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venerdì, 19 Aprile 2024

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Morte sulla ciclabile

Pubblichiamo a puntate il racconto di Marco Roselli “Morte sulla Ciclabile”, all’interno dello spazio GIALLOCASENTINO apparso sulla versione cartacea in edicola di CASENTINO2000. Roselli, apprezzato scrittore casentinese, si cimenta qui con un genere nuovo per lui, il giallo. Naturalmente ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

6 ottobre 2016.
La brina, che quella mattina aveva sorpreso il fogliame tardivo, formava una cristallizzazione senza soluzione di continuità tra i campi coltivati, la ciclabile lungo l’Archiano ed il suo argine, stendendo un velo di carta da zucchero che alle 10.00 persisteva ancora.
Quell’autunno somigliava più ad un inverno precoce, tuttavia le basse temperature non avevano scoraggiato i frequentatori; perciò, quando una ciclista cominciò ad urlare come un ossesso, diversi sportivi arrivarono in suo soccorso.
Tutti pensarono che si fosse fatta male o che fosse stata morsicata da un cane randagio. Nessuno avrebbe potuto immaginare quello che, invece, le era capitato.
Alla donna ci volle del tempo per riprendere il fiato e la favella.
Aveva il viso palesemente stravolto ed era in una iperventilazione così serrata che le parole le ritornavano dentro i polmoni.
Questi inspiravano solamente, consentendole solo di emettere suoni gutturali.
Gli improvvisati soccorritori la costrinsero a sedersi, ma si dovettero sforzare alquanto visto che aveva la muscolatura irrigidita come uno stoccafisso.
Quando infine riuscì a calmarsi iniziò a fare ampi gesti con le braccia in direzione del fiume.
A quel punto tutti alzarono lo sguardo senza capire, fino a che la sventurata non trovò la forza di gridare:
-Guardate laggiù!!!!!
Allora un paio di persone presero il coraggio a quattro mani e scesero verso la lama.
Vicino alla sponda cercarono con lo sguardo senza alcun esito, poi, dopo circa cinque minuti, si fermarono in prossimità di un groviglio di arbusti.
La suola di un paio di Adidas spuntava dai rovi sotto i quali si trovava il cadavere di un uomo.
Riverso in posizione prona, aveva la faccia conficcata nel limo, perciò non fu possibile capire immediatamente chi avrebbe potuto essere.
-Chiamate il 118. Disse Paolo Teri.
-Ma non vedi che è morto? Rispose suo fratello.
-Certo che lo vedo, ma bisogna chiamarlo ugualmente.
Qualcuno intanto stava parlando con la stazione dei Carabinieri di Bibbiena:
-Sì. Più o meno all’altezza dell’Omplaf, ma sulla ciclabile. No, nessuno ha toccato nulla. Va bene. Aspettiamo qui.
Intanto sulla pista si erano fermate altre persone che stavano ammassate sul luogo del ritrovamento, nonostante ci fosse chi diceva loro di non farlo.
Come uscita dal nulla, una nebbia bassa, quasi radente il suolo, si era diffusa ovunque.
Alta non più di un metro appariva strana, tanto che quasi tutti notarono la singolarità del fenomeno. Quando i lampeggianti dei mezzi di soccorso e delle forze dell’ordine proiettarono la loro luce intermittente, la bruma assunse una tonalità bluastra che conferì al luogo un aspetto sinistro.
Il Capitano Brini della stazione di Bibbiena dovette farsi largo tra i curiosi per accedere al morto dopo che i militari, a fatica, erano riusciti a delimitare la zona.
Quando vide quello che c’era da vedere si tolse il cappello e prese a grattarsi la testa, cosa che fecero anche gli appuntati Tosi e Vangelisti.
Ma fu solo quando quelli della scientifica – che nel frattempo erano arrivati da Arezzo – ebbero terminato di fare i propri rilievi dicendo che il corpo poteva essere spostato, che il Brini si lasciò sfuggire un’imprecazione:
-Cazzo!
Benché gonfio e coperto di terriccio, tutti riconobbero subito che l’uomo senza vita era il sindaco Masini.
Il brusio della gente diventò un vociare quasi insopportabile, tanto che, all’incalzare delle domande della stampa, gli inquirenti risposero con un secco “no comment”.
Tante persone morivano ogni giorno, ma in questo caso la faccenda era diversa perché si trattava del primo cittadino di una realtà che si era sempre sentita al sicuro.
Nonostante non ci fosse alcuna evidenza che potesse far pensare a qualcosa di diverso da una morte naturale o accidentale, in molti lasciarono il posto con in mente la parola che nessuno aveva avuto il coraggio di pronunciare.
Mentre infuriava l’assedio dei cronisti il carabiniere Vangelisti fece un cenno al superiore, il quale, defilatosi per un attimo, ricevette una busta cui dette giusto uno sguardo.

