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mercoledì, 4 Dicembre 2024

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Pescare «alla casentinese»

È motivo d’orgoglio per i pescatori casentinesi leggere in tutti i libri che trattano di pesca (non solo quelli italiani) di una tecnica di pesca in torrente ideata nel passato in Casentino: la tecnica casentinese o, più semplicemente, “la casentinese”.

Ma cosa avranno mai inventato i pescatori del Casentino, una zona ricca soprattutto di fossacci e torrentelli dove spesso è quasi impossibile pescare con la canna? Appunto! Aguzzando l’ingegno i torrentisti casentinesi sono riusciti a ideare una tecnica semplice e redditizia per catturare le trote nei fossi delle foreste casentinesi, dove la pesca è resa difficile dalla fitta vegetazione che arriva quasi a coprire l’acqua delle pozze.

È una tecnica “povera”, lontana anni luce dalle evolute e ricche attrezzature moderne. Richiede solo una canna, qualche metro di lenza, un piombo e un amo. Oggi la canna usata è una telescopica in carbonio, fino a qualche anno fa in vetroresina; nei decenni passati era una canna di campo o di bambù in quattro o cinque pezzi a incastro.

Il vettino deve essere necessariamente rigido e spesso conviene tagliare la parte più distale troppo sottile o anche sostituire il vettino in carbonio con un vettino in vetroresina. Lenza approssimativamente dello 0,20 lunga circa tre metri; amo di dimensioni relativamente grosse (il n° 6 è l’ideale) e preferibilmente senza ardiglione, e un unico piombo a dieci centimetri dall’amo.

Devi avvolgere circa due metri di lenza intorno alla cima del vettino e, a seconda della profondità delle pozze, svolgi e riavvolgi la lenza variandone la lunghezza da tre metri a pochi centimetri. Si pesca naturalmente “al tocco” (in alcune zone del Casentino si dice “al pizzico”). Le esche sono quelle tradizionali, uguali da secoli: i lombrichi di campo, i “bachi muratori” (larve di tricotteri), le “scimmie” (larve di perla).

Il pescatore esperto lo vedi da come si comporta nelle pozze ove la vegetazione ostacola la pesca con lenza anche molto corta: arrotola la lenza intorno alla cima del vettino fino a lasciarla libera per dieci o venti centimetri, in modo da portare l’esca sotto le frasche che quasi toccano l’acqua, e poi la srotola con un lento movimento rotatorio della canna finché l’esca raggiunge il fondo.

E i mulinelli, i galleggianti, gli sbirulini, le girelle ecc… ecc…? Tutte diavolerie moderne che nei fossi di montagna non servono a nulla e ti ostacolano il cammino. Viva “la casentinese”!

Nella foto. Siamo all’inizio della primavera. Nascosto dietro un grosso faggio, Roberto di Stia insidia “alla casentinese” la fario nera del Pratomagno nelle pozze con acqua limpidissima del Fosso della Badia di Santa Trinita.

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