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giovedì, 28 Marzo 2024

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Gli Amanti di Piazza Tarlati. Puntata 17

The good wife (terza parte) Gianni era un tipo gentile e simpatico e a lei faceva piacere fare due chiacchiere. Qualche volta aveva anche pensato di potersi confidare, ma poi aveva rinunciato.
Quella mattina però non riusciva a contenere nelle viscere i propri turbamenti e qualcosa la spingeva verso quell’uomo che, seppure misconosciuto, le ispirava fiducia. I suoi occhi erano buoni; lei li guardava senza farsene accorgere, gli sembrava che parlassero.
Da donna sensibile quale era ben conosceva il linguaggio dell’iride. Questa, in certi individui, non sa mentire e lascia trasparire chiaramente ciò che provano (sembra che l’occhio umano abbia tutto un proprio sistema percettivo ed elaborante rispetto al cervello, come se fosse un’entità autonoma, non solo capace di movimenti involontari).
A lei questi occhi dicevano che poteva fare un passo in avanti.
L’uomo stava terminando di ricaricare la macchina quando lo raggiunse.
– Sono la prima a consumare il caffè nuovo penso.
– Ciao! Come stai?
– Diciamo abbastanza bene.
– Diciamo? Mi sembri stanca.
– In effetti non è un buon periodo per me, però si va avanti.
– Oh, intendiamoci, è un piacere vederti. Sei sempre bella disse Gianni.
– Grazie – rispose con un filo di emozione che fece comparire una lacrima – ho proprio un gran bisogno di sentirmelo dire.
A quella vista lui capì e si fece intraprendente, forse come non lo era mai stato in vita sua.
– Io ti ho sempre trovato molto attraente. Senti, se uno di questi giorni invece di prendere il beverone di cicoria ci trovassimo al bar? Giusto per fare due chiacchiere fuori di qui.
Lei sembrò esitare ma poi pensò che era stupido farsi tanti scrupoli e che il riguardo che doveva, al massimo poteva essere pari a quello ricevuto.
– Si, perché no.
Può andare giovedì prossimo? Preferisci durante la pausa pranzo o dopo il lavoro.
– Va bene durante la pausa.
– Ok. Allora ci vediamo giovedì.
I due si scambiarono uno sguardo che evidenziava chiaramente la sensazione della contentezza.
“Lei mi piace molto. Mi è piaciuta fin dal primo giorno che l’ho vista, ma chissà.
Quanto ci ho pensato, quante volte l’ho immaginata”, diceva Gianni a sé stesso.
Osservare le piccole, minute farfalle, appena uscite dalla crisalide volare via subito. Udire l’accenno di una melodia e non poterla afferrare; dover passare oltre e perderne le note più belle e soavi.
Scorgere la formazione di un meraviglioso arcobaleno nella valle ma arrivare quando è ormai svanito.
Coricarsi portando un volto dentro l’anima per poterci parlare fino al mattino dopo, quando la magia deve per forza svanire.
Desiderare quasi timidamente, in punta di piedi, in modo che il sentimento rimanga leggero, tanto da non diventare mai abbastanza consistente da infrangere il sogno.
Un granello di senape, niente di più, insufficiente persino per una allodola, eppure farselo bastare e ritenerlo tanto prezioso da doverlo custodire come una gemma rara.
Sognare sapendo di non doverlo fare.
La prospettiva di un domani accarezzato, immaginato, che si era acceso come una piccola fiammella nel buio delle interminabili notti dense di solitudine.

