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domenica, 28 Aprile 2024

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Poveri lavoratori

di Mauro Meschini – Se ci pensate è qualcosa di inconcepibile. Cerchi di fare di tutto per avere la possibilità di lavorare; accetti magari di fare cose che non ti saresti mai sognato prima; sei disposto anche a fare qualche doppio turno, lavorare la notte e nei giorni festivi; non ti tiri indietro se ti propongono turni e orari improbabili; oppure di usare la tua auto senza nessun rimborso o riconoscimento. Poi, alla fine del salmo, fatti due conti, che poi sono anche facili da fare, ti rendi conto che non riesci ad arrivare non alla fine del mese, ma neppure alla fine della prima settimana.

«Emerge come centrale il fenomeno dei working poor, ossia di quelle situazioni di povertà, personali e familiari, in cui non manca il lavoro, ma il reddito non è sufficiente a una vita dignitosa», sono le parole pronunciate da Paolo Valente, vicedirettore di Caritas Italiana anticipando la presentazione, avvenuta il 17 novembre, del Rapporto 2023 su povertà ed esclusione sociale in Italia dal titolo «Tutto da perdere». Dal rapporto emerge che «In Italia le persone a rischio povertà e/o esclusione sociale risultano 14 milioni 304 mila, pari al 24,4% della popolazione…».

Tornando a focalizzare l’attenzione sul lavoro povero si evidenzia che «Il lavoro a tempo parziale, così come il lavoro precario o le basse retribuzioni possono essere alla base di alcune condizioni di povertà. In tal senso, l’Istat proprio per misurare il fenomeno dei working poors ha elaborato un indicatore che misura la percentuale di occupati a rischio povertà, che hanno cioè un reddito netto equivalente inferiore alla soglia relativa fissata al 60% della mediana della distribuzione del reddito nazionale. Su un totale di 23,3 milioni di occupati, risultano a rischio circa 2,7 milioni (l’11,5%)…».

Sono numeri che dovrebbero fare pensare, il fatto che, nel Paese «fondato sul lavoro», non sia possibile garantire, almeno a chi effettivamente un lavoro lo ha, una vita dignitosa e con un margine di sicurezza e serenità appare assolutamente vergognoso. Come riportato su eunews.it il 20 aprile 2023: «Nel 2022, caratterizzato da un’inflazione annuale galoppante, che ha raggiunto il livello record del 9,2 per cento in Ue, i salari e gli stipendi orari medi sono aumentati in tutti i 27 Paesi membri, con una media del 4,4 per cento. Di poco inferiore il dato relativo alla zona euro, con un incremento del 4 per cento. Il rapporto pubblicato oggi da Eurostat non sorride all’Italia, fanalino di coda con appena un +2,3 per cento di retribuzione oraria».

Se poi torniamo ancora più indietro nel tempo i dati che possiamo raccogliere offrono una situazione ancora più negativa per il nostro Paese, infatti su openpolis.it, uno studio che ha analizzato la crescita dei salari dal 1990 al 2020 evidenzia come l’Italia sia l’unico Paese europeo in cui sono diminuiti. In questo quadro, tutt’altro che positivo, si è inserita anche la discussione sul salario minimo che le opposizioni (esclusa Italia Viva) avevano proposto di stabilire per legge a 9 euro. Da ricordare anche che una proposta di legge promossa da Unione Popolare è stata comunque consegnata in Senato e sottoscritta da circa 70.000 cittadini.

Quindi, materiale e motivi per discutere e approvare norme conseguenti su questo argomento ce ne sarebbero in abbondanza, ma l’attuale maggioranza ha risposto negativamente e per adesso siamo al niente di fatto. Riflettendo su questa serie di dati e notizie sentiamo inevitabilmente crescere la preoccupazione, quale futuro può avere un Paese in cui la stragrande parte della popolazione non ha la possibilità di costruirsi una vita dignitosa? A cosa servono tutti i proclami sulla necessità di «fare figli»? Si vogliono forse far venire al mondo solo potenziali nuovi poveri? Nuove generazioni di lavoratori ricattabili e senza diritti da dominare meglio? Vediamo purtroppo molti ipocriti nei posti che contano, e vediamo anche molto astio nei confronti di chi è più indietro e si trova in difficoltà.

Questi due elementi: la crescente crisi che dilaga tra molte famiglie e il crescente disinteresse delle classi dominanti per queste situazioni sempre più difficili, rischiamo di creare un conflitto pesante, in una realtà in cui la debolezza dei tradizionali soggetti intermedi (partiti, sindacati…) non appare fore come una volta in grado di riuscire a canalizzare in azioni positive e proposte forti e costruttive le proteste e le più che giuste rivendicazioni.

Altre volte il presunto pericolo per la «sicurezza» pubblica è stato pretesto per limitazioni e azioni preventive di contenimento. Se tutto ciò fosse attuato contro chi chiede salari dignitosi e opportunità per sé e per le proprie famiglie sarebbe una scelta grave e pericolosa. I lavoratori devono già sopportare una situazione pesante, ci mancano solo le azioni repressive per essere alla fine «mazziati» due volte.

(SCUOLA SOCIETA’ sognando futuri possibili è una rubrica a cura di Sefora Giovannetti e Mauro Meschini)

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