sono presenti le attrezzature necessarie per la formazione, quali manichini e defibrillatori per le simulazioni, e gli studenti sono formati anche sulle manovre di disostruzione e di primo soccorso del trauma.

C’è però una discordanza tra ciò che affermano gli studenti dell’ISIS “Fermi” e le enunciazioni della Prof.ssa Cangini: secondo i primi, nonostante i corsi siano effettivamente erogati anche nelle ore di educazione civica, di fatto ciò che si affronta è esclusivamente la parte teorica relativa agli interventi di primo soccorso, eccezion fatta per le classi quinte, il che significa che solo al termine del percorso scolastico gli studenti e le studentesse iniziano ad effettuare praticamente le manovre di massaggio e defibrillazione, per un totale di dodici ore. Dunque, sempre a detta degli alunni, la formazione pratica è cumulata interamente nell’ultimo anno di scuola in cui, come da regolamento, occorre affrontare le prove di valutazione utili a conquistare l’ambito attestato. Sembrerebbe che gli anni della pandemia e della DAD abbiano reso molto difficoltoso poter effettivamente far fare pratica agli studenti delle manovre salvavita, compromettendo questi insegnamenti e alterando l’ultimo ciclo scolastico.

Per concludere, occorre comunque ricordare l’importanza dell’apprendimento delle manovre di primo soccorso da parte degli studenti e non solo poiché, come spesso ribadito in questo contesto e come osservato empiricamente, esse possono realmente tracciare una linea di confine tra la vita e la morte.

«Anch’io in Casentino!» come portare (e tenere) qui i medici…

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di Mauro Meschini – Per fortuna, e speriamo definitivamente, quasi non ci ricordiamo più niente, o poco, del periodo che ci ha visto fare i conti con il Covid e con tutte le conseguenze sulla salute e su ogni aspetto della nostra vita che questo ha provocato. Il problema è che sono andate in soffitta anche tante parole, promesse e belle frasi di circostanza che in quei mesi sono state elargite a piene mani, in particolare per quanto riguarda tutto ciò che sarebbe stato necessario fare per restituire un ruolo, efficienza e centralità alla sanità pubblica.

Così, dopo aver costretto, nei mesi dell’emergenza, medici, infermieri e personale sanitario a combattere a volte a mani nude una dura battaglia in prima linea, ci stiamo trovando adesso in una situazione per tanti aspetti peggiore di quella presente prima della pandemia, anche se, dobbiamo essere chiari, proprio di quel periodo e delle scelte che da tempo si era iniziato a fare, ne è la diretta conseguenza.

La Toscana e il Casentino non fanno naturalmente eccezione, anzi, soprattutto con le vicende che anche questo giornale ha raccontato, abbiamo proposto esempi concreti per sottolineare come l’intenzione di dare un duro colpo al Sistema Sanitario Nazionale era e sia in atto da tempo e abbia prodotto, purtroppo, pesanti voragini nella capacità di tenuta dei diversi servizi territoriali e ospedalieri.

Ricordate la legge della Giunta Rossi della primavera del 2015? E poi quella del dicembre dello stesso anno che puntava solo a non far tenere il referendum per il quale erano state raccolte decine di migliaia di firme?

In quelle norme c’erano i tagli, le riduzioni di servizi e personale. In quelle scelte c’era anche la chiusura del Punto Nascita di Bibbiena e il ridimensionamento del nostro ospedale, l’inizio di una disastrosa discesa che sembra non avere fine e che in questi mesi pare ancora più evidente. La fuga dall’ospedale di Bibbiena di medici, anche «storici», è un dato che non può essere negato. Fuga giustificata da una situazione non più sostenibile, da un’organizzazione e da indirizzi che vengono dall’alto che non garantiscono l’erogazione di un servizio all’altezza delle necessità dei cittadini e della stessa professionalità del personale sanitario.

Sul territorio la situazione non è certo migliore con medici di medicina generale che vanno in pensione e con quelli che rimangono che hanno un numero sempre più alto di assistiti, a questo, come abbiamo raccontato, si è aggiunto il caso della pediatra casentinese, ormai conosciuta e apprezzata sul territorio, che da settembre sarà di nuovo sostituita da altre due colleghe, obbligando le famiglie a ricostruire un rapporto con i nuovi medici e lasciando comunque il servizio con un organico dimezzato rispetto a qualche anno fa.

In attesa di vedere uno scatto di orgoglio e atti concreti da parte degli amministratori della vallata, per ora presenti soprattutto attraverso comunicati stampa autocelebrativi o distribuendo costose pubblicazioni che raccontano di una sanità che non esiste, abbiamo visto che l’essere con l’acqua alla gola ha stimolato la Regione Toscana a inventarsi, visti i contenuti, una proposta che potremmo definire fuori dagli schemi.

Stiamo parlando del progetto «Anch’io all’Elba» lanciato ad inizio agosto con un «avviso per la realizzazione di un elenco regionale di professionisti disponibili a svolgere attività all’Isola d’Elba per periodi di tempo limitati». La particolarità di questo avviso sta in ciò che prevede: un massimo di 5 settimane di lavoro l’anno nell’ospedale dell’Isola d’Elba, con il rimborso di vitto ed alloggio e 2.000 euro lordi settimanali di indennità. L’orario di lavoro previsto è di 38 ore a settimana. Mentre per le Aziende di provenienza dei candidati, l’avviso è rivolto ai medici del Servizio sanitario regionale, viene garantita una produttività aggiuntiva a titolo di compensazione.

