di Fiorenzo Rossetti – Ho sempre portato ai miei figli qualche libro o gadget, legato all’orso, di ritorno dalla stupenda area trentina del Parco Naturale Adamello Brenta. Questo Parco l’ho frequentato facendoci tante escursioni e ho avuto il piacere di conoscere diversi dei suoi dipendenti; alcuni diventati poi amici.
Circa tredici anni fa, infatti, condussi come funzionario del Servizio Ambiente della Provincia di Forlì-Cesena, un progetto di interscambio tra le aree protette del territorio romagnolo (in cui era presente anche il Parco nazionale delle Foreste Casentinesi) e il Parco Adamello Brenta. I temi erano legati alle attività di studio, ricerca e monitoraggio del lupo (parte romagnola) e dell’orso (parte trentina), affrontando gli argomenti anche ponendo attenzione al valore della corretta comunicazione ed educazione.
A quei tempi i “nostri” lupi non erano ancora giunti nelle aree trentine, ma sospettandone l’imminente arrivo, il personale del Parco trentino ebbe modo di apprezzare ciò che allora veniva fatto nelle aree protette romagnole. Tema centrale offerto dai colleghi trentini fu il progetto di reintroduzione, denominato Life Ursus, che da circa dieci anni era stato avviato per salvare il piccolo nucleo di orsi sopravvissuti da un’ormai inevitabile estinzione. Attraverso un finanziamento europeo, il Parco Adamello Brenta con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, aveva dato avvio ad un progetto, finalizzato alla ricostituzione di un nucleo vitale di orsi nelle Alpi Centrali tramite il rilascio di alcuni individui (dieci) provenienti dalla Slovenia.
L’approccio rigorosamente scientifico e la grande competenza del personale di quel Parco, ha consentito il pieno successo biologico di questa operazione: ad oggi nell’area trentina, e nelle aree limitrofe, si contano circa un centinaio di orsi. Fu molto chiaro da subito che il successo del progetto passava da una attenta e capillare attività di comunicazione: informazione rivolta ai tanti turisti e abitanti della zona sulle norme di comportamento da seguire (cercando di prevenire incidenti), formazione ed educazione ambientale incentrata sull’enorme valore di questa specie e sugli sforzi conservazionistici per tutelare la specie e il suo habitat.
Negli anni vi è stato qualche contatto tra uomo e orso che ha provocato incidenti, ma poi, lo scorso mese di aprile, è avvenuta una tragedia che è costata la vita ad un ragazzo di 26 anni, ucciso da un plantigrado mentre stava correndo tra i boschi sul monte Peller in Val di Sole, appunto in Trentino. Dalle indagini genetiche successive si scopre che la responsabile è un’orsa chiamata JJ4 (oggi pare scagionata dai successivi accertamenti, ndr), già imputabile di attacchi all’uomo e sfuggita alla cattura. Ne viene subito ordinata la cattura e l’uccisione. Secondo i dati disponibili era da almeno 150 anni che in Italia non si verificava un’aggressione mortale di questo tipo. L’opinione pubblica si è da subito spaccata davanti a questo dramma, facendo risalire le più recondite paure ancestrali, la sete di vendetta contro una natura “ostile”, ma anche i più brutali sentimenti animalisti. Tutti contro tutti. Non doveva andare così e la morte di un ragazzo rattrista molto tutti. Una immane tragedia.
L’accaduto apre (anzi spalanca) il tema della coabitazione tra la fauna potenzialmente pericolosa e l’uomo. I moti popolari in cui si inneggia ad un mondo controllato, sterile da creature “invadenti e pericolose” sono senza dubbio sbagliati e fuori da qualsiasi dettame ecologico. Si sente parlare di soprannumero di esemplari d’orso, di impossibilità a vivere in sicurezza (concetto tutto da verificare) il proprio territorio e di implicazioni negative sugli interessi economici legati al turismo. Da una parte si vuole far leva sull’immagine, mostrando la bellezza e l’unicità della natura di un territorio, ma appare chiaro che, in certuni, si è persa l’identità territoriale, il legame profondo, la comprensione e il rispetto verso la stessa natura che da sempre sostiene l’uomo.
Tutto mi stride nella mente quando i ricordi mi conducono alla visita di qualche anno fa ai grandi parchi canadesi. Rammento quanta informazione preventiva i ranger e il personale dei parchi facevano per consentirci di praticare trekking e campeggiare con orsi neri e grizzly che scorrazzavano intorno alle tende. Questo momento può essere importante per le aree interessate dal Parco delle Foreste Casentinesi, per ribadire l’importanza di continuare attività di comunicazione sulla presenza del lupo e della sua relazione con l’uomo e le sue attività. Sempre più spesso si registrano avvistamenti nei paesi, sulle vie trafficate ed è un dato di fatto che questo carnivoro abbia colonizzato anche i territori di pianura. Occorre scoraggiare sentimenti poco allineati ai dettami scientifici in materia, ribadire le norme comportamentali e per evitare di avvicinare al nostro mondo questo animale (in primis scongiurando la messa a disposizione di cibo) generando abitudini sbagliate che possono poi originare incidenti.
I territori interessati dai parchi possono essere vissuti come un laboratorio per innescare buone pratiche di coabitazione col mondo naturale. La non corretta politica amministrativa a favore dell’ambiente naturale e la diminuzione dei fondi ai Parchi, riduce la capacità di supportare la gestione del territorio, dei programmi, l’attività comunicativa e di facilitazione sociale. Tutte cose che si sono verificate in Trentino e che devono far riflettere davvero tutti.
(Rubrica L’ALTRO PARCO Sguardi oltre il crinale di Fiorenzo Rossetti)