di Anselmo Fantoni – Da Cappuccetto Rosso in poi tra uomini e lupi non c’è mai stato amore. Nel dopo guerra sembrava invece che qualcosa stesse cambiando, purtroppo come sempre il mancato controllo di flora e fauna, nell’utopia di ricreare un ambiente selvaggio, anche dove le attività antropiche sono oramai storiche e radicate, presenta un conto salato. L’Italia è maestra nel concedere aiuti e contributi prima per impiantare e poi per estirpare vigneti, e ora si sono spesi fior fiori di euro per ripopolare le nostre foreste con ungulati, predatori come il lupo e poi, visto che a questi animali non si possono imporre direttive e decreti, ci troviamo a dover sostenere costi di risarcimento alle aziende agricole, con il rischio di vederne alcune cessare la propria attività.
Ad oggi la politica conservazionista integralista, ha dimostrato tutti i suoi limiti e le sue inapplicabili teorie che non tengono conto nella giusta misura del fattore uomo. Il patrimonio naturalistico è tutelato dallo Stato in virtù delle sue caratteristiche di bene collettivo e giustamente viene difeso e preservato nell’interesse della collettività. Il problema è che tale patrimonio è frutto non della spontanea creazione della natura, ma per effetto del lavoro di intere generazioni che traendo sostegno economico ci hanno lasciato in eredità foreste ed ecosistemi oggi meta di appassionati e studiosi. Poi sono arrivati gli integralisti e allora stop allo sfruttamento controllato che avrebbe sicuramente mantenuto un equilibrio in modo migliore di come si vede adesso, se no non si capisce come fino a qualche anno fa, grazie a fondi europei e al mastodontico progetto Wolfnet, si indicavano come obbiettivi prioritari quelli di un’armonizzazione tra allevatori e presenza del lupo, al fine di permettere un incremento della popolazione diminuendo gli abbattimenti illegali. Ma proviamo a sentire la storia di un allevatore del comune sede del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
Abbiamo incontrato Dino Orlandi della Società Agricola Batattole di Orlandi Dino Sas in quel di Pratovecchio, l’azienda fornisce anche il macello in Piazza Paolo Uccello gestito dalla moglie realizzando la magica filiera a km zero.
Da quando avete operativo l’allevamento? «Sono oramai dodici anni e da circa cinque anche mio figlio è entrato attivamente nella gestione dell’azienda. All’inizio per me è stata una gioia perché vedevo tutti i miei sforzi coronati nel sogno di ogni imprenditore: trasmettere la propria attività ai propri figli, lo sentivo come un modo per sconfiggere il tempo, poi purtroppo a causa dei tanti problemi vecchi e nuovi non so se ho lasciato a mio figlio un buon modo per vivere o soltanto un’opportunità di combattere contro i mulini a vento».
Che tipo di problemi? «La burocrazia a cui ci siamo pian piano abituati è quella che ci fa meno paura. Oggi gli allevatori sono visti come quelli che danneggiano la natura e creano alimenti che non fanno bene alla salute, ma i nostri 150 capi, tra limousine e chianina, sono allevati nel rispetto e nel benessere degli animali che alla fine garantiscono un prodotto finale di qualità che consumato con intelligenza, come tutte le cose, non credo faccia male, anzi. Purtroppo da qualche anno non possiamo lasciare al pascolo vitelli e bestie gravide per la comparsa di un predatore assente dal territorio al momento dell’inizio dell’attività…».
Cioè? «Per via del lupo. I suoi attacchi sono sempre più frequenti e ne hanno fatto le spese anche i miei cani da guardia. Oramai sembra che un piccolo branco si sia stazionato proprio intorno a Pratovecchio per cui ovini e bovini non vivono più tranquilli come un tempo».
A quando risale il primo attacco? «A circa sei anni fa. Una lupa con due cuccioli ha attaccato e ucciso un vitello mangiandogli tutta la parte ventrale. Ho chiamato in Provincia e Regione e dopo l’ennesimo “non è questo l’ufficio competente provi a chiamare questo numero…”, ho portato il vitello morto all’Unione dei Comuni ma nulla da fare, l’attacco era fuori del territorio limitrofo al Parco e non ci si poteva far nulla. Morale della favola 150 Euro di spesa per lo smaltimento della carcassa».
Ci sono stati altri attacchi? «Tre anni fa un mucca, nessun rimborso. Poi un atto bruttissimo una vacca attaccata mentre partoriva da un branco di sette lupi. Morti vacca e vitello e 300 Euro di spese per lo smaltimento».
Gli occhi di Dino si velano di pioggia, perché anche se gli animali sono destinati all’alimentazione umana e sono il reddito dell’azienda, tra allevatore e animali si instaura comunque un rapporto di rispetto.
E oggi? «L’ultimo attacco è stato fatto ad una vitella e stavolta ci hanno rimesso anche due cani che hanno tentato di difenderla, uno ancora non è completamente guarito da una ferita al ventre».
E i pascoli? «Oggi abbiamo circa 70 ha sotto sfruttati, in quanto i vitelli non possiamo lasciarli al pascolo libero e di conseguenza anche le fattrici devono rimanere in stalla con maggiori costi e anche con una perdita per la qualità di vita degli animali. Per minimizzare la cosa abbiamo acquistato delle mucche da latte che fanno da balia ai vitelli permettendoci di svezzarli prima e di mandare almeno le vacche al pascolo».
Di cosa avrebbero bisogno gli allevatori? «Che i lupi rimanessero in foresta, su ad alte quote, che gli indennizzi fossero estesi anche alle attività fuori dalla giurisdizione del Parco. Se uno dei miei cani va in paese e morde qualcuno io sono responsabile comunque, non è perché è fuori dai miei terreni che cessa la mia responsabilità».
Come vede il futuro della sua attività? «Incerto, sia io che mio figlio siamo persone tenaci e non ci arrendiamo facilmente. A volte però viene veramente voglia di abbandonare tutto, viene da chiederci: Ma chi ce lo fa fare? In fondo noi vorremmo soltanto allevare bestiame, dare ai nostri compaesani carne buona da mangiare. Invece sempre più fogli da riempire e norme da rispettare, alcune sacro sante e nell’interesse della salute dei consumatori ma alcune risibili. Poi quello che da fastidio più di tutto, istituzioni e burocrati che ci considerano colpevoli prima ancora di indagini o sentire la nostra versione dei fatti. A volte ci sentiamo davvero criminalizzati, colpevoli solo di voler fare un mestiere che sentiamo nel sangue».
È proprio di questi giorni la richiesta congiunta tra Province di Trento e Bolzano e la Regione Toscana per la gestione in autonomia della popolazione di lupi nel proprio territorio che in pratica significa abbattimento controllato della specie. Ricordiamo il 1952 quando ci fu una razzia di bestiame nel Muschioso a Stia, fu l’ultimo atto prima dello sterminio, poi dagli anni settanta in poi, il Padre della Capitale, con difficoltà aveva ripreso possesso del suo storico areale ma ora, dopo aver speso milioni di euro per ripopolamenti studi e indennizzi, si riaprono i portafogli per le spese di abbattimento. Forse se avessimo ascoltato gli allevatori decenni fa avremmo capito che tanti ungulati avrebbero fatto sì che anche i predatori aumentassero vertiginosamente, così oggi gli allevatori sono assediati dal lupo, gli agricoltori dagli ungulati e forse tutto ciò è imputabile a una gestione fallimentare della politica ambientale. Ma questa è un’altra storia. Homo Homini lupus.
Sopra, un lupo fotografato nel centro del paese di Stia
(tratto da CASENTINO2000 | n. 298 | Settembre 2018)