di Simone Borchi – Chi promuove il turismo in Casentino definisce le vaste foreste e le praterie di Catenaia e Pratomagno “incontaminate” ovvero intatte, inalterate, vergini, assecondando una visione statica dell’ambiente e del paesaggio come se fosse una fotografia e non un divenire modellato dall’interazione fra attività umane e territorio. Nelle dichiarazioni politiche agricoltori, allevatori e forestali sono ricordati per il loro insostituibile ruolo, ma poi si omette un concreto riconoscimento a quelle attività agricolo-zootecniche e selvicolturali che consentono di salvaguardare la residenza in quota, in quei paesi e frazioni la cui vitalità è fondamentale per la corretta gestione e tutela del territorio e per lo stesso turismo. Da molti anni sta invece accadendo il contrario, l’emigrazione in Casentino è diventata prima di tutto uno spostamento interno, dagli insediamenti in quota a quelli di fondovalle, con la residenza si spostano i servizi e, con un effetto perverso, la mancanza dei servizi accelera la migrazione verso il fondovalle. Banche, poste, benzinai, farmacie, negozi di alimentari, bar spariscono dai paesi di montagna, compreso il tradizionale emporio che, unico negozio del paese, rispondeva a tutte le esigenze.
La promozione turistica del Casentino ha ricalcato il modello che astrae dal contesto agricolo-forestale montano le caratteristiche ritenute “attrattive”: meravigliose foreste “selvagge”, prodotti agro-alimentari scollegati dalla loro matrice produttiva, escursioni naturalistiche, una fauna selvatica che “pare” vivere in armonia con l’ambiente e l’uomo. In realtà il sistema rurale e montano casentinese è l’apparenza di attività produttive complesse stratificatesi nel tempo e in continua interazione con l’ambiente. Come le vigne del Chianti sono la manifestazione paesaggistica di una produzione agricola che ha modellato il territorio, con forme che si evolvono assieme alle tecniche di coltivazione, così la montagna casentinese è il prodotto di insediamenti agricolo-forestali che hanno plasmato e continuamente trasformato quell’ambiente che oggi si pretende di offrire al turista come soltanto “naturale” e non simbiosi di natura e laboriosità agricola e selvicolturale.
I progetti di sviluppo turistico devono partire dalla consapevolezza che non possono essere calati sulla fotografia del territorio, ma devono relazionarsi con i suoi coltivatori-gestori: in assenza di questi verrebbe a mancare il presidio che consente di mantenere una residenza diffusa, un buon assetto idrogeologico e un livello minimo di servizi commerciali e alla persona. Questi residenti possono fornire alle strutture turistiche conoscenze, lavoratori stagionali, servizi di manutenzione, prodotti tipici e soprattutto un territorio già organizzato in cui il progetto turistico può portare un valore aggiunto.
Le attività agricolo-forestali consentono di mantenere gli insediamenti in quota e quindi almeno una parte dei servizi di base, rappresentando un presidio che può dilatare la capacità di accoglienza utilizzando le strutture esistenti. Non solo affitto stagionale e promozione del sistema di “albergo diffuso”, ma anche rilancio del mercato immobiliare dei nuclei situati in montagna, dove un enorme patrimonio edilizio dalla crisi del 2008 è in gran parte inutilizzato e con esso tutto l’indotto commerciale e di servizi che il domicilio, anche se stagionale o saltuario, sosteneva. Non vanno sottovalutate fra l’altro le conseguenze delle variazioni climatiche in città come Firenze, dove nel periodo giugno-settembre il disagio per i cittadini diviene spesso insopportabile e la vicinanza della montagna casentinese può costituire un’alternativa vicina e a basso costo. Occorre prima di tutto collaborare con gli operatori agricoli e forestali per rendere le loro aziende più stabili e pluriattive, favorendo intrecci funzionali con l’offerta ricettiva e la ristorazione, l’escursionismo, la manutenzione delle strutture e delle piccole sistemazioni ambientali.
In questo senso la legge sulla montagna n. 97 del 1994 offre molte opportunità per la possibilità legale di instaurare rapporti economici con aziende e cooperative agricolo-forestali e per la facoltà delle regioni di erogare incentivi economici a chi trasferisce per almeno dieci anni la propria residenza o attività in un comune montano, magari in una frazione in quota. Sarebbe possibile operare da subito sostenendo l’economia agricolo-forestale sia con una migliore gestione del vasto patrimonio regionale e statale sia rimuovendo limitazioni e vincoli ingiustificati che hanno provocato soltanto abbandono e deperimento della ricchezza naturale.