Ospedale S. Donato. Sala operatoria.
7 ottobre. Ore 9.00
La dottoressa Fossi, medico forense incaricato, assistita dalla dottoressa Bichi.
“Alle ore 10.15 inizio esame autoptico. Abbiamo un uomo di 54 anni generalizzato in atti. L’esame esterno del soggetto non evidenzia segni di contusioni quali ematomi o ecchimosi. La cute non presenta lacerazioni né tagli di alcun genere. Solo nella regione giugulare si rileva la presenza di fibre che paiono di origine vegetale – per le quali si richiede esame chimico – che potrebbero far pensare ad una azione di soffocamento. Ore 10.45. Procediamo all’apertura della cassa toracica.
I polmoni appaiono contratti e non della colorazione degli organi che abbiano beneficiato della normale ossigenazione.
Si può affermare che il parziale imbrunimento dei tessuti sia indicativo di come al soggetto possa essere mancato il respiro; valutazione compatibile anche con il colore del volto.
Per una determinazione procediamo all’apertura della scatola cranica.
Le circonvoluzioni della regione frontale sembrano depigmentate; analogamente quelle della zona della corteccia. Si prelevano campioni per l’esame istologico.
Alle ore 12.00 terminiamo l’ispezione anatomopatologica. Gli elementi riscontrati sono univocamente concordi nell’evidenziare un decesso dovuto a soffocamento.
Verosimilmente l’ora della morte si colloca tra le ore 7.00 e le ore 9.00 del giorno 06/10/2016.“
I medici ispettori.

Stazione dei C.C. di Bibbiena.
8 ottobre. Ore 15.00
Affacciato alla finestra del proprio ufficio, il capitano Brini teneva in bocca un mozzicone di sigaro che non aveva mai acceso e che si era consumato solo con il nervoso ruminare della bocca.
L’uomo era talmente assorto nei propri pensieri che, quando l’appuntato Tosi bussò alla porta, ebbe un sussulto e un residuo di “toscanello” gli cadde sul dorso della mano. Questi la ritrasse con uno scatto istintivo, come se una brace inesistente stesse per provocargli una bruciatura.
-Avanti! Ah, Tosi, sei tu! Allora? Che cosa abbiamo?
-Ecco. Questo è il referto dell’autopsia signor capitano. Sembra soffocamento.
-Impronte digitali?
-Nessuna.
-E la sigaretta che ha trovato Vangelisti?
-Niente neanche in quella. Chi l’ha fumata avrà usato guanti e bocchino.
-Va bene. Cominciamo a scavare nella sua vita. Se si era fatto dei nemici che potevano trarre vantaggio dalla sua morte. Chiamiamo eventuali sospettati e interroghiamoli.

