di Francesca Corsetti – Lo scorso 23 marzo la CGIL di Arezzo, in un comunicato, ha espresso preoccupazione in merito alla situazione dei distretti sociosanitari del Casentino e della Valtiberina. La Funzione Pubblica CGIL sottolinea che, nonostante siano passati anni e nonostante la legge regionale preveda l’attivazione da parte dell’Asl Tse di tutte le Unità funzionali del Dipartimento di prevenzione, devono ancora essere ripristinati i servizi di prevenzione e sicurezza sul lavoro e di veterinaria. Alla luce di questo problema, abbiamo intervistato Gian Maria Acciai, Segretario Generale e Responsabile delle funzioni centrali e sanità privata.
Può spiegare brevemente il contesto e la situazione per cui avete deciso di emanare il comunicato del 23 marzo? «In Casentino, come anche in Valtiberina, pur essendo istituite le zone distretto, su alcune competenze di fatto rimaniamo sotto la zona più complessiva aretina. Da un punto di vista di autonomia gestionale, quindi, risentiamo di questo aspetto. Per la veterinaria e la medicina del lavoro, quindi prevenzione e attività ispettiva che si fa nella sicurezza dei luoghi di lavoro, mancano sia i medici, sia l’organico a supporto dell’ispettore. Questo rischia di impedire poi l’ispezione e manca anche l’attribuzione dei livelli di responsabilità».
Secondo lei quali sono stati i principali problemi che hanno comportato la mancata riattivazione completa di questi servizi? «Questo è un problema di carattere più complessivo, perché c’è una scarsissima capacità nelle assunzioni da parte delle aziende sanitarie e quindi poche risorse date alla sanità partendo dal governo. Il governo ha messo mano al fondo nazionale sulla sanità che ha poi portato ogni regione a dover reagire in modo diverso. La Toscana, che in fase Covid ha optato per assunzioni a tempo indeterminato, si è trovata nella condizione di avere un picco di spesa del personale. Con le assunzioni fatte in fase Covid, al di là dell’emergenza, c’era stata la volontà di recuperare personale, già carente al tempo. Di fatto è stata colta l’occasione per fare un piano di assunzioni straordinario, ma la riduzione del fondo nazionale sulla sanità ha comportato che i territori dovessero invece abbattere il costo del personale. Mentre altre regioni avevano assunto con i tempi determinati, la Toscana si trova ora con un consolidato piuttosto alto, che deve rientrare nei parametri dati anche dalle leggi di carattere nazionale. Finché questo non accade, la regione può fare pochissime assunzioni. Per la medicina del lavoro, prevenzione sulla sicurezza nello specifico, mancano sia i medici che svolgono attività di ispettore, sia gli amministrativi a supporto o gli infermieri che spesso fungono da secondo ispettore. Questo sta comportando un depotenziamento delle funzioni della Asl. Se non si procede ad integrare il personale, ne consegue l’impossibilità di assolvere a queste funzioni. In più, la legge regionale istituisce i distretti con una loro autonomia dal punto di vista amministrativo e funzionale. Ogni vallata ha le sue caratteristiche e chi è nel territorio conosce le zone di rischio: dipendendo dagli obiettivi generali e da un calendario provinciale l’autonomia perde di efficacia.”
Ci sono stati dialoghi o incontri con l’Asl per discutere di queste mancanze? Se sì, quali sono stati gli esiti? «Non ci sono stati concessi incontri specifici nonostante le nostre numerose richieste. Da questa indisponibilità traspare la volontà di mantenere una gestione centralizzata su certi ambiti. È un modo indiretto di sminuire l’indipendenza e la creazione dei distretti, che non vuol dire ricostituire le vecchie Asl. Significa aver costituito un anello mancante soprattutto nelle zone periferiche, in modo tale che possa ricalare su base territoriale, in modo ottimale, l’organizzazione di un’area decisamente troppo vasta. Le aree di Arezzo, Siena e Grosseto costituiscono metà della Toscana: un’unica direzione comporta dei benefici in termini di armonizzazione dei servizi resi. Poi però ci sono i territori marginali con delle peculiarità e necessità organizzative diverse, che non possono essere gestite neppure a livello provinciale. La regione Toscana, dopo il passaggio ad aree vaste, ha pensato correttamente di trovare un livello intermedio su base territoriale».
