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mercoledì, 24 Aprile 2024

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Quando «bufava» in Casentino

di Lara Vannini – Anche senza eccezionalità gli inverni del secolo scorso erano molto rigidi e difficoltosi a causa delle condizioni di vita e dei mezzi a disposizione. Adesso tutto è cambiato.
Non nevica più a Natale, o forse nevica ma non “attacca”.
Nevica meno? Le temperature sono sopra la media? E se fosse il riscaldamento globale?
Sicuramente negli ultimi anni ci siamo accorti di come il meteo è diventato fortemente altalenante in tutte le stagioni: piogge abbondanti da innescare alluvioni, alternate a lunghi periodi di siccità, temperature sempre più elevate anche in inverno, ghiacciai che continuano a ridursi e forti nevicate in periodi inusuali.
Certo è che quegli scenari di montagna alla “Emma Perodi” li viviamo sempre meno e li troviamo sempre più scritti sui libri o presenti a quote elevate ma la magia della neve, con il suo candore e quello scenario ovattato e sognante è qualcosa che di sicuro non passerà mai di moda.
Ci sono stati momenti del passato in cui l’ondata di freddo fu talmente potente e intensa da sperare in un miracolo perché arrivasse la fine della stagione invernale.

Le grandi nevicate
In Casentino la neve si ripeteva religiosamente ogni anno e poteva tranquillamente fare capolino verso la fine di ottobre anche se dato il clima mite era molto difficile attaccasse. Le abbondanti nevicate arrivavano verso dicembre e si protraevano fino a marzo. La neve era una gioia per i bambini e una grande preoccupazione per gli adulti. Gli inverni erano spesso rigidi e quando “bufava”, ovvero nevicava a vento, era meglio trovarsi in posti caldi e riparati. La neve sollevata dal vento poteva creare dei mulinelli così potenti da togliere il respiro a chi si trovava nei pressi. Spesso i mulinelli si formavano in aree aperte come piazze o strade non riparate e avevano come unico pregio quello di spazzare via la neve. Le stradine di paese erano le più protette ma anche i luoghi dove si ammassava più neve. A volte la coltre bianca era talmente alta da separare le porte delle abitazioni adiacenti, oppure da dover essere scavata per creare dei tunnel di passaggio. Chiaramente ogni famiglia doveva spalare la neve davanti alla propria porta di casa e in tutti i sentieri necessari alla quotidianità. Dagli anni ‘60 in poi nelle strade principali è iniziato a passare lo spazzaneve ma prima molte frazioni o poderi rimanevano isolati per giorni e giorni in attesa che la neve si sciogliesse. È capitato più di una volta che le forze dell’ordine abbiano portato viveri ai paesi isolati.

Il Dott. Checcacci e la nascita a Benvenuto
Nelle frazioni di Chiusi della Verna ancora oggi c’è qualcuno che si ricorda della grande nevicata del 1939 quando l’allora Dott. Checcacci di Chiusi della Verna, dovette andare a piedi e sotto la neve al paese di Benvenuto, una frazione oggi fantasma, dove una donna stava per dare alla luce il proprio bambino. Recarsi di notte in paesi adiacenti con il freddo, la scarsità di illuminazione, quando il vento ghiacciato trasportava folate di neve mista ad acqua e sferzava il volto irrigidendo gli arti, non era uno scherzo e anche se la vita era quella non ci si abituava mai ai geloni su mani e piedi. Nonostante questo un medico se chiamato doveva partire e il Dott. Checcacci era una garanzia.
Raccontano i nostri nonni che mentre il medico si trovava sulla strada per giungere a Benvenuto, nelle foreste tra il paese di Dama e Sarna, venne sopraggiunto da una tormenta di neve che gli bloccò letteralmente il cammino. Il Dott. Checcacci solo nel bosco e impossibilitato a proseguire, capì che avrebbe dovuto farsi coraggio e per non morire assiderato dal freddo, mantenersi in movimento nel punto più riparato del bosco. Passò così ore interminabili e la sorte lo premiò. Quando la tormenta iniziò a diminuire, riuscì a proseguire il cammino e giungere a destinazione.
Questo racconto mostra molto bene come la neve fosse un grosso scoglio nel praticare azioni semplici della quotidianità. Il freddo, la mancanza di trasporti, e ripetute nevicate potevano bloccare le persone in casa per giorni e giorni, i bambini smettevano di andare a scuola e spesso se la maestra non riusciva a spostarsi era festa per tutti.

I giochi e le attività invernali
Prima dell’avvento dell’acqua corrente nelle case, generalmente il capofamiglia che poteva fare il contadino o il manovale e quindi non lavorare a causa della neve, era colui che doveva andare alla fonte a prendere l’acqua con la mezzina di rame.

Gesti banali e scontati per chi oggi ha l’acqua corrente in casa, ma all’epoca erano delle vere e proprie ritualità. Generalmente era il capofamiglia ad andare a prendere l’acqua, un po’ perché nei mesi più rigidi il contadino si occupava dei lavori di casa e un po’ perché la strada era spesso ghiacciata e andare alla fonte per stradine irte e scivolose era considerato un lavoro gravoso. Spesso per non cadere a terra, era di uso comune buttare la cenere per le strade e quando la neve si scioglieva restava la desolazione dell’acqua sudicia ma era sicuramente il male minore! Spesso gli uomini si mettevano degli scarponi e sopra ci legavano delle fasce militari per non bagnarsi i piedi con la neve.
Se la prima nevicata avveniva la notte, la mattina affacciarsi alla finestra era pura poesia. L’atmosfera ovattata creava un paesaggio surreale in cui la soffice coltre di neve era stata toccata solo dallo zampettio di qualche uccellino o altro animale. I vetri delle abitazioni non essendo a tenuta termica ghiacciavano e si formavano dei cristalli di varie geometrie che da lontano sembravano ricami all’uncinetto.

I bambini capivano che esisteva un’altissima probabilità di non andare a scuola e andavano rapidi a vestirsi davanti al focolare per uscire prima possibile. Se era una bella giornata di sole i ragazzi partivano con lo slittino o si divertivano a fare a pallate di neve. Chiaramente non esistevano i piumini impermeabili e il rischio di bagnarsi era molto alto. Le bambine continuavano ad indossare la gonna con i calzettoni di lana. Non esistevano giacche o cappotti ma grossi maglioni fatti a mano, indossabili a più strati. La lana, filata con il fuso, era molto irritante sulla pelle. Per questo soprattutto le camiciole da intimo venivano preferite vecchie e logore perché “pungevano” meno! Ai bambini veniva appuntata una piccola medaglia con l’effige di un Santo. Questo era il vero concetto di sostenibilità: maglioni fatti a mano, riutilizzabili e prodotti con lana a km zero!

Dai tetti delle case molto spesso pendevano bellissimi cristalli di ghiaccio che si potevano staccare e leccare tipo ghiacciolo. Altre volte i più piccoli facevano il “gelato” ovvero riempivano un bicchiere con della neve pulita, vino e zucchero, poi mangiavano il tutto tipo granita. Sicuramente la neve già da sola era una gran bella novità e non erano necessarie cose complicate per divertirsi. Quando il sole iniziava a calare e il freddo a farsi sentire tutti rientravano a casa al calore del camino o della stufa economica. Una bella giornata era trascorsa e con il favore del cielo forse anche il giorno successivo sarebbe stato di festa!

Le foto sono tratte dal libro “Casentino Bianco” di Franca Loretta Norcini, Edizioni Fruska, 2004

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