di Mauro Meschini – Da più di vent’anni dall’Unione dei Comuni del Casentino partono ripetute richieste di pagamento alle famiglie degli ospiti dei Centri di Socializzazione “Il Pesciolino Rosso” di Pratovecchio e “Tangram” di Rassina, il pagamento dovrebbe andare a coprire il servizio che viene fornito ma, in diversi atti, è stato stabilito che questa richiesta non ha motivo di essere avanzata.
La notizia contenuta in questo articolo sta nelle righe che avete appena letto, relative ad una vicenda che ci porta di nuovo ad occuparci del Centri di Socializzazione del Casentino, in particolare quelli gestiti dall’Unione dei Comuni. Potremmo quindi anche passare oltre, se non fosse per quello che in questo lungo periodo di tempo le famiglie casentinesi coinvolte hanno dovuto affrontare per fare fronte alla massiccia corrispondenza cartacea che periodicamente si sono viste recapitare, sempre e solo con la stessa richiesta.
Per comodità partiamo dall’ultima raccomandata, datata 25 febbraio 2022, dove in primo luogo si fa riferimento alle precedenti comunicazioni già recapitate per poi indicare il totale richiesto che, nel caso che abbiamo preso come esempio, ammonta a circa 11.000 Euro per il periodo che va dal 2004 al 2019.
Seguono poi le indicazioni sulle modalità da utilizzare per il pagamento, ma non sono assolutamente presenti i termini in cui questo deve essere eseguito e quindi, per assurdo, potrebbe essere perennemente posticipato nel tempo.
Quello che invece troviamo scritto è una frase che sinceramente stona, soprattutto perché inviata da un Ente pubblico: “… Si fa presente che nel caso in cui l’Amministratore di Sostegno non provveda a procedere al pagamento delle somme sopra indicate questo Ente coinvolgerà il Giudice Tutelare…”.
Verrebbe da chiedere: e per fare cosa?
Forse in questo caso si sono sbagliati i toni, non vorremmo esagerare ma più che una richiesta sembra una minaccia, neppure troppo velata.
Tra l’altro un Tribunale e più di un Giudice si sono già espressi su questa questione.
Prendiamo una comunicazione del Difensore Civico di Arezzo del 15 febbraio 2005, che è intervenuto su richiesta della famiglia di uno degli ospiti dei Centri che riteneva di non essere tenuta a corrispondere le quote richieste perché ai fini della certificazione “ISEE” l’Amministrazione non può estendere la sua valutazione al reddito familiare, ma deve fare riferimento esclusivamente alla “situazione economica del solo assistito”. Ora effettivamente tutti gli ospiti dei Centri di Pratovecchio e Rassina non hanno redditi tali da superare i limiti previsti e quindi anche nel caso di cui stiamo parlando il Difensore Civico si è trovato in accordo con la famiglia che lo ha interpellato aggiungendo che “In tal senso si esprimono i provvedimenti legislativi di seguito richiamati: legge 5 febbraio 1992, n. 104, art.3, comma 3; Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, art.3, comma 2-ter; Decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130, art 3, comma 2-ter; Legge 8 novembre 2000, n. 328, art. 25. La norma, ribadita in modo univoco e testuale nei primi tre provvedimenti segnalati e richiamata esplicitamente dall’art. 25 della Legge n. 328/2000, non si presta ad interpretazioni. Ad avviso di questo Ufficio, ha carattere prescrittivo e cogente e non semplicemente programmatico…”.
L’allora dirigente responsabile dell’ancora Comunità Montana del Casentino in risposta a quanto affermato dal Difensore Civico, in una comunicazione del 27 aprile 2005, fece tra l’altro presente che “Il servizio non rientra nella fattispecie disciplinata dal Decreto 109/1998, art. 1 e 130/2000, in quanto, l’erogazione della prestazione non è collegata “nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche” per cui non siamo nell’ambito di prestazioni sociali agevolate e non si procede alla richiesta di certificazione ISEE”.
A questa missiva era seguita, il 14 giugno 2005, anche la chiara risposta del Coordinamento Sanità e Assistenza fra i Movimenti di Base (Fondazione promozione sociale è un Ente del Terzo Settore che lavora per la promozione e la difesa dei diritti di coloro che non possono difendersi da sé, i più deboli della società: le persone con disabilità/i malati cronici non autosufficienti…) che puntualizzò come segue: “… a partire dall’entrata in vigore della legge 328/2000 (1 gennaio 2001) per tutte le prestazioni sociali, gli enti pubblici sono tenuti a fare riferimento all’articolo 25 della legge di cui sopra che così si esprime «Ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130». La norma sopra riportata riguarda tutte le prestazioni previste dalla legge 328/2000 e pertanto cade la Sua affermazione secondo cui non rientra nella fattispecie disciplinata dal decreto 109/1998, art 1 e 130/2000.
Inoltre, come è ovvio, la Comunità Montana del Casentino (o qualsiasi altro ente) può fare riferimento al proprio regolamento esclusivamente se le relative disposizioni sono conformi alla legge dello Stato…”.
Per quanto riguarda poi il Tribunale di Arezzo, in un giudizio che vedeva sempre la famiglia di uno degli ospiti controparte rispetto ad uno dei Comuni del Casentino che avanzava il diritto ad ottenere il pagamento dei contributi relativi alle prestazioni sociosanitarie erogate presso un Centro di socializzazione, il 24 settembre 2012 si esprimeva a favore dell’utente del servizio condannando il Comune al pagamento delle spese derivanti dalla causa.
Tra le varie motivazioni portate dal Tribunale a sostegno della sua decisione ritroviamo, tra l’altro, alcuni orientamenti già espressi dal Difensore Civico in relazione all’indicazione di fare riferimento alla situazione economica del solo assistito: “… In proposito, si deve osservare come la disciplina internazionale imponga agli Stati aderenti un dovere di solidarietà nei confronti dei disabili in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona che nel settore specifico rendono doveroso valorizzare il disabile di per sé, come soggetto autonomo a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato anche se ciò può comportare un aggravio economico per gli Enti pubblici…”.
Da quanto si legge nel materiale che abbiamo consultato sembrerebbe che non dovessero sussistere ulteriori dubbi e perplessità sulla conclusione della vicenda, che invece, come abbiamo visto con la raccomandata del febbraio scorso, ancora continua.
I familiari degli ospiti dei Centri di Socializzazione vorrebbero che finalmente fosse scritta la parola fine a queste insistenti pretese, della Comunità Montana prima e dell’Unione dei Comuni poi, e sinceramente è difficile non capire le loro ragioni.,
Per quanto ci riguarda poi saremmo anche curiosi di sapere il perché di queste ripetute richieste dagli attuali vertici della stessa Unione che, nonostante le evidenze, stanno riproponendo una prassi già messa inutilmente in atto dai loro predecessori.
Sappiamo che la nostra resterà una domanda senza risposta, ci auguriamo che il silenzio riservato nei confronti di questo giornale sia esteso anche alle famiglie chiamate loro malgrado più volte in causa. Avremmo così trovato il modo di chiudere definitivamente questa pratica.