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domenica, 3 Novembre 2024

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Io… vittima a Vallucciole

“Sono una delle 108 vittime della strage di Vallucciole. Ero poco più che ragazzina, avrei compiuto 20 anni il 3 maggio, quando, la mattina del 13 aprile del 1944, fui barbaramente uccisa e trucidata insieme a tutta la mia famiglia. Io e i miei genitori vivevamo nella piccola Vallucciole, un paesino vicino a Stia, in Casentino. Avevo smesso di studiare a causa della guerra e passavo le mie giornate con la mamma, in casa, ad attendere il ritorno del babbo dal lavoro nei campi. La mattina della strage mi ero alzata, come ogni giorno, alle sei, e avevo iniziato da subito a rammendare abiti e calzini per un vecchio che viveva vicino a casa nostra e che, essendo rimasto solo, aveva bisogno di una mano per svolgere i lavori “da donna”. Ero ignara di tutto quello che poco dopo sarebbe successo, ero solo intenta a lavorare ed a pensare al mio futuro, come fa ogni ragazza della mia età. Pensavo al domani, a quando sarebbe finita la guerra, pensavo che, finalmente, avrei potuto realizzare i miei sogni di giovane donna, invece tutto svanì in quella mattina di primavera. Pochi giorni prima era arrivata una notizia: nella zona di Molin di Bucchio, in seguito a scontri con i partigiani, erano rimasti uccisi due ufficiali delle SS. Dai documenti, trovati addosso a uno dei due ufficiali, risultava che un grosso rastrellamento era previsto nelle zone dell’alto Casentino. I partigiani ci consigliarono di abbandonare immediatamente le nostre case, ma convinti della nostra innocenza, decidemmo di restare in paese.

Quel 13 aprile, sentimmo avvicinarsi, dalla strada principale, una fila di automobili e motociclette tedesche. Le riconobbi perché quel suono era inconfondibile, lo avevo udito già altre volte e, ogni volta, cresceva in me la paura che stesse per succedere qualcosa di terribile. I tedeschi, insieme agli italiani repubblichini, scesero dalle loro auto e, iniziando a urlare, raccolsero tutti per le strade del paese. In quel momento io ero in casa e, senza rendermi conto di ciò che stava accadendo, fui trascinata fuori insieme alla mamma e al babbo. Presa per un braccio e, con un violento strattone, lasciai per sempre la mia casa. Vidi il nostro anziano vicino riverso a terra, in un lago di sangue, già fucilato dai nostri aguzzini. Intorno a me era l’inferno, le case erano state incendiate, parte dei miei compaesani uccisi ed il fuoco divampava negli orti e nei giardini. Chiusi gli occhi e pensai che quella sarebbe stata la mia fine. Sarei morta li, in quel piccolo paese dimenticato da Dio. E nessuno si sarebbe mai ricordato di me e della mia famiglia, così crudelmente uccisa e strappata alla vita, senza motivo. Udì un colpo di fucile e poi più niente. Ero morta! Con me se ne andarono donne, uomini e bambini. Quel giorno, in 108 lasciammo il nostro paese di montagna per non farvi più ritorno”.

Questa è una storia che nessuno dovrebbe mai dimenticare, neppure io che sono nata molti anni dopo quegli avvenimenti. Ho provato, qui, a tornare indietro nel tempo, ed a ricordare quella tragica mattina di primavera, immedesimandomi in una giovane di allora. Solo così ho potuto capire l’importanza del sacrificio di tanti, civili e partigiani, e confrontare la mia vita con quella di tutti i giovani che hanno dovuto, e devono, convivere con lo spettro della guerra. Sono trascorsi tanti anni da quegli eventi, ma, ancora oggi, conflitti, stragi, carneficine, si registrano ogni giorno, in ogni parte del mondo.

Ecco perché i morti delle tante Vallucciole e Sant’Anna di Stazzema, i bambini dei campi di sterminio ed i morti di tutte le stragi nazi-fasciste non dovrebbero mai essere dimenticati. Il loro ricordo deve vivere per sempre nella mente e nei cuori di tutti. La vicinanza del 25 aprile impone a tutti di ricordare e onorare i morti della guerra e di festeggiare un giorno tanto importante come la Liberazione. Sarebbe bello, però, se la memoria non si esaurisse in un giorno particolare, ma fosse, ogni attimo, viva e nitida nella mente di ognuno di noi. E se il sacrificio di tanti servisse da monito, in questo mondo in cui la guerra sembra non essere mai finita.

Melissa Frulloni

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