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venerdì, 26 Aprile 2024

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Montagna da conoscere e rispettare

di Fiorenzo Rossetti – Spesso ci si ritrova a doversi misurare con frasi del tipo «Si stava meglio quando si stava peggio», o «Ai nostri tempi eravamo più capaci, forti, virtuosi e spensierati». Luoghi comuni, scambi di idee generali e giudizi che puntualmente si presentano quando persone di generazioni diverse si confrontano.

Ciò avviene anche quando l’oggetto del confronto è l’andare per monti. Giovani frequentatori da una parte contro quelli che hanno iniziato “ieri” o “l’altro ieri”. I primi appaiono poco riflessivi e molto proiettati sul vivere la loro esperienza con entusiasmo e con i modi della modernità e della cultura del vivere sociale (social). I secondi, quelli con lo zaino pieno di esperienza (gli attempati insomma) mostrano nostalgia per un tempo in cui la frequentazione della montagna era vissuta in modo diverso, e comunque, sempre a detta di questi, migliore per sé stessi e per l’ambiente.

Ma è davvero così cambiato il modo di frequentare la montagna? E se sì, come è cambiato? Davvero era meglio prima come dicono i frequentatori più attempati? O si sbagliano e ad avere ragione sono le nuove generazioni, più colte, organizzate e capaci nel raggiungere il soddisfacimento personale?

Potrei avere un giudizio di parte. Se penso alle foto in cui venivo ritratto in scarpette da ginnastica, pantaloni di jeans (in tutte le stagioni) e lo zainetto dell’Invicta, mi rendo conto dei tanti anni passati da quando ho iniziato a frequentare le montagne dell’Appennino Tosco Romagnolo (ora Parco nazionale delle Foreste Casentinesi). Più o meno in quarant’anni di tempo è possibile valutare se effettivamente vi sono stati cambiamenti nei modi, nelle finalità e nell’etica di recarsi in montagna. Non solo quindi evoluzione di materiali e attrezzatura per l’escursionismo. Occorrono però occhi attenti, competenza e giudizio critico per valutare dove sta l’eventuale ragione tra chi la frequenta ora la montagna e chi ha iniziato prima.

Il Parco delle Foreste Casentinesi tutela una natura incredibile, che è montagna! Vale la pena fare qualche considerazione sui diversi modi di affrontare la montagna nel tempo; questo vale per fare valutazioni sulla sostenibilità di alcuni flussi turistici e può mostrarci, di riflesso, il volto della nostra società. Valutazioni che anche gli Enti gestori dei Parchi e delle Aree protette dovrebbero affrontare.

Un tempo, così narrano i primi frequentatori slegati da motivazioni lavorative di utilità (come posso anche io testimoniare), ci si recava in montagna quasi da eroi, perché lo si faceva con scarne informazioni, quasi nessuna attrezzatura per l’orientamento e un abbigliamento 100% cotone (bagnati sempre). Dominava l’avventura, in tutti i sensi. I luoghi da raggiungere non erano stati osservati nelle centinaia di post sui social e nemmeno stati mappati con un punto gps da inseguire. Si procedeva con lentezza, forse anche perché i cellulari non vi erano e farsi male voleva dire cacciarsi veramente nei guai, guardandosi attorno per carpire ogni segno della natura e ogni indizio per procedere il camminino. Eravamo tutti alpinisti; camminatori o arrampicatori uniti dallo spirito della montagna e dalla voglia di scoperta.

È innegabile però osservare che gli alpinisti sono ora “specie protetta”, numericamente scarni e a rischio di estinzione. Al loro posto sulle montagne (e anche quelle del Parco) sono apparsi nuove tipologie di frequentatori.

Alcuni sono definiti “gli sportivi”, che fanno a gara a chi è più veloce (all’insegna di quella stessa rapidità che caratterizza la società moderna), arriva prima e rischia di più, che considera la montagna una palestra o un circuito. Poi ci sono i “camminatori sociali”, che vivono la montagna a cervello spento, a volte dietro a qualcuno che li traghetta per sentieri (nel massimo della sicurezza, sempre sotto controllo di gps e radar meteo), parlando e socializzando come nel salotto di casa o in un pub, senza apparente interesse per quel che si calpesta e si può cogliere osservando, poco inclini a fare fatica, spesso lamentevoli per lo sforzo, ma pronti a scattare foto e fare reel per mostrarsi alpinisti felici.

Raggiungere luoghi per dire di averlo fatto, utilizzare la montagna e la sua natura come luogo instagrammabile e per trasformarsi tutti in influencer, pretendere comodità assurde nei rifugi e trasformare tutto in hotel e ristoranti a cinque stelle: ecco cosa è diventata la montagna. Meglio una volta allora? Le “vecchie” generazioni di frequentatori della montagna quindi hanno ragione a lamentarsi? Può essere, sì.

Questo nuovo modo di contattare e frequentare il mondo naturale della montagna può essere distruttivo nei confronti della stessa montagna che si vuole visitare per staccarsi dalle mostruosità della città. A parer mio non occorre riportare l’orologio del tempo indietro. Le nuove generazioni hanno entusiasmo, capacità e virtù uniche, segno dell’evoluzione tecnologica e sociale che è evoluzione della specie umana.

Siamo noi vecchie generazioni, che dobbiamo smettere di lamentarci e pensare che “una volta era meglio”. Abbiamo invece il compito di essere maestri, di far vedere e mostrare ciò di cui la montagna necessita per essere vissuta e assieme, nuova e vecchia generazione, rintracciare l’entusiasmo per ritrovarsi sugli stessi sentieri, per proteggere le terre alte di questo pianeta e portare nella nostra società più saggezza, consapevolezza e uno stile di vita responsabile.

L’ALTRO PARCO Sguardi oltre il crinale di Fiorenzo Rossetti

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