Visti i tempi, dopo aver smantellato servizi e chiuso ospedali, sembra che l’unica cosa che resta da fare sia aprire i cordoni della borsa e mettere sul piatto non poche risorse. In fondo è quello che da più parti ormai si sta facendo con il preoccupante dilagare dei «medici a gettone», professionisti privati, pagati cifre esorbitanti per svolgere alcuni giorni di servizio, con il risultato di avere un turn over continuo, impossibilità di dare continuità all’assistenza e rischi rispetto alla qualità delle cure erogate considerato i turni intensivi e faticosi che sono spesso previsti.

Sono ormai in aumento i medici che scelgono questa strada o, addirittura, si licenziano da un impiego pubblico per farlo. Naturalmente, se non ci fosse la domanda da parte delle Aziende Sanitarie, questo fenomeno non sarebbe stato neppure possibile pensarlo. Ma i tagli al personale e poi l’esplosione del Covid hanno spinto verso questa deriva che andrebbe assolutamente fermata e invece, in qualche modo, questo avviso non fa che seguire la stessa filosofia: soldi e benefici in cambio di interventi flash che possono tappare per qualche settimana la falla, ma che non risolvono certo il problema.

Comunque sia, da quello che possiamo leggere mentre scriviamo, in un paio di settimane circa 80 medici hanno dato la loro disponibilità ad essere presenti in questo elenco, per quello che abbiamo detto poco sopra non sappiamo se accogliere con soddisfazione la notizia o continuare ad essere preoccupati, certo almeno questi medici continueranno a rimanere nel Servizio pubblico e visti i tempi non è poco, ma quanto si potrà andare avanti solo con promesse di riconoscimenti economici che rischiano alla fine di pesare non poco sul bilancio regionale?

Ci chiediamo questo sapendo che, sempre per l’Isola d’Elba, è prevista un’altra iniziativa: il progetto «Start dall’Elba», rivolto a giovani medici, che prevede concorsi con assunzioni a tempo indeterminato nel servizio sanitario regionale con inizio della carriera, almeno per i primi tre anni, sull’Isola d’Elba. Anche in questo caso ci sono ulteriori benefici: possibilità di frequentare corsi di formazione in centri d’eccellenza, 6 mesi di ospitalità gratuita nella foresteria dell’azienda, incentivi economici e corsie preferenziali per la progressione di carriera. Dopo il primo triennio possibilità di spostarsi all’interno dell’azienda Usl Nord Ovest, mentre chi rimarrà all’Elba per sei anni al termine del periodo potrà, se non deciderà di stabilirsi sull’Isola, spostarsi in una qualsiasi altra azienda toscana.

Certamente un’iniziativa che appare più interessante, soprattutto se saprà davvero rappresentare un elemento di attrazione non solo per gli aspetti esclusivamente economici, che rischiano comunque di non riuscire a reggere le offerte che possono venire scegliendo di svolgere la professione nel privato, a gettone o altro; ma soprattutto perché in grado di offrire una concreta formazione e rappresentare un reale percorso di crescita professionale.

Sperando che siano queste le priorità scelte non possiamo non chiedere, considerato l’attuale situazione in cui vediamo funzionare i servizi sanitari e l’ospedale di Bibbiena, a quando un progetto «Anch’io in Casentino»? Non siamo un’isola, geograficamente parlando, ma nei fatti la situazione della vallata è assolutamente simile a quella che troviamo nell’Isola. Nel sito isoladelba.online leggiamo che ha «un totale di circa 32.000 abitanti, che aumentano notevolmente durante l’estate». Addirittura da noi siamo qualche migliaio in più e nel periodo estivo i turisti anche qui non mancano.

I motivi per trasferirsi dalle nostre parti ci sarebbero tutti: natura, ambiente rilassante, buona cucina, storia, cultura e i benefici aggiuntivi, a cominciare da buoni per assaggi gratuiti a tutte le sagre, non sarebbero un problema. Ma a parte gli aspetti goliardici, quella della difesa della sanità pubblica è e rimane un argomento assolutamente centrale e serio, lo diciamo da tempo, ma sembra che ancora non sia chiaro alle persone, neppure quando si trovano a toccare con mano le difficoltà e le carenze nei momenti in cui hanno assolute necessità.

Non sappiamo se questi progetti lanciati per l’Elba potranno davvero avere successo e, soprattutto, se riusciremo, sindaci permettendo, a calarli anche nella nostra realtà. Siamo convinti comunque che azioni per restituire la dovuta dignità al Sistema Sanitario Nazionale siano necessarie e tutti dovrebbero sentire il dovere di impegnarsi per questo.

Vogliamo concludere riproponendo qualche frase dell’intervista che Giuseppe Ricci ci ha rilasciato lo scorso marzo, sono poche righe e sono mirate sul tema della sanità, ma ci sono rimaste scolpite nella mente perché crediamo che potremmo tranquillamente considerarle per ogni aspetto della nostra vita privata e collettiva.

«…Se cominciamo a limitare le situazioni non del tutto chiare riusciamo a ridurre anche gli effetti negativi, si tratta semplicemente di rimettere in piedi un minimo di orgoglio di tornare ad essere dipendente pubblico. Avere professionisti che lo scelgono, guadagnano una giusta cifra e non si prostituiscono per inseguire il dio quattrino».

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