ERMANNO
Ermanno Zoni, chiamato anche “l’inglese” per via degli anni che aveva vissuto oltre Manica, era un quarantacinquenne quanto meno particolare.
Abitava in un appartamento al terzo piano di un vetusto palazzo in via Cappucci, nel centro storico di Bibbiena. Nella casa non c’era il riscaldamento, così nelle giornate più fredde usava la cucina economica per avere un poco di calore.
Gli ambienti erano sommersi di libri di vario genere, forbici per la potatura e una quantità di bacchette di legno a “V”, per cercare l’acqua, che stavano ammassate perfino nella vasca da bagno.
Questa, del resto, non veniva molto utilizzata perché per lavarsi ne adoperava una di rame che spostava di volta in volta seguendo il disco solare.
Il balcone risultava assai poco fruibile a causa della quantità di piante che ospitava. Si trattava di essenze in grado di sopportare il sole diretto, i cui raggi, anche se scarsamente presenti tra le anguste pareti di quel borgo, potevano nuocere alle foglie più delicate.
Pelargoni e francesini, camelie che necessitavano di protezione, ma soprattutto aromatiche.
Aveva una vera passione per queste, che affollavano ogni spazio libero dell’abitazione.
Anche per questo motivo molti ambienti godevano di una miscela di fragranze a cui si aggiungevano quelli delle spezie che Ermanno utilizzava a profusione.
C’erano anche diversi alambicchi per la distillazione dell’assenzio, il cui prodotto non aveva possibilità di guastarsi dato che finiva regolarmente nello stomaco del padrone di casa.
L’uomo era un tipo smilzo, alto quasi un metro e novanta, che non si capiva come riuscisse ad andare avanti visto che era pelle e ossa.
Anche chi lo conosceva bene confermava che mangiava pochissimo, quasi esclusivamente verdure. In compenso, però, beveva come una spugna.
Per vivere faceva un po’ di tutto. C’era chi lo chiamava per imbiancare casa o per sistemare la legna. Faceva l’operaio agricolo quando ce n’era bisogno ed era un potatore-innestatore provetto.
Aveva fama di rabdomante, e non erano pochi quelli che gli avevano commissionato la ricerca di falde acquifere nei loro campi.
Solo qualche confidente era a conoscenza delle sue qualità medianiche.
Tra questi c’era sicuramente Giovanni Casini, suo buon amico, che lo aveva visto all’opera in alcune situazioni difficilmente equivocabili.
Ermanno, dal canto suo, non gradiva che la sua virtù fosse divulgata, perciò chiedeva sempre agli eventuali presenti la massima riservatezza.
Quella mattina, appena ebbe terminato di leggere la cronaca locale, Giovanni entrò in uno stato di agitazione.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma d’improvviso i suoi pensieri non riuscivano a trovare fermezza, andando costantemente a soffermarsi sulla morte del sindaco.
Non poteva credere all’ipotesi della morte accidentale, ed era convinto che il fatto sarebbe stato archiviato -cosa che del resto pensavano un po’ tutti. Si sapeva che era morto soffocato, ma non c’erano impronte di alcun genere né altri indizi.
Finito di bere il caffè, stava per tornarsene a casa quando gli venne in mente che avrebbe potuto parlare dell’accaduto con Ermanno. Recatosi al suo appartamento si attaccò al campanello suonando per diversi minuti senza alcun esito. Poi, quando stava per tornare sui propri passi, il portone si aprì. Entrato nel soggiorno fu subito investito da una mistura odorosa. Zafferano, curcuma, zenzero e chissà quante altre fragranze si sovrapposero ad uno spiccato odore di alcol.
L’ambiente sembrava deserto, e anche quando ebbe finito di girare tutte le stanze dell’amico non aveva trovato traccia.
Stava per uscire, poi, con la coda dell’occhio, intercettò una scarpa vicino al letto. La calzatura era rovesciata. Per un istante il suo cervello gli suggerì che l’ospite potesse essere sotto il giaciglio; tuttavia, come spesso accade, la frazione di secondo successiva – quando riemerge il ragionamento – gli indicò che ciò non poteva essere.
Fece tutte queste deduzioni immobile in mezzo al corridoio, a meno di un metro dalla camera. Lentamente, come se temesse di rompere della uova, allungò la gamba destra all’indietro senza voltarsi, quindi spostò la sinistra.
Infine girò lo sguardo e lo vide. Un piede e una parte della tibia uscivano tra il pavimento e il materasso, mentre l’altra gamba non si scorgeva, probabilmente piegata contro il busto.
-Oddio Ermanno! Esclamò Giovanni pensando al peggio.
In un attimo si chinò, gli afferrò la caviglia e tirò con forza. Quando il corpo fu interamente allo scoperto lo girò non senza fatica ma, non appena la sua schiena fu adagiata sul pavimento, un conato di vomito gli inondò il petto.
Istintivamente il soccorritore fece un movimento per cercare di evitare lo schifo, ma non fu abbastanza svelto e una buona parte del nauseabondo fluido gli finì addosso.
In quelle condizioni Giovanni si fece forza in tutti i sensi, e caricatosi il peso morto sulle spalle lo adagiò dentro la vasca da bagno.
Aprì l’acqua fredda e diresse la doccia sulla sua testa. L’uomo sgranò gli occhi ed ebbe un sussulto; tenendo aperta la bocca inspirò aria con forza, evidentemente scosso dal gelo improvviso.
Dopo una decina di minuti di trattamento algido, davanti a una quantità industriale di caffè bollente, cominciò lentamente a riprendere le proprie facoltà cognitive.
-Che sei venuto a fare?
-Intanto a farti passare la sbronza. Rispose Giovanni.
-Stavo così bene…
-Si. Figuriamoci. Finirai per rimetterci la pelle a furia di bere.
-Macchè! Allora? Che mi racconti?
-In effetti vorrei portarti in un posto.
-Dove? E a che fare?
-Tu adesso buttati sopra qualcosa di asciutto, poi ti spiego mentre andiamo. E’ un posto vicino.
-Dammi un minuto, concluse Ermanno mentre allungava la mano verso la bottiglia del Brandy.
-Cristo santo! E’ mai possibile? Urlò l’altro.
Con la testa fuori dal finestrino, lo Zoni finiva di snebbiarsi le meningi grazie anche ad una pioggerella fine e fredda che sembrava intenzionata a trasformarsi in nevischio.
Fermata l’auto all’inizio della ciclabile, i due percorsero il breve tratto fino al luogo del ritrovamento, e solo quando furono sul posto, davanti al nastro dell’autorità giudiziaria, l’accompagnatore cominciò a spiegarsi.
-Qui è dove hanno trovato il cadavere.
-Questo lo so anche io.
-Lasciami spiegare. Ho pensato che forse tu potevi fare qualcosa, avere una qualche intuizione particolare, vedere quello che altri non hanno visto.
-Ah, ora capisco. E perché mai dovrei?
-In molti ti considerano un sensitivo, perciò speravo che venendo in questo posto avresti percepito qualcosa o scoperto indizi sfuggiti agli inquirenti. Del resto, chi può credere che sia morto per cause naturali? Io no di certo.
Ermanno guardò l’amico dritto negli occhi per almeno un minuto senza aprir bocca, quindi cominciò a camminare avanti e indietro, fino a quando non si fermò in prossimità di una macchia di carpini.
Restò con il naso per aria come se stesse annusando, poi raccolse una manciata di foglie secche e se le ficcò in tasca.
-Allora? Chiese il Casini.
-Andiamo via. Rispose l’altro.
-Non hai nulla da dire? Possibile che tu non abbia nemmeno una sensazione?
-Niente di niente. Solo il freddo.
FINE PRIMA PUNTATA

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