A titolo di esempio favorirebbero l’aumento dei lavoratori e residenti nelle aree rurali e forestali: -la coltivazione dei quasi 1.500 ettari di riserve naturali statali ora abbandonati e in particolare dell’abetina di Camaldoli fortemente compromessa e punteggiata di crolli strutturali
-la rimodulazione delle limitazioni imposte dall’Ente parco al piano di gestione del patrimonio forestale della Regione Toscana, che impediscono la rinnovazione delle abetine, prefigurandone il crollo, ampliano in modo discutibile le aree di abbandono e introducono criteri selvicolturali inadeguati anche per la corretta gestione ecologica delle fustaie di origine artificiale
-la cancellazione dei divieti preconcetti dell’Ente parco al completamento di viabilità forestale che hanno provocato l’abbandono di vaste formazioni boschive, quando il sistema escursionistico è costruito quasi esclusivamente sulla viabilità forestale di servizio e di esbosco
-il rafforzamento della manodopera in amministrazione diretta per la manutenzione degli 11.650 ettari di patrimonio agricolo-forestale regionale e il rilancio delle lavorazioni boschive in appalto
-la concertazione fra gli enti per definire regole certe e durature per la coltivazione dei boschi e quindi approvare piani di gestione che diano garanzia di continuità di forniture alle imprese locali di trasformazione del legno
-il sostegno alla zootecnia di montagna superando il concetto del rimborso dei danni da selvaggina a beneficio della tutela dell’attività aziendale, che non nasce per recuperare danni, ma per produrre ricchezza e insieme mantenere gli ambienti prativi montani
-la cablazione dei paesi e frazioni montane per consentire il miglioramento dei servizi ai cittadini e alle imprese e lo sviluppo del lavoro a distanza.
C’è poi il problema dell’insostenibile carico di fauna selvatica, presentato come un vanto turistico, ma che rende impossibile qualsiasi coltivazione senza recinzioni e qualsiasi allevamento se non con cani da guardiania pericolosi per gli escursionisti, distrugge la rinnovazione forestale autoctona e compromette perfino la ricrescita del ceduo.
La strada per rafforzare il turismo in Casentino e renderlo coerente con la conservazione di un ambiente naturale di pregio è complessa, costituita da un mosaico di interventi diversificati, ma ognuno di questi può dare subito un beneficio a chi coltiva e mantiene il territorio e a chi ci innesta sopra un progetto turistico; promuovere il turismo attraverso le attività agricolo-forestali può sembrare una via più indiretta, ma è l’unica che può sostenere un reale sviluppo di attività ricettive, di ristorazione, culturali, commerciali e di tutti quei servizi che possono essere costruiti in un Casentino così ricco di natura, ma anche di cultura, etica e capacità di gestire un ambiente in prevalenza montano e forestale.
Per un progetto che renda armonici strumenti e obiettivi di settori così diversi occorrono i relativi imprenditori, capacità professionali, innovazione, ma anche un regista, un soggetto che leghi gli interessi locali e privati a quelli pubblici, che sia tramite fra le istanze del territorio e il governo regionale e nazionale. La soppressione della Comunità Montana, che riuniva fino al 2011 gli allora 13 comuni casentinesi, ha eliminato questo tramite, sostituendolo con una Unione parziale, approssimativa, temporanea, incapace di rappresentare il Casentino e di pesare nel quadro regionale, ma il ritorno alla Comunità o un nuovo ente non avrebbe senso.
Resta l’unica possibilità del Comune Unico, che il testo sulle autonomie locali del 2000 prevede come esito ultimo originato dallo scioglimento della Comunità Montana a seguito della fusione di tutti i comuni.
Non è una scelta di antipolitica, l’obiettivo non è ridurre il numero di sindaci e assessori o di ottenere qualche risparmio gestionale, ma rimettere nelle mani dei Casentinesi il destino del loro territorio, dandogli una rappresentanza unica, motivata, forte, al di sopra delle logorate cerchie politiche locali.
Concludiamo la nostra rubrica “Idee per il Casentino” con questo intervento di Simone Borchi. Per 35 anni ha svolto la professione di dottore forestale dirigente del settore agricoltura e foreste della Comunità Montana del Casentino. Per 30 anni, a partire dal 1982, è stato responsabile della gestione della foresta del Santuario della Verna. Negli anni 2002-2007 ha ideato e diretto il progetto “Lago degli Idoli”.