di Beatrice Boschi – Il binge eating è uno dei disordini alimentari più diffusi in questo ultimo periodo. Il termine significa letteralmente “abbuffata di cibo” e indica momenti in cui si introducono grandi quantità di cibo in un breve periodo di tempo. Queste crisi sono accompagnate dalla sensazione di perdere il controllo su quanto e cosa si stia mangiando e di conseguenza da un forte senso di colpa e vergogna, che spesso portano ad abbuffarsi da soli o di nascosto, senza essere visti da nessuno.
Solitamente l’idea di mangiare quantità elevate di cibo genera un iniziale senso di euforia e di apparente felicità seguito, tuttavia, da sentimenti contrastanti di vergogna, disgusto e senso di colpa verso se stessi, il proprio corpo e il proprio comportamento. Quando gli episodi di binge eating avvengono almeno una volta a settimana per un minimo di tre mesi consecutivi si può fare la diagnosi di Disturbo da Alimentazione Incontrollata che si distingue dalla bulimia nervosa perché chi ne soffre non mette in atto comportamenti compensatori per controllare il peso corporeo, come vomito, uso di lassativi, digiuno o eccessivo esercizio fisico.
Infatti, la maggior parte dei pazienti che presentano questo disturbo sono accumunati dalla caratteristica di sviluppare vari gradi di obesità e di conseguenza ridotta aspettativa di vita e numerose malattie che caratterizzano i soggetti con elevato peso ponderale come diabete, malattie cardiovascolari, apnee notturne, alcuni tipi di cancro, dislipidemia e ipertensione arteriosa. Il peso eccessivo e la sofferenza psicologica provocano difficoltà nei rapporti interpersonali e problematiche nelle relazioni sociali che possono spingere ad un progressivo isolamento. Le implicazioni psicologiche, insieme alle complicanze mediche, determinano un significativo peggioramento della qualità di vita di chi ne soffre.
Per cercare di riconoscere e contrastare questo disturbo è necessario fare innanzitutto una corretta diagnosi, questo non è semplice però, perché i pazienti non solo possono tendere a nasconderlo per disagio o senso di colpa, ma talvolta non sono nemmeno pienamente consapevoli della presenza di un vero e proprio disturbo, sottovalutando la propria situazione.
Una volta fatta la diagnosi, l’obiettivo primario del trattamento deve essere l’interruzione del disturbo, perché focalizzandosi esclusivamente sulla perdita di peso si rischia di innescare un circolo vizioso controproducente. Molti pazienti, infatti, cercano in maniera anche compulsiva, di seguire diete con lo scopo di perdere peso senza riuscirci, dal momento che la dieta, soprattutto se rigida, aumenta la fame e tende a scatenare le abbuffate, alternando periodi di calo ponderale a periodi di recupero del peso (effetto yo-yo) che nel tempo aggrava progressivamente la condizione di obesità.
Il miglior modo per intervenire, a seguito della diagnosi di Disturbo da Alimentazione Incontrollata, è intraprendere un percorso di psicoterapia, se necessario anche accompagnato dalla somministrazione di psicofarmaci nei casi più complessi, che solitamente risulta efficace nel lungo periodo.
Tuttavia, non è detto che la riduzione delle abbuffate si associ a una riduzione significativa del peso, e quindi secondo le Linee Guida attuali il trattamento migliore per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata deve essere condotto da un team multidisciplinare di specialisti integrati tra loro come psicologi e specialisti della nutrizione così da poter intervenire in maniera tempestiva su tutti i fronti.
Dott.ssa BEATRICE BOSCHI Biologa e nutrizionista, beatrice.boschi@virgilio.it – tel. 347 8482948
(Rubrica ESSERE L’Equilibrio tra Benessere, Salute e Società)