di Riccardo Buffetti – Ha destato non poche sorprese l’annuncio che lo scorso dieci gennaio è stato pubblicato sui canali ufficiali della società calcistica Marino Mercato Subbiano. Infatti, con l’inizio del nuovo anno, Alessandro Cini (nella foto) ha deciso di passare il testimone societario al concittadino Paolo Bertini. Cini è stato il simbolo della “rinascita” dell’epoca moderna della formazione basso casentinese, ripresa in mano dopo anni difficili e guidata fino a vincere il campionato di Prima Categoria della scorsa stagione. Questo, almeno, sotto il profilo sportivo. A livello sociale, insieme alla sua azienda “AEC Illuminazione” e al gruppo di soci del Subbiano, ha portato a crescere tanti ragazzi all’interno del Settore Giovanile societario, oltre che a essere protagonista – insieme al neopresidente Paolo Bertini – del ritorno allo stadio degli “ultras”, formati da una grande maggioranza di adolescenti del paese.
Cini, con la sua decisione ha sorpreso tutti… «La scelta del cambio al vertice è stata presa considerando che sono trascorsi oltre dieci anni con me Presidente, credo che ad un certo punto debba esserci anche un ricambio di responsabilità. Non che non mi piaccia fare il Presidente, ma forse tutto gravava troppo su di me. Il Subbiano calcio oggi ha la necessità di cercare e organizzare più a largo spettro quelli che sono e saranno i futuri soci dentro la società. Questa decisione da me presa non toglierà il mio sostengo verso la società, ma vorrei incamminarla su un futuro più folto di soci e sponsor. Il nuovo Presidente, Paolo Bertini, è stato scelto perché è una persona che sa come riuscire a coinvolgere i cittadini del paese, i tifosi e anche altri; ha qualità importanti per questa società. È anche un premio per quello che in passato e attualmente sta facendo nel Subbiano e nelle Associazioni extracalcistiche del paese, essendo una persona attiva in ogni settore sociale».
Possiamo già fare un bilancio degli anni trascorsi come Presidente del Marino Mercato Subbiano? «Sono dentro alla società da tanti anni, essendo stato il successore della vecchia e storica gestione del club. Poi, quando c’è stato un periodo negativo in cui molti hanno abbandonato la nave, ho preso in mano la società, provando a non farla perire. A quei tempi c’era una situazione pesante sotto tutti i punti di vista, l’aspetto economico pesava in modo importante. Quando decisi di entrare per salvaguardarla trovai un sacco di problemi: i primi anni li abbiamo passati, insieme ai collaboratori, a cercare di mettere a posto il bilancio. Ricordo che nella stagione inziale la squadra militava in Eccellenza e ci salvammo, ma nel secondo non riuscimmo a mantenere la categoria; il rischio era stato ben calcolato. Negli anni successivi abbiamo provato fra alti e bassi a fare campionati per mantenere almeno la Promozione. Poi è arrivato l’anno della retrocessione, disastroso per certi eventi accorsi, e ci siamo trovati in Prima Categoria. Sono passati gli anni del Covid che hanno annullato alcuni degli sforzi che avevamo messo in campo per provare a risalire subito; fortunatamente, la prima stagione di ripartenza è coincisa con la nostra vittoria del campionato. Prima di proseguire devo fare un inciso: dopo la retrocessione è stata riorganizzata tutta la società, partendo dal direttore sportivo con l’arrivo di Lucherini, e abbiamo tagliato netto sul modo di gestire un po’ tutto, cercando di programmare il futuro con persone competenti e preparate. Questo modo di lavorare ci ha portato ad essere fra le migliori società anche oltre questa categoria, portando di fatto i risultati: nella stagione sportiva 2022-23 il Subbiano ha vinto il campionato ed è tornato in Promozione. La soddisfazione, e la dimostrazione del lavoro svolto, viene dalle squadre che ci hanno affrontato: chi ha giocato nel nostro campo si è complimentato per l’ambiente che abbiamo creato».
