di Mauro Meschini – La proposta che abbiamo presentato il mese scorso di dedicare a “I nonni del 2020” la futura RSA che si pensa di riaprire a Stia, ha iniziato in queste settimane a ricevere i primi apprezzamenti. Ricordiamo che questa idea era nata per fissare anche simbolicamente nella struttura di Stia quanto accaduto poco più di un anno fa, quando la diffusione dei contagi da Covid-19 ha causato tanti morti tra gli ospiti e, forse, aperto anche la strada verso quella triste e sconvolgente chiusura che ha portato con sé ulteriori sofferenze, disagi, preoccupazioni e problemi.
Non un semplice ricordo quindi, ma un preciso impegno a non dimenticare per non ripetere errori e ricreare situazioni che hanno poi oggettivamente stravolto la vita delle persone che, in ruoli diversi, avevano nella RSA di Stia il loro luogo di vita o di lavoro.
Avanzando questa proposta avevamo e abbiamo questo obiettivo, ma ci siamo resi conto che oltre a ricordare dobbiamo ancora prendere atto che, in alcuni casi, quello che è accaduto ha continuato e continua a produrre conseguenze negative.
Pensiamo agli anziani ospiti che hanno dovuto lasciare il luogo che avevano eletto a loro casa per ricominciare una nuova esperienza in un altro ambiente, probabilmente bello e accogliente, ma vuoto di quei legami, delle consuetudini e degli affetti che sono stati costretti a lasciare. Siamo consapevoli che non possiamo neppure immaginare quanto questo spostamento forzato abbia pesato su queste persone, già fragili e affaticate dagli anni, come pure sulle loro famiglie che hanno comunque dovuto vivere insieme a loro questo momento di enorme difficoltà.
Pensiamo poi alle lavoratrici che con la chiusura della RSA di Stia hanno perso la loro occupazione. Alcune di loro adesso hanno trovato altre collocazioni, ma lo hanno fatto autonomamente senza nessun sostegno o indicazione. In ogni caso per loro come per le altre colleghe non è stato e non è certo un percorso facile.
Ancora oggi ci sono molte questioni che rimangono da definire. All’inizio di settembre le lavoratrici hanno ricevuto una raccomandata che comunicava che con decorrenza dal 6 agosto era sospesa la maturazione della liquidazione.
Poi ad ottobre altra raccomandata che comunicava l’interruzione del rapporto di lavoro per messa in liquidazione dell’attività. La cooperativa ha infatti presentato istanza per essere ammessa alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, una soluzione che complica e allunga i tempi per il riconoscimento di quanto di diritto da parte delle lavoratrici.
Ad oggi devono ancora ricever il pagamento dei mesi di luglio e di agosto, fino al giorno 6, oltre al riconoscimento di quanto spetta per ferie non godute, permessi e Tfr.
Tornando poi a chi è riuscito a trovare già un altro lavoro da sottolineare che, essendo state soluzioni trovate autonomamente e quindi non inserite in un progetto di ricollocazione “protetto”, molte garanzie e conquiste ottenute negli anni sono andate perdute, in pratica hanno dovuto ricominciare da zero vedendo cancellati anni di anzianità e una parte non indifferente di stipendio. Oltre a questo per alcune di loro si è aggiunto anche il peso di dover compiere lunghi spostamenti per raggiungere i nuovi posti di lavoro con ulteriore perdita di tempo e denaro. Insomma, la situazione per molte e molti non è stata e non è ancora risolta e queste nuove informazioni ci sembra che permettano davvero di accendere necessariamente ancora una luce su una vicenda su cui, come avevamo detto il mese scorso, si è fatto presto a far calare il silenzio “con il paese anche questa volta, purtroppo, disposto ad accettare senza battere ciglio quanto accaduto, come se fosse stato comunque frutto di un destino avverso a cui non era possibile opporsi…”.
Ci sembra quindi ancora più attuale quello che abbiamo proposto, uno stimolo a ricordare a “fare memoria”, ma non per compiere a scadenze definite retorici gesti di apparente partecipazione, ma per dedicare in modo concreto tempo ed energie per capire davvero cosa è accaduto.
Riproponiamo con insistenza i dubbi e le perplessità che abbiamo avanzato il mese scorso.
“Sembra infatti quasi impossibile che dopo aver superato indenne la prima fase dell’epidemia e dopo quanto accaduto in altre strutture per anziani, sia stato possibile permettere al virus di entrare così prepotentemente nella RSA. D’altra parte anche a giugno siamo arrivati alla chiusura per problemi strutturali conosciuti da anni e senza che concretamente la proprietà, il gestore di allora, ma anche la stessa Amministrazione comunale, che comunque doveva essere interessata ad una situazione che vedeva coinvolti tanti anziani, tante famiglie e tante lavoratrici residenti nel Comune, facessero realmente passi concreti e scelte adeguate a trovare soluzioni”.
Cosa sarebbe accaduto, per esempio, agli anziani ospiti e a quelle lavoratrici che ancora devono vedere riconosciuti i propri diritti e quanto è loro dovuto, se ci fosse stato maggiore interesse, attenzione, impegno da parte di chi non si è speso abbastanza per trovare soluzioni che tutelassero in primo luogo le persone?
Si sarebbe comunque giunti alla chiusura?
Può darsi, ma utilizzando il tanto tempo a disposizione si sarebbero potute trovare soluzioni adeguate per gli anziani e modalità opportune che permettessero un passaggio tutelato ad altre occupazioni per le lavoratrici.
No, non ci è assolutamente piaciuto quello che è accaduto alla RSA di Stia, troppo dolore è stato provocato e non basta certo l’annuncio della riapertura per dimenticare questa triste storia, anche perché è bene sottolineare che gli annunci di oggi troveranno una risposta non certo immediata e che “Rimane per adesso il silenzio e la desolazione di quell’edificio, ormai da tempo vuoto; rimane la malinconia e il ricordo personale di molti per chi non è più con noi; rimangono anche le quotidiane storie di tante famiglie e di tanti anziani che in questi mesi, e ancora per quelli futuri, in caso di necessità non hanno potuto e non potranno subito trovare, a pochi passi da casa, conforto, sicurezza e un luogo sicuro dove ricevere le attenzioni e cure adeguate”.
Ci sono davvero molti motivi per ricordare e per chiedere conto di quanto non è stato fatto!