di Denise Pantuso – Il progresso della medicina permette oggi di prolungare molto la vita delle persone, anche in situazioni che possono non essere accettate da chi le sta vivendo. Questo ha da tempo stimolato un acceso dibattito sui temi del testamento biologico e del fine vita. Di questo abbiamo parla con l’avvocato Gianni Baldini, che da tempo si occupa di queste delicate tematiche.
Anche se in Casentino è conosciuto può in sintesi dire di cosa si occupa?
«Sono Professore di Diritto privato e docente di Biodiritto in varie Università, materia che insegno sia nelle facoltà giuridiche che, a partire da quest’anno, anche a medicina. Delle questioni del biodiritto mi occupo anche come Avvocato avendo curato i ricorsi ai Tribunali e alla Corte Costituzionale contro la Legge 40/04 sulla procreazione assistita. Il Biodiritto è una disciplina giuridica nuova introdotta in Italia anche grazie al contributo del mio maestro recentemente scomparso, il Prof Rodotà. La domanda che si pone è: “Tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche eticamente accettabile, socialmente ammissibile e giuridicamente lecito?”. Il Biodiritto si occupa di trovare una risposta a questa domanda , disciplinando fenomeni complessi posti dall’impatto delle biotecnologie e dalle loro applicazioni in ambito medico».
Come si è arrivati al testamento biologico?
«L’evoluzione tecnologica ha determinato il superamento dei limiti di natura e ha trasformato lo stesso concetto di morte. Grazie ad ausili tecnologici biomedici (nutrizione, idratazione e respirazione artificiale) che sostituiscono funzionalità corporee fondamentali che il soggetto ha perduto (bere, mangiare, respirare), si interrompe il processo naturale del morire e può determinarsi una situazione di sospensione tra la vita e la morte a tempo indeterminato. Nel gennaio 1992 a soli 21 anni una ragazza di nome Eluana Englaro ebbe un incidente che provocò lesioni fatali al cervello e alla colonna vertebrale senza alcuna speranza di guarigione. Grazie agli ausili tecnologici applicati dai medici, che i Giudici hanno poi accertato essere stati disposti contro la sua volontà, Eluana è rimasta intrappolata nel proprio corpo ‘di vegetale’ per ben 17 anni fino al febbraio 2009 quando la magistratura ha disposto ‘il distacco della spina’. Tutto questo può oggi ripetersi non solo all’esito di un incidente ma anche di qualsiasi malattia che comporti la perdita della capacità di intendere e volere del paziente non più in grado di esprimere il proprio consenso o rifiuto ai trattamenti sanitari cui essere sottoposto. Qui sta la ragione delle DAT (dichiarazione anticipate di trattamento) o testamento biologico: consentire al diretto interessato di scegliere, ‘ora per allora’, se e a quali trattamenti sanitari essere sottoposto nel caso non fosse più capace di intendere e volere in quel momento futuro e incerto. Assieme ad altri studiosi della materia, ho partecipato , in qualità di componente del tavolo tecnico di esperti, ai lavori parlamentari della scorsa legislatura, per la predisposizione del testo di legge approvato nel dicembre scorso».
Prima di giungere al testamento biologico si è parlato a lungo di eutanasia e suicidio assistito. Può spiegarci cosa sono e quale è la legislazione italiana in materia?
«Sono situazioni sostanzialmente diverse come ricordate in un recente discorso anche da Papa Francesco. Il testamento biologico è lo strumento con il quale la persona esercita il proprio diritto all’autodeterminazione terapeutica garantito dall’art 32 della Costituzione “Nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario contro la sua volontà”. Al medico viene indicato quali sono i trattamenti sanitari che si vuole o non si vuole vengano applicati in caso di incapacità ad esprimere la propria volontà in quel momento e di essere comunque accompagnati alla morte in modo dignitoso attraverso le cosiddette cure palliative. L’eutanasia si traduce invece nella richiesta che il paziente con prognosi infausta fa al medico di somministrare sostanze per indurre/accelerare il processo della morte. Nel suicidio assistito, ed è il caso del DJ Fabo, è il malato terminale stesso che pone fine alla propria vita utilizzando sostanze richieste e fornite dal medico.
Nel nostro ordinamento tali comportamenti sono considerati reati».
Quali sono le procedure da seguire per informare sulle disposizioni di trattamento?
«Le Dat devono farsi per iscritto dal Notaio o consegnando il documento all’ufficio di stato civile del Comune. La Regione toscana ha insediato un gruppo di lavoro di cui anche io faccio parte, per consentire la raccolta della DAT presso la ASL anche attraverso il supporto del medico di famiglia con il loro inserimento nel fascicolo sanitario elettronico personale».
Che cosa succede a coloro che non hanno dichiarazione anticipata di trattamento? Quale legge viene applicata?
«Coloro che non faranno le DAT lasceranno al medico e agli stretti congiunti la responsabilità di scegliere, in caso di sopravvenuta incapacità (a qualsiasi causa dovuta: incidente, progredire della malattia, demenza senile etc) sulle modalità e i trattamenti sanitari cui essere sottoposti alla fine della propria vita con tutte le implicazioni del caso».
(tratto da CASENTINO2000 | n. 293 | Aprile 2018)