Gianni salì sulla vettura della ditta ed iniziò a viaggiare senza avere piena coscienza della strada o di qualunque altra cosa intorno.
Quando lei riprese il lavoro questo gli sembrò assai più sopportabile.
Il respirare che riempiva il diaframma veicolava un sentore di buono, un benessere diffuso che sapeva di poter accettare. Percepiva una bella sensazione che le attraversava il corpo e la mente.
In principio non seppe definirla precisamente ma poi la riconobbe e, nonostante provasse ad ignorarla, questa continuava ad affiorare come lava incandescente. Provò di nuovo a distogliere lo sguardo ed a far finta di non conoscerla, ma in cuor suo sapeva che si chiamava aspettativa.
Un incontro, sia pure solo per poter parlare, confrontarsi ed anche sfogarsi. Gianni gli sembrava la persona giusta per farlo. Poi era anche un bel ragazzo il che non guastava. Per lei, tuttavia, questa era solo una nota estetica che contribuiva a rendere la persona gradevole. “Niente secondi fini, per carità, non mi interessa altro che fare due chiacchiere. Le mie amiche non sono del tutto affidabili” pensava.
La donna, come chiunque altro, aveva subito tamponato ogni buco nella propria coscienza che potesse mettere in dubbio la propria integrità morale, al fine di giustificare quell’attesa che le procurava un sottile piacere.
La qual cosa era perfettamente coerente; sarebbe stato singolare il contrario.
I dubbi, le incertezze, gli scrupoli, il senso di colpa, erano solo un residuo che fermentava nella sua coscienza ed erano perfettamente normali le giustificazioni che si dava per tacitarla.
Pensava infine che aveva diverse ragioni per non esitare e che andava bene così.
Era ora di vivere un giorno alla volta.

The good wife (quarta parte) Quella sera, quando rientrò a casa, Paride la trovò con il volto più disteso e l’abbozzo di un sorriso.
Ne fu sorpreso tanto da sentirsi incoraggiato a ricambiare. Mancava poco alle otto perciò si mise ad apparecchiare mentre lei preparava la cena.
– Mi sono fermata a prendere della frutta ed ho visto il cous cous, ti va bene?
Ho preso anche un mango. Lo posso fare a fette da aggiungere all’insalata.
– Ma certo! Va benissimo rispose lui.
Quando il cibo fu pronto chiamarono i ragazzi. Aprirono un paio di bottiglie di Beck’s ed altrettante di Coca Cola.
Il profumo delle pietanze era ottimo e più che sufficiente per quella puntina di fame, che più o meno tutti si ritrovavano a quell’ora.
Che l’atmosfera fosse più distesa fu certificato dal fatto che nessuno sentì il bisogno di accendere la tv, nonostante fosse tempo di telegiornale, oppure di una delle più esilaranti puntate di “icarly”.
– Mangiamo in terrazza? Si sta bene anche fuori.
La serata di inizio estate era calda ma non afosa. Era bella anche la luce del tramonto che colorava il Pratomagno di un rosso acceso.
L’aria diffondeva le fragranze di tante fioriture che attiravano insetti industriosi, incuranti delle faccende umane. Le api ronzavano sfruttando gli ultimi minuti. I giorni erano lunghi, alcuni in modo particolare, ma non quello. Entrambi gli adulti avevano di che rallegrarsi e forse la donna più dell’uomo.
Era lei ad aver assaporato l’aroma della novità e ne era felice.
I giovani si misero a punzecchiarsi, sfottendosi e tirandosi qualche scappellotto.
– Mi passi il prosciutto per favore?
– Allora, come è andata oggi in fabbrica?
– Bene, tutto ok…
– Mi fa piacere. Con il caporeparto? Ti ha infastidito?
– Ma no, figurati, lui è un cretino e basta. Ogni tanto deve far vedere che esiste ed allora urla.
Basta ignorarlo.
Quello che restava del giorno trascorse tranquillamente. Lui si mise a lavare i piatti mentre lei stava con i figli, per capire se avevano studiato ciò che dovevano.
Mentre li ascoltava scorreva le pagine internet con lo smart phone.
Da google aveva digitato il nome dell’azienda presso cui lavorava Gianni.