Quali sono le vostre aspettative per i prossimi mesi riguardo alla riattivazione dei servizi di medicina del lavoro e veterinaria in queste aree? «Noi continuiamo a riproporre questo tema di carattere organizzativo anche nelle trattative non relative a questo punto. Sicuramente quello delle capacità di assunzione è un tema che tocchiamo costantemente in ogni nostra manifestazione o trattativa. Essere nel territorio vuol dire conoscerlo, ma non solo per fare le ispezioni: il dipartimento è quello della prevenzione, l’ispettore non fa solo multe, ma lavora nel territorio per prevenire gli incidenti sul lavoro e cerca di dare risposte tramite le ispezioni stesse. Quindi, quello che chiediamo è che venga tolto il vincolo normativo sulle assunzioni per le aziende sanitarie risalente al 2004, a cui tutti gli anni bisogna sottostare diminuendo la spesa del personale. Se si vuole mantenere una sanità pubblica degna di questo nome, quindi anche efficiente, c’è bisogno di personale. In Casentino un problema importante è il servizio reso dall’ospedale: ormai lo sappiamo, mancano principalmente i medici nella medicina d’urgenza. Ad oggi l’azienda sta sopperendo, anziché assumendo, con le aggiuntive, cioè con il lavoro straordinario, di fatto raddoppiando i turni dei medici attuali che devono supplire a chi manca. Sembra banale, ma noi vorremmo che ci fossero più medici! E per questo bisogna togliere i vincoli alle assunzioni che hanno le aziende. C’è inoltre una mancanza di OSS nei reparti di medicina che sta comportando delle difficoltà nella gestione della persona, distraendo l’attività specifica e altamente qualificata dei pochi medici e infermieri dalla cura del paziente. È da mesi che stiamo chiedendo l’integrazione degli OSS, che porterebbero benefici anche sulla parte sanitaria, perché i medici sarebbero ridestinati alle loro mansioni».
Se la situazione non dovesse migliorare, quali ulteriori azioni potreste intraprendere come sindacato? «Al di là della possibilità di assumere che è su base normativa, per cui cerchiamo di intervenire a livello di governo, a livello regionale chiediamo che la Regione, da bilancio, investa più risorse, per quanto investa già circa l’80% del bilancio nella sanità, sempre nel rispetto del vincolo della norma nazionale. A livello locale oltre che fare pressione attraverso stati di agitazione, manifestazioni e raccolte firme, stiamo coinvolgendo anche le forze politiche locali. I sindaci sono coinvolti: essendo il sindaco il soggetto deputato a garantire l’igiene e la salute pubblica, è importante avere una Conferenza dei Sindaci forte e consapevole dei problemi dell’organico che possa entrare nel merito delle decisioni della Asl. Quindi noi siamo impegnati su tutti i livelli istituzionali e a livello locale stiamo intervenendo con le nostre manifestazioni di volta in volta, per tenere alta l’attenzione e sensibilizzare sul problema. La medicina del territorio è una prospettiva estremamente interessante che previene l’accesso verso gli ospedali, ma è un contesto che ancora deve entrare nella piena maturazione non solo della Asl, ma anche dei cittadini e dei medici di base. Le persone devono essere consapevoli di avere la possibilità di essere assistite a casa. La medicina territoriale interviene a casa del paziente e ha un valore in termini di salute dello stesso: laddove è possibile, il paziente si cura meglio a casa, perché rimane nel proprio contesto. Dove c’è una situazione di media gravità, la medicina territoriale funziona molto bene; tuttavia, spesso ci si rivolge all’ospedale per necessità un po’ più banali, anche perché la famiglia spesso ha bisogno di sentirsi alleggerita in un momento di difficoltà».
Finora, però, in determinati comuni del Casentino è stato difficile attivare anche solo le visite a domicilio del medico di base, anche a causa della loro conformazione… «La medicina territoriale viene attivata dal medico di famiglia che deve prima valutare lo stato di salute della persona. I medici di base sono pochissimi e hanno dei numeri incredibili, per svariati motivi. Questo comporta che siano sempre meno reperibili e sempre più impossibilitati a fare visite a domicilio. Se il medico di famiglia ha difficoltà a raggiungere o a presidiare il territorio, la famiglia si vede costretta a rivolgersi all’ospedale. È un percorso, quello della medicina territoriale, che necessita di ulteriore dialogo con i medici e soprattutto con i cittadini, ma è anche determinato dalla mancanza di medici nel territorio».