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lunedì, 9 Settembre 2024

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Un piatto iconico della nostra tradizione: il lesso con le cipolle

Una volta la cucina delle massaie aveva sempre qualche piatto da recupero, sia per gli avanzi che per gestire le quantità di qualche ingrediente. Il brodo per esempio non si faceva per un giorno solo, quando si faceva se ne facevano delle belle pentole capienti con cui poi si facevano minestre per le numerose famiglie ma il lesso sarebbe stato poco per tutti, così si allungava con cipolla e pomodoro in quantità superiori anche due volte la carne.

“Rosa, allunga il brodo che è venuto a cena anche Gisto”, frase che spesso si sentiva urlare la massaia dall’aia o dalla stalla. La ricetta di questa sera l’ho trovata nascosta dietro un vecchio cassettone dimenticato in soffitta e chi sa per quale motivo finita proprio li come un documento prezioso, forse il ricordo di una nonna assai cara, o forse di una mamma premurosa. Non è dato sapere.

La ricetta non sembra così preziosa, per cui il motivo del suo occultamento doveva avere motivi affettivi, forse servita ad un Re di passaggio, oppure preparata per un personaggio importante, infatti il peso della carne e dei vegetali si equivalgono a significare che il piatto doveva essere più proteico di quello consueto.

Notate che non era menzionato il concentrato di pomodoro ma solo salsa, un particolare che sposta molto indietro la lancetta del tempo, in effetti di Re in Italia non se ne vedono più da quasi un secolo. Altra particolarità le tre foglie di rosmarino, perché soltanto tre? Probabilmente un richiamo alla SS. Trinità. Ma la cosa ancora più strana è l’uso di due tipi di cipolla, dello scalogno e dei porri, una rara ricercatezza al tempo.

Ricordiamo che fino al secondo dopoguerra molte ragazze andavano in città a “servizio” di famiglie nobili ed agiate, a Firenze, Roma e anche Torino, forse proprio da li ha origine questa ricetta, forse il ricordo di un giovin signore colpito dalla prelibatezza del piatto o dai riccioli della casentinese? Noi possiamo divagare con la fantasia e goderne insieme a parenti e amici.

IL LESSO DEL RE Ingredienti 200 gr di scalogno 100 gr di porri 100 gr cipolle rosse 100 gr cipolle bianche 600 gr di bollito 100 gr olio EVO 100 gr salsa di pomodoro 100 gr pecorino romano Sale q.b. Pepe nero q.b 3 foglioline di rosmarino Preparazione Triturare il lesso grossolanamente e metterlo da parte. Mettere metà olio EVO in una pentola capiente e una volta caldo aggiungere cipolle, scalogno e porro, non dimenticate il rosmarino, dopo una rosolata vivace di qualche secondo, stufate il tutto coprendo la pentola, quando il tutto è appassito a dovere aggiungente il lesso e fate insaporire per cinque minuti, aggiungete la salsa di pomodoro e fate sobbollire, come su una stufa a legna di un tempo, per un quarto d’ora. Impiattate, grattugiate sopra il pepe, e un filo abbondante di olio EVO, e una nevicata di pecorino romano. Il lesso del Re è servito.

 VINO CONSIGLIATO Gamaret 2020 Valle d’Aosta Rosso DOC Cave Gargantua Per un piatto da Re ci siamo avvicinati alle origini della casa sabauda. Il lesso di solito non è un piatto per i Re, ma anche loro avranno goduto a volte di piatti popolari e magari avranno anche fatto la scarpetta. Qui le scelte della carne sono personalissime e non entro nelle svariate parti dell’animale da adibire a bollito, ce ne sono per tutti i gusti, magari, vista l’ambientazione stavolta meglio una scottona o una limousine invece della nostra amata chianina.

Quando i piatti sono “poveri”, nella tradizione culinaria toscana, parca di spezie e aromi, la qualità degli ingredienti è fondamentale, la carne deve essere al top ma anche i comprimari non devono essere da meno, cipolle, scalogno e porri devono essere freschi, croccanti direi e soprattutto il porro appena colto. La cottura e i suoi tempi fondamentali e per il piatto di questo mese sarebbe indispensabile una cucina a legna come quella della nonna. E’ tempo di settimane bianche e allora il vino siamo andati a prenderlo in montagna, in Val d’Aosta.

Il Gamaret 2020 dei fratelli Cunéaz in quel di Gressan, non è un vitigno autoctono, proviene dalla vicina Svizzera e le mani sapienti di Cave Gargantua hanno saputo dar vita a un prodotto veramente piacevole. L’aspetto vivace di un rubino corposo, introduce a inebrianti profumi di piccoli frutti neri, mirtilli e more che rincorrono nocciole e noci ritornando su prugne secche con un soave pepe nero. In bocca è lungo e coerente col naso dalla trama tannica vivace, forte ed elegante regalando un finale fruttato appagante. L’abbinamento si compendia con soddisfazione ed eleganza alternando i sapori del vino e del piatto con fusioni che danno vita a nuovi e entusiasmanti gusti.

Dopo la deglutizione un leggero sorso ripulisce il cavo orale preparandolo ad una nuova piacevole manducazione. La più piccola regione italiana, una sola provincia, piccola produzione vinicola con alcune perle enologiche, in Val D’Aosta negli ultimi anni tanti giovani hanno preso a cuore questo settore produttivo e i risultati appaiono molto incoraggianti. Cave Gargantua è una giovane azienda, questo è il decimo annivesrsario dalla sua renovatio, che ha un nome da gigante e che in futuro farà sicuramente parlare di se. Se quindi passate da quelle parti, magari di ritorno da una settimana bianca, fermatevi e degustate in cantina, perdonne moi, in cave, questi vini che parlano al cuore e raccontano di fatica e impegno come tutti i vini di montagna, ma attenti dove vi fermate a dormire, se lo fate assicuratevi che i vostri fagioli magici non germoglino.

Come sempre attenzione e moderazione per la nostra e altrui salute, ma non disdegnate di passare una serata tra amici con del buon cibo e del buon vino. Quod dubitas ne feceris. 

(Le rubriche “Cosa bolle in pentola” e “Mondovino” sono entrambe curate da ANSELMO FANTONI)

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