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C’era una foto di gruppo e nonostante non fossero pochi, riconobbe subito il suo sorriso al quale aggiunse il proprio, soffermandosi per qualche secondo sull’immagine. Quando fu ora di andare a dormire i coniugi si coricarono mostrandosi i dorsali come la notte precedente, solo che la situazione emotiva era assai diversa.
Lui non aveva più avuto alcun contatto. Non si era presentata allo studio ed il cellulare era rimasto orfano di ogni forma di comunicazione.
Lei invece aveva la bocca socchiusa quel tanto che bastava a farle venire le fossette sulle guance.
Gianni era seduto lì accanto mentre si confidava. La tenue luce del lampione stradale che entrava dalla finestra era filtrata dalle asole delle persiane e dalle tende, ma bastava a definire il suo volto.
Il naso leggermente pronunciato ma in proporzione. I capelli castani, sbiancati da un accenno di brizzolatura e discretamente mossi, di media lunghezza.
Un bel sorriso fatto da denti regolari con la coppia centrale degli incisivi distanziati tra loro.
E poi quegli occhi buoni dentro ciglia lunghe da sembrare finte. Aveva notato che, alla luce intensa del sole estivo, l’iride virava verso il verde ma la base del colore restava nocciola.
Ma ciò che l’aveva colpita oltre l’aspetto estetico erano state le sensazioni che le aveva procurato il suo sguardo.
Lei era certa che si trattava di un’anima la cui bontà fuoriusciva chiaramente dalle pupille, ma aveva anche avuto l’impressione che fosse in grado di leggerle nel pensiero.
Inoltre, quasi a controbilanciare tutta quella dolcezza, qualcosa di selvaggio le richiamava alla mente l’espressione animale del canis lupo.
Pensando a questa singolare caratteristica non mentiva a se stessa ammettendo di subirne il fascino.
Un lupo tenero, protettivo, ma ferocissimo nella difesa del proprio territorio.
Nell’uomo del caffè, insomma, gli sembrava di vedere tutto quello che non aveva più da molto tempo o, magari, stava solo sognando ad occhi aperti.
Di questa eventualità era consapevole ma, in quella fase della propria esistenza, aveva bisogno anche di sognare, senza doversi chiedere fino a che punto spingersi con la fantasia.
Quando arrivò al bar del minuscolo paesino posto vicino alla fabbrica Gianni era già al tavolo. A dire la verità aveva avuto scrupoli e tentennamenti fino all’ultimo, ma la risultante delle forze contrapposte l’aveva condotta dove voleva.
Anche nel breve tragitto in auto si era guardata allo specchietto retrovisore preoccupandosi del proprio aspetto. Sebbene si trattasse “solo di un caffè giusto per fare due chiacchiere” la biochimica dell’attrazione esigeva il rispetto di alcune regole che lei stava osservando – ancorché in modo inconsapevole – mettendosi un filo di rossetto ed un velo di rimmel.
Prima di entrare si aggiustò la camicetta e quando gli fu davanti tutte le incertezze si sciolsero alla vista del suo sorriso.
Ci furono alcuni secondi di imbarazzo, dato che per lei era inusuale incontrare privatamente un uomo che non fosse il marito. Gianni si accorse subito dell’esitazione della donna per cui la anticipò, andandole incontro con modi affettuosi.

