di Francesco Meola – Sta riscuotendo una curiosità sempre più crescente il progetto di rilancio dell’ex azienda agricola Falterona da parte di un gruppo di appassionati. Con l’acquisto di un territorio boschivo di 630 ettari, l’obiettivo è quello di ripopolare e rigenerare un’area da tempo trascurata combattendo lo spopolamento e costruendo un nuovo modello di sviluppo sostenibile da vivere in montagna.
Ma per saperne di più abbiamo contattato Francesco Mattesini, l’imprenditore che si è aggiudicato l’area in questione e che ha ideato il progetto.
Come è nata l’idea di acquistare questi 630 ettari sul Falterona? «L’idea nasce innanzitutto dalla mia passione per la montagna e l’Alto Casentino. Il nostro intento è infatti quello di recuperare un’area ricca di risorse e tradizioni e, dietro questa scelta, non si cela nessun interesse di natura economica».
Qual è stata, quindi, la vostra principale motivazione? «Lo scopo è quello di ripopolare quella che ritengo essere una delle aree più belle dell’intero Appennino riprendendo le fila della sua storia e del grande lavoro svolto da Renato Raggioli negli Anni ‘60, quando riunificò alcuni poderi e creò l’azienda agricola Falterona».
Quali sono le sfide più grandi che vi aspettate in questa fase iniziale? «La sfida principale è quella di riuscire a coinvolgere in questo progetto quanti più lavoratori collaboratori possibile, perché il rilancio del Falterona passa innanzitutto dal riuscire a trovare delle persone interessate a vivere in questo contesto. Il nostro interesse è rivolto soprattutto ai giovani e alle coppie, ma chiunque dovesse decidere di darci una mano sarà ovviamente il benvenuto».
Avete già definito una roadmap? Quali saranno i primi interventi concreti sul territorio? «È presto per dare delle indicazioni precise ma, in linea di massima, il progetto prevede cinque macroaree: agricoltura montana, allevamento estensivo di bovini, recupero dei castagneti da frutto, selvicoltura e turismo rurale. È nostra intenzione produrre formaggi, carne, farina di castagne, ortaggi e frutta di montagna, nonché sviluppare servizi (come passeggiate a cavallo) per chi verrà ospitato nella nostra azienda. Per il momento siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma non escludiamo, in un secondo momento, di dedicarci anche alla costruzione di un rifugio turistico e un agriturismo nel quale si possano consumare i prodotti della nostra azienda agricola».
Si tratta quindi di un progetto piuttosto articolato… «Si, diciamo che le idee sono tante e molto dipenderà anche da come riusciremo ad organizzarci. Al momento posso soltanto assicurare che da parte nostra c’è tutta la volontà di rilanciare l’area sfruttando al meglio le risorse di cui dispone».
Quanto tempo pensate servirà per vedere i primi risultati del progetto? «Penso che entro la fine dell’anno potremo partire coi cantieri ma, dal momento che abbiamo ancora delle questioni progettuali e burocratiche da portare a conclusione, potremo essere più esaustivi soltanto nei prossimi mesi. Comunque, il progetto di recupero è imponente e per portarlo a termine ci vorranno anni. Però il lavoro da fare non ci spaventa, anzi ci entusiasma».

E nell’attesa di conoscere quali saranno i prossimi sviluppi, non possiamo che salutare positivamente questa iniziativa che rappresenta un esempio concreto di come l’impresa privata possa assumere un ruolo attivo e responsabile nella tutela e nel rilancio dei territori interni, troppo spesso dimenticati. Il Monte Falterona, infatti, è parte di quell’Italia montana e marginale che ha sofferto per decenni lo spopolamento, l’erosione dei servizi e la perdita di identità locale.
Un progetto del genere ha quindi il potenziale per invertire la tendenza, creando posti di lavoro, filiere agricole locali, turismo lento e nuove forme di presidio del territorio. Una risposta concreta a un problema strutturale che le istituzioni, da sole, finora non sono riuscite a risolvere.


