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martedì, 10 Settembre 2024

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Silenzio, guarda!… e la didattica a distanza

di Denise Pantuso – I giovani adolescenti descrivono sempre più con dovizia di parole ciò che accade al di qua dello schermo durante una lezione a scuola. Sembrerebbe che lo schermo della didattica a distanza abbia un effetto di ritorno sui giovani ben diverso da quello che si può riscontrare quando parlano delle ore passate connessi ai giochi o ai vari social. Anche nel discorso dei genitori appare evidente la rabbia, quando non la preoccupazione finanche la disperazione nel vedere il proprio figlio o figlia incollato allo schermo del pc o del cellulare con il gioco e i social. Questo incollamento appare fusionale ai limiti dell’ipnotico, quel torpore in grado di alterare la dimensione temporale e spaziale, le percezioni sonore e visive. I giovani non rispondono se chiamati, non si rivolgono a nessuno intorno, si ritirano nelle loro camere.

Il giovane sembra proiettato al di là dello schermo o dentro ma nell’esperienza della DAD si parla di un al di qua dello schermo. Dall’incollamento sembrano essere passati ad una situazione ibrida di ottundimento attivo che dai loro discorsi non è attribuibile alle lezioni di per sé quanto piuttosto a ciò che la scuola rappresenta per loro. Infatti il malessere che nasce nell’esperienza continua della DAD è legato a due situazioni: ciò che c’è adesso e ciò che non c’è più. Il modo di fare scuola e di stare insieme ai compagni è cambiato. Ci sono i microfoni che solitamente sono tutti chiusi, li apre chi parla. Esiste una chat di gruppo e una privata con cui poter comunicare. O tutti o uno a uno… non più comunicazioni tra vicini di banco. Poi ci sono silenzio e lo sguardo. Leggere, essere interrogati, vedersi nella finestrina della piattaforma sembrano avere un effetto perturbante. Che cos’è l’effetto perturbante?

Sigmund Freud nel testo Il perturbante lo descrive come un senso di intima estraneità che lui legava al momento in cui il rimosso torna nella coscienza. In questo caso nessun rimosso è messo in scena quanto piuttosto il legame con la realtà, una realtà che sembra familiare ed estranea allo stesso tempo. Gli studenti si sentono in classe ma non lo sono, vedono i compagni ma non li toccano e non ci parlano (salvo le chat private).
Lo schermo quindi diventa qualcosa che sta tra la necessità di controllarsi e la perdita di controllo, tra la necessità di essere lì presenti alla lezione e non sentirsi mai troppo lì perché si è in camera propria e i compagni non si sentono e non si toccano. C’è la percezione che in classe puoi vedere chi ti guarda e sulle piattaforme no perché tu parli e guardi uno per uno senza orizzonte.

La percezione della presenza degli altri è quindi un po’ equivoca tra il persecutorio e l’assente. Questi effetti percettivi che includono la vista e l’udito non sono di poco conto nella crescita dei giovani che soprattutto sullo sguardo e poi la voce intesa come parola, ricostruiscono tra i 10 e i 25 anni la loro identità.

Che cosa produce in alcuni soggetti in termini di malessere la DAD? Effetti di spaesamento, irruzione dell’angoscia per un eccesso di occhi “puntati su di me”, maggiore distrazione per evitare gli occhi immaginati degli altri, angoscia nel sentire la propria voce “sola in mezzo al silenzio” quando non si è davvero soli, aumento della mancanza di motivazione intesa come propensione alla vitalità. Anche l’essere a casa propria ha subito una trasformazione nel tempo.

Se nel primo lockdown le lezioni da casa avevano il vantaggio di richiedere meno sforzo in questo secondo anno di studio essere a casa mortifica, quando non distrugge, la percezione del sentirsi studenti. In alcuni casi questa esperienza perturbante porta ad attacchi di panico, violenza verso i genitori o verso sé oppure un ritiro simil depressivo come attrazione a lasciar andare la vita.

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