The good wife (quinta parte) – Ciao, come stai? Mi fa piacere che sei venuta.
– Tutto bene grazie. Fa piacere anche a me.
– Prendi un caffè? Sicuramente sarà migliore di quello che prendi dalla macchina che vi porto al lavoro!
Davanti alla tazzina l’atmosfera si fece più distesa e il buon aroma della miscela contribuì ad accorciare le distanze.
Oltrepassati i convenevoli di rito il colloquio si fece più profondo tanto che lui si azzardò a chiedere come andassero le cose in famiglia.
– Insomma, penso che hai già intuito qualcosa, non troppo bene ultimamente.
– Posso capire. So come vanno certe cose; anche io quando ero sposato attraversavo momenti difficili. La vita coniugale a volte è così.
– Sei stato sposato a lungo?
– Dieci anni.
– Poi avete divorziato?
– Lei se ne andò. Anche tra noi le cose non funzionavano molto bene. Pensavamo che un figlio ci avrebbe uniti ma poi non fu così. Quando la vita decide di addentarti non sempre è possibile divincolarsi.
– Quanti anni ha?
– Cinque e vive con la madre.
– Sembra un po’ la mia storia solo che io sono ancora in famiglia.
– Cosa non va in particolare?
– Da circa un anno lo sento distante, assente. Parliamo poco o niente e mi pare proprio abbia la testa altrove.
– Posso farti una domanda se non sono troppo indiscreto?
– Si, certamente. Non sarei qui a parlare con te altrimenti.
– Pensi che abbia un’altra?
– Guarda, ti dico, io non ho elementi per affermarlo con certezza ma credimi, ci sono cose che senti dentro di te che parlano chiaramente. Poi vedo gli atteggiamenti. Situazioni che saltano agli occhi. Come gestisce il cellulare che non lascia mai e quando accade è spento. Sicuramente lo usa quando si chiude in bagno. Insomma, tanti piccoli indizi.
– Si, capisco bene, mi pare di rivedere mia moglie.
– Mi dispiace.
– A me no. Certo, in principio è stato doloroso ma poi, quando ho capito quanto poco mi avesse mai amato, è stata una liberazione.
– Io dovrei rientrare. Pausa finita.
– Ma certo. Mi ha fatto piacere incontrarti.
– Anche a me. Sono stata bene.
– Se vuoi ci ritroviamo, osò l’uomo, con occhi che aggiungevano verbo al verbo.
– Vediamo dai. Tanto tornerai per la manutenzione, giusto? Rispose la donna mettendo un poco di distanza.
Uscirono insieme dal locale e la accompagnò all’auto. Prima di salire si salutarono dandosi la mano. Un istante prima che le epidermidi si toccassero gli elettroni della femmina incontrarono quelli del maschio, scambiandosi energia ed instaurando un legame covalente che non passò inosservato.
Il collegamento era stabilito nonostante tutte le ragioni della ragione e nonostante tutte le difese che lei avrebbe ancora messo in atto.
Chissà se qualcuno, semmai, avrebbe staccato la spina.

Innocenza e adolescenza Le due coppie di coniugi, oltre ad essere separati in casa, probabilmente avevano maturato la convinzione di essere sterili in quanto, ormai da tanto tempo, non ricordavano di convivere con altre persone: i figli.
Isolati come asteroidi nello spazio profondo, gli adolescenti vivevano fluttuando nell’universo sociale giovanile quasi del tutto alienati dal contesto familiare.
Soprattutto i maschi – Stefano e Claudio – rispettivamente i figli di Paride e Lucia, Rinaldo ed Elena, erano solo apparentemente forti ma, in realtà, si trattava di soggetti fragili e molto vulnerabili alla mancanza di punti di riferimento.
In altre parole avevano un posto dove andare a mangiare e a dormire, ma erano rarefatte le occasioni di dialogo con i detentori della patria podestà.
Le loro giornate si svolgevano con metodica routine. Scuola. Casa. Calcio per i maschi. Piscina per le ragazze. Danza per Cristina e scuola di disegno per Laura.
Il loro tempo veniva contato dall’orologio ma scandito dal cellulare, vero padre putativo di tutti.
Metronomo infallibile, insostituibile collegamento con relazioni umanizzate, rappresentava l’unica ancora di salvezza in un mare desolato e triste.
WhatsApp e Facebook piuttosto che Instagram, erano una finestra sul mondo che potevano decidere se tenere aperta oppure no.
A differenza dei rapporti in famiglia, che vivevano spesso quasi in maniera formale, i social permettevano un “dai e vai” relazionale apparentemente facile da gestire. Stare in una comunità virtuale, trasformarla in reale per un tempo sempre più limitato nelle 24 ore, aprire e chiudere rapporti con facilità, senza doversi quasi mai confrontare faccia a faccia.
Questa condizione, tuttavia, rappresentava l’autentica certificazione dell’essere: senza il cellulare ed i suoi mondi, infatti, equivaleva a non esistere.

(Fine puntata 17)

Marco Roselli, Gli Amanti di Piazza Tarlati, Fruska

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