di Federica Andretta – Apparteniamo alla storia, siamo il presente delle vecchie generazioni, rappresentiamo lo specchio di ciò che il passato ha proiettato nel futuro. Mentre visitiamo l’EcoMuseo del Contrabbando e della Polvere da Sparo di Chitignano, insieme al custode Lorenzo Bondi, ci accorgiamo di quanto le nostre radici siano strettamente ancorate a tutto ciò che ci circonda. Ricordi lontani che tuttavia risuonano con forza per opera della memoria e del senso di appartenenza ad un territorio. Il Museo del Contrabbando (al tempo un mattatoio comunale) è gestito dall’associazione culturale “I Battitori” che in collaborazione con gli enti locali e il contributo di studiosi storici ha realizzato un’accurata e affascinante panoramica sulla produzione e sul contrabbando della polvere pirica e del tabacco a Chitignano, fruibile al pubblico attraverso testimonianze scritte e audiovisive, esposizione di documenti e reperti, appositi pannelli e materiali informativi. La struttura è aperta al pubblico a luglio e ad agosto il sabato e la domenica dalle ore 16:00 alle ore 19:00 mentre durante l’anno su prenotazione.
Il commercio illecito di polvere pirica e tabacco In linea generale a partire dall’unificazione del Granducato di Toscana con il Regno di Savoia (1860) e dunque dall’Unità d’Italia la produzione e la vendita di polvere da sparo e da mina e di tabacco divennero attività illecite, divieto che non scoraggiò i chitignanini i quali continuarono a svolgere il mestiere ricorrendo ai pilli, piccoli mortai in pietra utilizzati per preparare e contrabbandare la polvere. Disseminati nei boschi lungo i sentieri e il fiume in anfratti, luoghi impervi e nascosti fuori dal controllo delle autorità, ad oggi grazie ad una ricerca condotta dall’Associazione ne sono stati rilevati e mappati circa una decina; tra questi uno dei più importanti è il pillo della Polveriera dell’Inferno – costruito a Chitignano nel 1850 da Dante Nannucci e distrutto nel 1892 (ora ristrutturato) – in cui il pestaggio dei componenti anziché manualmente avveniva tramite un mazzapicchio azionato da una macchina idraulica. I traffici illeciti andavano dalle comunità vicine fino a Firenze, Pisa e Livorno, verso la Romagna, la Maremma toscana e laziale, l’Umbria e Le Marche.
Il tabacco Chitignano, feudo dal XIII secolo, fu sotto il dominio dei Conti Ubertini fino al 1779 godendo di un’autonomia giurisdizionale e di un regime fiscale privilegiato rispetto al resto del Granducato di Toscana. Ciò gli consentì al contempo di tessere un’economia di scambi di contrabbando di tabacco e di sigari. Anche dopo la fine del feudo il Granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena permise ai chitignanini il 14 gennaio 1780 di continuare a seminare la pianta di tabacco per uso personale e solo entro i confini della comunità. Tuttavia dal 1830 scattò il divieto di coltivazione ma il commercio continuò clandestinamente. La materia prima veniva pertanto recuperata in Valtiberina – importante produttrice già dal 1730 – e in Umbria in cambio di polvere da sparo e portata a Chitignano per essere lavorata e trasformata in sigari e trinciato. Uno strumento fondamentale per il processo di lavorazione era la “pea”, attrezzo autocostruito in paese (sia di grandi che di piccole dimensioni per uso domestico) che riduceva le foglie, una volta pressate, in trinciato. La lavorazione del tabacco a Chitignano risulta comunque insolita per la posizione montana del territorio.