Quali sono stati gli aspetti più difficili della sua Presidenza? «Negli anni ci sono state defaiance importanti, una di queste era un obbiettivo che stavo inseguendo da molti anni: coinvolgere le varie amministrazioni comunali a investire in un centro sportivo; argomento che, purtroppo, nella mia gestione non è mai stato considerato nonostante ripetuti tentativi. Credo che lo sport senza un punto di riferimento nel territorio non si possa fare bene, per una questione logistica e perché non si può neanche puntare a fare delle azioni sociali coinvolgenti. Sono fermamente convinto che lo sport sia uno dei pochi motori che possono educare giovani, portando loro valori per non fargli scegliere strade sbagliate. Grazie a Paolo Bertini siamo riusciti in qualche modo, comunque, a intervenire sul sociale, riportando allo stadio tanti ragazzi. È basilare: senza coinvolgimento o presenza allo stadio perdi le motivazioni. Sono sempre stato nel calcio perché credo nell’aspetto sociale dell’utilità dello sport».
Dove pensa siamo i problemi più grandi? «Non trovo giusto che un paese come Subbiano debba essere così indietro rispetto a tanti altri Comuni dello stesso Casentino. Oggi ci troviamo in una situazione delicata, benché lo stadio sia uno dei migliori della categoria e della zona (per merito societario), la politica è indietro di 20 anni sugli investimenti che dovevano essere fatti. Il problema è che non solo non sono stati fatti, ma non c’è nemmeno una parvenza di idea di come risolvere questa mancanza. Dispiace, perché ho sempre cercato di sensibilizzare le amministrazioni che si sono avvicendate in questo senso, senza però mai esser preso seriamente. Forse lo sbaglio mio è stato cercare di percorrere da solo questa strada».
Quindi anche le strutture sono un problema? «Il Marino Mercato Subbiano conta oggi circa 200 ragazzi. Sembra un gran numero, ma in realtà potrebbero essere di più: dobbiamo mettere un limite alla richiesta perché già facciamo degli sforzi economici e logistici impossibili per far giocare le nostre squadre. Senza strutture è difficile farlo oggi. Non c’è neanche uno spazio al di fuori della società per permettere ai giovani di giocare a calcio. È una grossa mancanza che scaturisce a livello societario dei costi insostenibili, dato che siamo costretti ad affittare due campi sportivi nei paesi limitrofi per allenarsi e far giocare tutti. Il bilancio non può tornare, questo è ovvio. Per sostenere la società oggi ci vuole un centro sportivo che si autosostiene. Un paio di anni fa un’area era stata messa a disposizione dei cittadini, noi ci siamo fatti promotori per un progetto che prevedeva un centro sportivo con una caratteristica sociale importante, che avrebbe permesso a tanti giovani ragazzini disabili di essere inseriti nel contesto sportivo. Secondo noi sarebbe stata una medicina ineguagliabile il coinvolgimento dei bambini disabili inseriti nel contesto di ragazzi normodotati. Era un progetto molto bello. Parlo al passato perché, con rammarico, non è stato nemmeno preso in considerazione. Fatto che considero ancor più grave: oggi ci troviamo a dover rinunciare anche all’unico campo di allenamento data la decisone di ampliare un altro sport –che può essere condivisibile – occupando quella parte, senza andare a considerare minimamente i problemi che sarebbero venuti fuori per il calcio. Le mie dimissioni arrivano anche per questo: ad un certo punto ti domandi se il problema sei tu».
Sicuramente, dallo scenario che lei pone, il futuro dello sport a Subbiano potrebbe essere complesso. «Ultimamente mi sono fatto carico di ritentare un’ulteriore strada a mie spese: fare un campetto che avesse gli stessi principi detti poco sopra, avendo trovato anche lo spazio. Purtroppo, anche lì, è già trascorso oltre un anno e mezzo dalla richiesta senza riuscire ad avere permessi. Un’area che sarebbe completamente riqualificata, e forse anche l’unica nel territorio che ha i requisiti per ospitare le nostre idee. La gente deve sapere che se a Subbiano non viene fatto qualcosa, non può esserci futuro per lo sport perché è impossibile accollarsi tutti questi costi; non ritengo, tra l’altro, neanche giusto che i ragazzi del paese debbano spostarsi fuori dal territorio per svolgere le loro discipline sportive. Ad oggi, per poter fare attività visti i numeri del calcio a Subbiano, servirebbero lo stadio e altri due campi di allenamento. Con uno sguardo al futuro, credo si debba pensare a come risolvere un problema che di anno in anno diventa sempre più incombente: manca la pianificazione per le aree sportive; non c’è niente di programmato in ottica lungimirante. Nel centro di questo concetto serve assumersi delle responsabilità e domandarsi il perché negli ultimi 20 anni nessun amministratore abbia capito o immaginato, a livello sportivo, cosa sarebbe stato necessario per Subbiano oggi, e cosa lo sarà per il futuro».