La polvere da sparo Quest’antica attività, come quella del tabacco, andò via via sviluppandosi a Chitignano per tutto il 1800 sin dai primi decenni sia in opifici legalmente autorizzati sia attraverso il contrabbando e lo scambio di merci proibite con i territori vicini tramite i vari pilli. Ciò fu forse dovuto alla riduzione della coltivazione del tabacco vietata in tutto il Granducato a partire dal 1830. I due maggiori polverifici – detti “del Governo” – furono quello de I Prati e quello de I Ciofi, costruiti lungo il torrente Rassina, regolarmente autorizzati e operanti secondo le norme di sicurezza e di cui rimangono ad oggi significative testimonianze. Il polverificio I Ciofi (di cui rimangono ad oggi alcuni resti) fu attivo dal 1869 al 1966, dapprima ingrandito e ammodernato e successivamente dotato di macchinari idraulici. Dopo essere stato distrutto nel 1944 dai tedeschi in ritirata venne rimesso in funzione finita la guerra. Il polverificio I Prati, situato lungo il torrente Rassina in località La Buca del Tesoro vicino Rosina e dotato anch’esso di macchinari idraulici con Francesco Chisci operò regolarmente sul territorio dal 1864 producendo sia polvere nera da mina sia polvere da caccia. Tra la fine del 1800 e i primi anni del 1900 dopo vari passaggi di proprietà lo stabilimento passerà nelle mani della ditta Baschieri e Pellagri ad oggi ancora attiva nel settore a Bologna. Nel 1944 lo stabilimento venne fatto esplodere dai tedeschi in ritirata e non fu più ricostruito.
Processo di lavorazione della polvere da sparo La polvere da sparo nera per le armi da fuoco e per minare superfici dure veniva lavorata a mano nei pilli tritando e mescolando i tre ingredienti essenziali – carbone, salnitro (nitrato di potassio, agente ossidante ricavato dall’acido nitrico che fornisce alla miscela l’ossigeno necessario per la reazione chimica) e zolfo. Per produrre la polvere pirica veniva usato il carbone estratto o dal nocciolo, o dal salice, o dal faggio e o dalla vite, in particolare per la polvere da caccia quello ottenuto con vite o salice, mentre per la polvere da mina quello ricavato dal legname di nocciolo o dal faggio. I componenti venivano pestati manualmente con delle mazze di legno di frassino e castagno con palla finale in ottone o bronzo. In ogni pillo a seconda della sua grandezza si producevano dai cinque agli otto kg di polvere. Una volta prodotto, il carbone veniva battuto nel pillo sino a farlo diventare polvere, dopodiché si aggiungevano il salnitro e lo zolfo continuando a pestare gli ingredienti e versando di tanto in tanto dell’acqua per mantenere l’impasto umido ed evitare così eventuali esplosioni ed infine si attendeva che l’impasto si addensasse. Tutto questo procedimento impegnava due persone per circa quattro ore. Una volta pronto, il composto veniva vagliato con dei vagli (piccoli per la polvere da sparo, grandi invece per la polvere da mina). Sotto questi vagli erano posti dei lenzuoli che venivano poi randellati e oscillati per togliere dai chicchi le impurità. Terminato il bandellamento, il prodotto veniva steso al sole per l’asciugatura e l’essiccatura, dopodiché imballato e finalmente spedito. Difficilmente la polvere veniva portata a casa, non solo per il timore di perquisizioni da parte degli organi di sorveglianza ma anche per il rischio di possibili esplosioni, pertanto essa veniva conservata in prossimità dei pilli in opportuni nascondigli prima di essere commercializzata.
Tipologie di polvere pirica Esistono di due tipi di polvere esplodente, una nera chiamata La Chitignano – preparata come elencato sopra – e una bianca detta Balestrite, tipologia di polvere che durante l’accensione non produceva fumi e si differenziava leggermente per alcuni materiali impiegati come il caione di faggio. La lavorazione differiva soltanto per le fasi iniziali, infatti l’ingrediente veniva cotto al forno per una notte intera, poi battuto nel pillo finché non diventava polvere e al tutto venivano aggiunti clorato di potassio, zolfo e coloranti.
Dopo questo viaggio indietro nel tempo vogliamo concludere il nostro servizio sulle note commoventi e un po’ nostalgiche di alcuni versi tratti da una poesia di Emilio Vantini composta poco dopo la seconda guerra mondiale: «La grande libertà a noi ci fu dato che la polvere non era contrabbando e che il tabacco si fosse piantato, questa è la storia che io vi sto replicando, da quando Vittorio Emanuele passò sovrano, la libertà fu tolta a Chitignano, ma ci lasciarono libero il sale e libera la pesca e quando tramontò la nostra vecchia contea, ci rispettò anche l’Austria tedesca, di questo oh uditor fate un’idea, la storia e questa a le menti rinfresca, ora siano trattati alla giudea, all’incontrario è la nostra spedizione, chi fa il contrabbandiere va in prigione.”
(tratto da CASENTINO2000 | n. 272 | Luglio 2016)